domenica 5 gennaio 2020

Dalla politica alla vita di tutti i giorni: quanti giudici (sugli altri), quanta indulgenza (su se stessi)

Tutti dispongono della spiegazione vincente, della chiave d'interpretazione corretta, della giusta visione della realtà e (che ve lo dico a fare?) della soluzione "ritagliata" ad arte per ciascun problema che occupi la scena, dal microcosmo dei "fatti nostri" al macrocosmo dei "fatti di tutti". Ne dispongono però (ma guarda un po') puntualmente quando la responsabilità decisionale appartiene ad altri. Quando invece la predetta responsabilità appartiene a loro, tutte le ricette vincenti così sapientemente ostentate, addirittura in qualche caso brandite come manganelli, vanno improvvisamente a farsi benedire: diventano inafferrabili, evanescenti, prive di forza, inapplicabili, improduttive, in una sola parola: inutili. Chissà come mai. Forse perché parlare è più facile che agire. Succede nella politica (ovviamente). Attenzione però: succede anche nelle nostre esperienze quotidiane (nel lavoro, in famiglia, al ristorante, con gli amici e in tutti gli altri rapporti interpersonali). Ogni giorno la visione e l'analisi delle cose si basano esclusivamente su valutazioni nient'altro che soggettive. Nessuno si sforza di guardare ai fatti, figuriamoci a mettersi nei panni degli interlocutori. Condizione antropologica, ovviamente, propria dell'essere umano. Condizione nella quale si inseriscono variabili inevitabili: dalla presunzione all'invidia (l'elenco è lungo, queste due lo compendiano credo in maniera esemplare). Vale anche per le regole: sugli altri vanno applicate, su di noi vanno interpretate. Quello che è giusto a carico altrui su di noi diventa ingiusto. Me ne accorgo giornalmente anche nel mio lavoro di giornalista. Il diritto di cronaca, per dire, viene considerato un elastico, adattabile alla realtà solo nella misura in cui non ci riguardi. Nel dibattito politico la visione della realtà si trasforma spesso nella peggiore interpretazione dell'anima più barricadiera di una società perennemente alla ricerca di colpevoli per i propri problemi privati. Giudicare gli altri dunque rimane una specie di sport preferito. Ci si erge agevolmente a conoscitori di caratteri privati e dettagli di scenari che, ragionevolmente, non possono essere a conoscenza di nessuno. Ma è la natura di quell'uomo che giudica e trancia commenti con una semplicità disarmante e francamente inaccettabile. I social hanno aggravato il lato di quella "voce di popolo" fatta equivalere, in maniera blasfema, addirittura a quella di Dio. Uno dei più grandi inganni della storia. 

Il carcere duro: perché il dibattito sul singolo caso Cospito si sta estendendo sulla norma nella sua interezza

Avere trasformato la singola questione riguardante lo sciopero della fame dell'anarchico Alfredo Cospito in un dibattito (con molte, tro...