martedì 31 agosto 2021

Fazello tra gli autori de "La Strada degli Scrittori" è un omaggio all'identità culturale di una città che si accapiglia per niente

Che anche Tommaso Fazello, frate domenicano e storico della Sicilia, sia entrato nel novero di autori de "La Strada degli Scrittori", permettendo da adesso anche alla città di Sciacca (di cui fu nativo) di far parte di questo importante itinerario culturale, è una notizia che non merita certo di essere liquidata con poche battute. L'omaggio che l'istituzione creata dal giornalista e scrittore Felice Cavallaro (a cui la città deve sin da subito un riconoscimento) ha ritenuto di assegnare a Sciacca (un tempo Città Degna) è un valore aggiunto, assai più di quanto la nostra litigiosa città possa al momento rendersi conto, essendo "in tutt'altre faccende affaccendata". Studioso insigne, a Fazello si deve anche la scoperta dei luoghi greci di Sicilia, tra cui Selinunte, Eraclea Minoa e il Tempio di Zeus Olimpio di Akragas. 

Lo spunto mi è particolarmente congeniale perché mi permette di richiamare ancora una volta il senso dell'impegno culturale di un territorio, come quello siciliano, che nel tempo ha espresso parte del miglior panorama letterario nazionale e internazionale (ed è perfino superfluo ricordare che l'agrigentino Luigi Pirandello è stato Premio Nobel). Il tema centrale che meriterebbe un approfondimento molto articolato riguarda comunque la consapevolezza di quello che siamo, più che di quello che abbiamo.
 
Purtroppo un territorio che vive tanti problemi genericamente riferibili alla sua (scarsa) qualità della vita, non riesce ad attribuire alla Cultura quel ruolo di faro perennemente acceso sulla reale natura dell'umanità, che è quella di conoscere la storia del mondo, apprezzandone le arti e valorizzandone la bellezza. È una comunità, la nostra, che si accapiglia per ben poco, anzi per niente (per citare Franco Battiato, un altro fulgido esempio dell'arte siciliana). Per esempio in difesa di due alberi che impediscono di apprezzare quel capolavoro dell'arte quattrocentesca che è il Portale marmoreo scolpito da Francesco Laurana. 

Poi è una città che si accapiglia molto per il Carnevale, ma la chiudo subito qui perché tutte le volte che ne parlo vengo puntualmente frainteso sul ruolo che, eppure, io per primo attribuisco a questa manifestazione. Sciacca è terra di artisti, pittori di altissimo spessore, di iniziative culturali che si riuscivano ad organizzare (Un Punto nel Mediterraneo la più celebre) che poi non si sono più organizzate.

Negli ultimi anni, anche per "colpa mia", le presentazioni di libri (organizzate anche come iniziative di intrattenimento) hanno catalizzato l'attenzione di una larga fetta dell'opinione pubblica, grazie anche all'amplificazione (che personalmente considero impagabile) fatta dal Letterando in Fest, l'invenzione di Sino Caracappa che ha reso Sciacca una importante stazione della riflessione condivisa e dello scambio di idee, consentendo al pubblico di interfacciarsi con personalità di assoluto rilievo del panorama editoriale. 

Mi soffermo su questo argomento per dire che le presentazioni di libri non hanno certamente sostituito gli altri (necessari) interventi programmabili nel mondo dell'intrattenimento (musicale o teatrale). Sono diversi i target, diverso è lo stile, diverse le finalità. Rimangono, tuttavia, degli appuntamenti che qualificano solo per il fatto di esserci la sostanza culturale stessa di una comunità, rimarcandone la scelta, esaltandone la valenza identitaria e, di conseguenza, respingendo una possibile scelta diversa, che è sostanzialmente quella dell'accidia culturale, di un'indolenza caratteriale che, di fatto, continua a mortificare molte delle anime di una Sicilia che, eppure, ci vede in qualche maniera discendenti di Pirandello, di Sciascia, di Rosso di San Secondo, di Tomasi di Lampedusa, di Camilleri, di Russello e, naturalmente, anche di Tommaso Fazello.



venerdì 20 agosto 2021

Madamina, il catalogo è questo: la deriva di una società di cortigiani risentiti e di politici permalosi


Farò delle considerazioni impopolari. Ma se significa non seguire l'onda, francamente ne vado orgoglioso. La deriva sociale e politica, dal livello romano a quello locale, assume ogni giorno connotazioni sempre più tangibili e preoccupanti per la tenuta (ritengo) delle fondamenta stesse della democrazia. Lo rivela un dibattito nel quale tanti protagonisti (quelli che tradizionalmente corrispondono quasi sempre a chi non ha responsabilità di governo) si fanno più o meno abilmente interpreti del malcontento. Sarebbe legittimo se questo fosse solo uno degli ambiti d'azione. Tuttavia oggi questo fenomeno sembra essere assurto all'unico ambito d'azione possibile. 
Una autentica sublimazione della politica barricadiera è manifestata da un leader politico (Matteo Salvini) che riesce ad interpretare contemporaneamente il soggetto e l'oggetto della protesta, calando la sua Lega nel ruolo di "partito di lotta e di governo", all'inseguimento tattico della crescita del suo partner più importante nello schieramento, Fratelli d'Italia. Io non lo critico per questo. Anzi: se il politico deve interpretare il sentimento prevalente, stando almeno ai sondaggi, bisogna ammettere che Salvini riesce nell'intento. Poi si potrebbe opinare che in politica si dovrebbe costruire, ma è chiaro che chi si limita a distruggere riesce assai più facilmente ad eccitare gli animi e a permettere al cittadino vessato dalle difficoltà (a partire da quelle strettamente personali) di potersi in qualche modo sfogare. Nel segno dell'adagio che "chi ha problemi ne crea agli altri".
Non si può non ribadire ancora una volta che i tempi sono cambiati, e che rispetto al passato, l'avvento della tribuna social (che, ce ne dimentichiamo spesso colpevolmente, annovera solo una minoranza di quello che in modo ridondante definiamo "il Paese reale") cannibalizza il dibattito, con il politico di turno che arringa la folla, cavalcando i problemi, accusando chi pur avendo il potere non li risolve, galvanizzando l'insoddisfazione popolare e annettendola presso la propria fazione. 
Succede anche a livello locale. Attenzione però: il fenomeno è pericoloso. Perché siamo nell'era della polemica "fast food", che viene dimenticata poche ore dopo avere accumulato i like dei cortigiani e le emoticon sghignazzanti degli avversari. Che strano fenomeno le faccine che ridono su notizie talvolta perfino drammatiche. 
Da tutto questo discende un fenomeno bizzarro. Quello di un dibattito politico nel quale se chi governa invoca comprensione per la difficoltà del ruolo che ricopre, chi è minoranza getta benzina sul fuoco delle polemiche e dell'insoddisfazione popolare. E quando le parti si invertono, il brogliaccio della messa in scena rimane lo stesso. Semplicemente gli attori cambiano posizione sul palco. Con la variabile (buona per tutte le stagioni) che chi vince le elezioni chiarisce al popolo in attesa della rivoluzione di non potere fare granché per migliorare le cose perché (figuriamoci) ha ricevuto la peggiore delle "eredità" politiche possibili da chi c'era prima. 
Una spirale infinita, alimentata dall'odio social e dalle ricette vincenti che, tuttavia, sono vincenti solo se e quando non possono essere utilizzate. Quelle di chi governa (manco a dirlo) sono "ricette perdenti". Ma, per dirla con il Leporello del Don Giovanni di Mozart, "il catalogo è questo". E per restare nelle nostre umili contrade, dall'acqua pubblica alle buche per strada, dalle transenne alla tassa sui rifiuti, dalle Terme alle manifestazioni estive, il cittadino viene tirato per la giacca delle proprie ragioni. Che, il più delle volte, sono esclusivamente ragioni elettorali. Ce ne stiamo accorgendo in questi giorni. Nessuno che dia una mano, nessuno che proponga soluzioni reali. Spiace generalizzare, perché in effetti qualcuno che si sforza di operare in maniera opposta c'è, ma è anche vero che, purtroppo, viene regolarmente isolato all'interno del suo stesso schieramento. 
Non bisogna scomodare Nostradamus per prevedere che, di questo passo, anche le prossime elezioni amministrative di Sciacca si giocheranno sull'atavico (inutile, ahimè) confronto tra "prima" e "dopo". Dove la vera memoria alla fine interessa soltanto i protagonisti e il loro amor proprio. I fatti personali surclassano quelli politici, la propria immagine si rivela più importante del bene della comunità. Magari è un fenomeno involontario, ma è quello che si percepisce. E così, uno come me che guardava alla politica con il rispetto dell'arte del possibile (e del compromesso), si vede costretto ogni giorno a raccontare la deriva infinita del "tutti contro tutti", con i rispettivi "gigli magici" a supportare le tesi dei propri capi.
In conclusione: so già che questo mio ragionamento verrà interpretato come una dissertazione che alla fine trascura l'oggettività dei problemi in essere. Non mi sottraggo. I problemi ci sono eccome. La nostra comunità sta attraversando una fase preoccupante, un abbassamento della qualità della vita a dir poco drammatico. Una fase nella quale però le responsabilità dei cittadini non vengono stigmatizzate a dovere da nessuno. E se lo fa qualche giornalista scatta il dalli all'untore (in era Covid la metafora si attaglia). Per dire: la città è sporca. Ma chi denuncia che la città è sporca, oltre ad invocare la pulizia dovrebbe anche criticare chi la città l'ha sporcata. Per dire ancora: non vedo politici additare con la determinazione necessaria i tanti evasori dei tributi, probabilmente perché è chiaro che poi a queste persone bisogna pur andare a chiedere il voto. Provo a chiarire un concetto che non mi riesce di far passare: sogno un mondo in cui la gente finalmente capisca che i luoghi comuni vanno difesi come se fossero il salotto di casa, indipendentemente dalle telecamere; sogno una comunità che non parcheggi dove gli pare, indipendentemente dal fatto che mancano i parcheggi. Poi non trascuro che i servizi minimi essenziali non funzionano, e che è una vergogna che i cittadini (prima dei turisti) debbano muoversi tra erbacce, buche e lurdìe varie.
Le responsabilità politiche di chi amministra sono oggettive, ma i limiti di una macchina burocratica comunale già obsoleta si sono aggravati con lo svuotamento degli uffici, alimentato anche da provvedimenti discutibili (come la tanto decantata da Salvini "Quota Cento"). C'è una realtà assai complessa, che non può essere tagliata con l'accetta magari facendo il giro della città e fotografando le buche e le transenne. Oltretutto i protagonisti "siedono tutti in pizzo": da un lato c'è l'assessore permaloso, dall'altro c'è l'ex consigliere che se l'è legata al dito. Così come se l'è legata al dito il presidente della Regione. Che, per i problemi che sta affrontando, aggravati dall'emergenza Covid, ha tutta la mia solidarietà. Tranne per il fatto che, dopo 4 anni, non può continuare a dare la colpa al precedente governo. 

lunedì 9 agosto 2021

La vera verità di regime è che sui vaccini il governo è ostaggio della spregiudicatezza

Perfino un giornalista di provincia come me viene accusato, da qualche tempo, di sensazionalismo mediatico e di linea editoriale che, in qualche maniera, sarebbe asservita a fantomatici potentati farmaceutici. Come è facile intuire il tema riguarda la campagna vaccinale. La tesi, propugnata nel segno di un fanatismo sempre più esasperato, è che il Covid sia soltanto un bluff, che i vaccini per cercare di riconquistare la nostra tanto amata libertà siano ancora ad un livello sperimentale e, dunque, pericolosi per la vita, assai più (evidentemente) di quanto non lo sia quella famigerata polmonite interstiziale che (soltanto in Italia) ha causato 128 mila morti. 

Sarà sfuggito, a Big Pharma, il mio Iban, perché (ad oggi) non ho ancora ricevuto un centesimo derivante dal mio presunto asservimento alla cosiddetta "verità di regime" (concetto utile un po' per tutto, un po' come il prezzemolo). E vai di "Circo mediatico", "Terrorismo giornalistico" e di tutto il resto di quell'armamentario brandito da soggetti in crisi di fantasmi, che invocano raziocinio e analisi "oggettive" di statistiche e casse da morto tra una seduta spiritica e una preghiera alla Madonna, dubitando sdegnati dei benefici del vaccino, schifati da "ciò che c'è dentro", sputando sentenze da "laureati all'università della vita" magari mentre si abbuffano di cozze di dubbia provenienza o (naturalmente) credendo alla leggenda metropolitana che l'attore Morgan Freeman sarebbe in realtà il grande chitarrista Jimi Hendrix, la cui morte (come quella di Elvis o di Jim Morrison) sarebbe una colossale messa in scena.

Entriamo nel dettaglio. A noi che raccontiamo la vita di tutti i giorni ci viene chiesto sostanzialmente di "barare", smettendola di ricordare continuamente che i morti sono solo i non vaccinati, eccependo (in punta di idiozia) che anche i vaccinati muoiono. Il principio di fondo è chiaro: chi si vaccina muore di certo perché è quello che provocano i vaccini, mentre chi non si vaccina, se proprio muore, è solo per colpa del destino cinico e baro. È la verità a proprio uso e consumo, come se si ordinasse una pizza al bar. E quindi dovremmo censurare le notizie diramate da fonti certe e verificate (i giornalisti iscritti all'Albo devono obbedire a questa norma, gli opinionisti di Facebook laureati all'università della vita non hanno certamente alcun obbligo).

Sarebbe interessante un'analisi sociologica sul ricorso al "Green Pass farlocco" da parte di chi si erge a paladino di un principio (nella fattispecie quello "no-vax") non disdegnando al tempo stesso una truffa ai danni del prossimo (con tanto di ipotesi di reato di epidemia colposa) pur di entrare al ristorante o di non perdersi l'ultimo cocktail. Su questo proverò a cimentarmi prossimamente. Oggi è più urgente affrontare il contenuto dell'articolo 32 di quella Costituzione della Repubblica Italiana che tantissimi "professori di Diritto" da quattro soldi invocano come la ricetta vincente della loro strampalata opinione. 

Il predetto articolo recita testualmente: "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.". Se la prima parte fuga ogni dubbio circa l'ipotesi di negare le cure del SSN a chi, ultranegazionista, si trovasse ad avere a che fare con "la fame d'aria", la seconda è di una chiarezza innegabile. I padri costituenti ipotizzarono trattamenti sanitari obbligatori "se non per disposizione di legge".

Ed eccoci, così, alla parte più debole di questa battaglia contro il Covid. Il tanto vantato governo Draghi, modello internazionale anziché no, sta rivelando la propria fragilità politica rispetto alla questione tra le questioni. Perché non rendere la vaccinazione obbligatoria, tra balbettii e timori che perfino la straordinaria autorevolezza del premier non riesce a sfumare, sta rendendo completamente inutile il senso civico e morale (per dirla alla Sergio Mattarella) di chi ha deciso di farsi somministrare il vaccino. Un governo che, sul Covid, è letteralmente ostaggio dell'espressione più cinica e spregiudicata di un populismo (quello rappresentato da Matteo Salvini) che sta di fatto impedendo al Paese quella rinascita propugnata evidentemente soltanto a parole. 


L'incertezza del governo sull'obbligo di vaccinazione per gli insegnanti, e il disinteresse nei confronti delle aziende (hanno ragione i sindacati, non è possibile affidare la questione ad un banale principio discrezionale) rivelano una timidezza sconcertante, col pericolo di rendere vani i sacrifici fatti e di riempire nuovamente (a breve) tutti i posti letto e le terapie intensive disponibili, proprio quello scenario che rischia di indurre i sanitari a "scegliere chi salvare". Ecco qual è la situazione attuale. 

Infine i fatti. Quelli su cui si basa chi lavora nell'informazione. Le notizie sono notizie. Giornalisticamente è inevitabile riferire se i deceduti negli ospedali (a proposito, la loro età è ogni giorno più bassa) fossero persone vaccinate o meno. Un po' pochino per considerare un giornalista "assoldato" alle aziende farmaceutiche o alla "verità di regime" o a quella "dittatura sanitaria" che, specialmente se lamentata da "Fratelli d'Italia" (quelli col simbolo del vecchio M.S.I. D-N) o da "Forza Nuova", non può che sollevare la più drammatica delle ironie possibili di una storia vergognosa fatta di annullamento di ogni diritto, di assassini più o meno politici e di sostegno alle leggi razziali. 

Questo articolo, per quello che vale, è dedicato a tutti gli operatori sanitari del servizio pubblico che si sono dedicati anima e corpo a combattere contro la pandemia. 

Il carcere duro: perché il dibattito sul singolo caso Cospito si sta estendendo sulla norma nella sua interezza

Avere trasformato la singola questione riguardante lo sciopero della fame dell'anarchico Alfredo Cospito in un dibattito (con molte, tro...