mercoledì 12 novembre 2014

Il Teatro Samonà e l'accidia di un popolo che troppo spesso dimostra di sapere soltanto puntare il dito

Che le cose vadano male è assodato. Così come lo è, però, il compiacimento generalizzato di fronte a questa triste realtà. C'è una soddisfazione che trovo insopportabile da parte della mia gente di fronte al fatto che il Teatro Samonà forse non aprirà mai, e registro sghignazzi irritanti di fronte all'oggettiva contraddizione della avvenuta recente collocazione delle poltrone per il pubblico quando il proscenio ad oggi è solo un muro di cartongesso. Siamo contenti di poter dire che il Teatro è un pugno nell'occhio, un'opera inutile, simbolo della megalomania e bla, bla, bla. Abbiamo innalzato (credo correttamente) questo impianto a simbolo di un certo malcostume. Ma è giusto affrontare la questione sempre e solo con la testa rivolta all'indietro? A questa domanda rispondo di no.


Anni fa sul mio precedente blog commentai l'idea del grande regista Werner Herzog, che parlando del Teatro Samonà immaginò il ciak di un suo film con la cinepresa che impietosamente ne riprendesse l'implosione fisica con un bel po' di cariche di dinamite che lo stesso Herzog si sarebbe premurato di piazzare. Osservai che la provocazione di Herzog fosse culturalmente interessante, ma che alla fin fine, visto che ormai c'era forse era meglio che il Teatro ce lo tenessimo (anche perché demolirlo non sarebbe un'impresa gratuita), sperando in una soluzione per la sua apertura e gestione. 

Registrai a quel mio commento opinioni di genere diverso. Ma come si fa a negare che da allora ad oggi molte cose sono cambiate? Un po' di lavori in questo Teatro (dopo vent'anni in cui non si faceva più nulla) sono stati fatti. Difficile pensare che un domani questo potrà essere il Teatro che Giuseppe Samonà avrebbe voluto, ma tant'è. Qualcosa probabilmente potremo ricavare da questo gigante di cemento, dopo 40 anni dalla posa della prima pietra e altrettanti caratterizzati da strali e improperi lanciati dai saccensi a chi ha voluto questa struttura.

Ma il teatro Samonà non è solo il simbolo del degrado e del malcostume. No, è anche il simbolo dell'accidia del mio popolo. Che spesso dimostra di saper fare solo una cosa: puntare il dito. Denunciare e lamentarsi. Con, sullo sfondo, quello strano e culturalmente devastante compiacimento. 

Massimo D'Antoni
twitter: @dantonisciacca

2 commenti:

  1. Che il popolo saccense sia solo bravo a lamentarsi e a puntare il dito questo ormai è assodato. All'inizio leggendo la notizia delle nuove poltrone me ne sono compiaciuta, ma poi quando ho visto il tg5 mi sono contrariata. Ma riflettendo bene potrebbe essere dato in gestione a un privato, visto i costi esosi per il Comune ad aprirlo. Bisognerebbe essere propositivi invece che disfattisti.
    Francesca

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  2. Sono d'accordo nel "qualcosa probabilmente potremo ricavare da questo gigante di cemento" il guaio è che i nostri concittadini (temo più del resto del Paese) soffrano troppo della “sindrome del Palio di Siena”: l’incapacità di fare squadra. Nella celebre corsa equestre toscana l’obiettivo non è tanto vincere, quanto impedire di vincere agli altri. È la sola corsa al mondo dove tutti i colpi sono permessi per infastidire gli avversari, cavallo o cavaliere. Pertanto se a qualcuno verrebbe un'idea si troverebbe di fronte un gigante più spaventoso di quello menzionato sopra... tutto ciò alimenta gli effetti di questo periodo di recessione.

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