mercoledì 29 maggio 2019

PD e Movimento 5 Stelle devono dimenticare le scorie del passato e tornare a discutere. Altrimenti sono condannati all'irrilevanza

Aldilà del (significativo) boom leghista, le elezioni Europee di domenica scorsa hanno rivelato un quadro che, sul piano della proposta politica, relega la Sinistra ad un ruolo assolutamente marginale e di testimonianza. È di questo che voglio parlare. 
Non attribuisco certo al recupero di qualche punto percentuale del PD la rinascita di una prospettiva. Anzi, i dati rivelano con estrema nettezza che mentre la Destra dispone di una quantità innumerevole di soluzioni (Salvini con la forza di cui dispone può sparigliare le carte in qualsiasi momento e cambiare alleati), i DEM non hanno certamente nulla per cui esaltarsi. Anzi, ancora una volta il fronte progressista si ritrova a fare i conti con una realtà nella quale l'individualismo sfrenato (da SEL a LeU, fino a "La Sinistra" nella quale avrebbero dovuto identificarsi i sedicenti "puri di cuore") ha prodotto risultati a dir poco insignificanti
Se il "renzismo" non ha certamente agevolato il percorso volto a costruire un'area progressista forte e centrale nella vita di un Paese complesso come l'Italia (devo ancora capire bene i capi di imputazione a carico dell'ex premier) la decisione, assunta da chi è impegnato giornalmente nella corsa a dimostrare di essere più "di sinistra" degli altri, di andarsene dal PD, non mi pare che abbia creato condizioni per così dire "vincenti". Anzi, i cosiddetti "valori" di supremazia, in una rappresentanza che in cinque anni ha cambiato almeno dieci sigle, sono stati a dir poco azzerati. Ne consegue che o per la Sinistra non ci votano più nemmeno quelli "di sinistra", o quelli "di sinistra", pur di punire una politica più moderata continuano a spaccare il capello in quattro nel giochino della "Sinistra fai da te", non capendo che solo in un grande partito-contenitore le proprie istanze riescono ad avere diritto di cittadinanza. 
Che fare, dunque? Nicola Zingaretti e Carlo Calenda hanno indubbiamente fatto un buon lavoro. Agevolato (negarlo sarebbe disonesto) dalla rinuncia di Matteo Renzi all'ennesima scissione. Rinuncia, peraltro, scaturita dalla consapevolezza che si sarebbe trattato della sua ennesima inimmaginabile sciocchezza. 
Ma se è nei rapporti interpersonali che le "scorie" delle divergenze sopravvivono nei secoli, la stessa cosa non può accadere nella vita politica. Se vogliono tornare ad essere competitivi, PD e Movimento 5 Stelle dovrebbero cercare di riprendere una discussione che sia scevra da pregiudizi e condizionamenti di un passato nel quale se ne sono dette di tutti i colori. Una campagna denigratoria che, naturalmente, negli anni ha premiato i pentastellati, che ai DEM hanno attribuito perfino la responsabilità delle guerre puniche, pur sapendo (dunque in maniera intellettualmente disonesta) che la realtà era ben diversa. Ma oggi bisogna resettare tutto e cercare di creare condizioni nuove per la elaborazione di un progetto politico alternativo ad una Destra che raccoglie di tutto: l'insoddisfazione, il voto di protesta, la xenofobia. Mi fa sorridere pensare che un nuovo governo possa reggersi sulle gambe di cemento armato di Salvini e, contemporaneamente, su quelle ormai di argilla del Movimento 5 Stelle. Mi fa sorridere di più immaginare nuove elezioni e un'altra alleanza tra Salvini (sempre più forte) e Fratelli d'Italia della Meloni, che porterebbe "in dote" appena il 6-7% a fronte di uno strapotere leghista del 34%. 
Cosa immaginare per il futuro per il PD? Mi sembra un'altra condizione "stile PCI": un partito di massa, popolare, ma senza la speranza di diventare un partito di governo. E la stessa cosa rischia il M5S. A cui governare non ha fatto certamente bene in termini di consensi. Anche per scelte politiche inevitabilmente bocciate, compreso quel reddito di cittadinanza che da "vangelo" si è trasformato in "karma". Governare ha fatto benissimo a Matteo Salvini. Gli è bastato chiudere i porti, tornando a tirare fuori dagli italiani quell'anima nera che anche Mussolini aveva già scovato.

giovedì 9 maggio 2019

Un errore l'esclusione di Polacchi dal Salone del Libro. Condanniamolo se viola la legge, non solo se ha idee fasciste


Matteo Salvini ha definito "surreale" quello che, evidentemente, considera un infondato allarme Fascismo. Lo ha fatto commentando la notizia dell'editore Francesco Polacchi, ingombrante presenza al Salone Internazionale del Libro di Torino. Chiarisco perché non sono d'accordo con questa affermazione. 
A far aleggiare il Fascismo non sono gli antifascisti. Al contrario, a farlo sono coloro che ne rivendicano orgogliosamente il (presunto) valore. Di conseguenza, dal "derby" del 25 aprile al "surrealismo" anacronistico che dovrebbe tranquillizzarci, il ministro dell'Interno sbaglia bersaglio.
Ma ora dico la mia sull'espulsione dell'editore Polacchi. Mi considero un insospettabile rispetto a possibili simpatie nei confronti di Casa Pound. Ma considero ogni censura un errore gravissimo. L'editore Polacchi (Altaforte) che (non a caso) pubblica un libro proprio su Salvini, ha il diritto di professare le sue idee, anche se io non le condivido. Escluderlo è scorretto. Anche perché al di sopra di tutto c'è la supremazia della Legge. E non tanto quanto stabilito dall'articolo 12 della Costituzione, quello che vieta la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. Ci sono anche altre norme che, eventualmente, sono dei punti di riferimento nel caso in cui l'attività della casa editrice Altaforte, a partire dalla legge che sanziona ogni apologia di fascismo. Denunciamo Polacchi se viola le leggi. Escluderlo a priori per le sue idee non appartiene ad uno stato democratico. Altrimenti finisce che hanno ragione loro.

Il carcere duro: perché il dibattito sul singolo caso Cospito si sta estendendo sulla norma nella sua interezza

Avere trasformato la singola questione riguardante lo sciopero della fame dell'anarchico Alfredo Cospito in un dibattito (con molte, tro...