martedì 31 gennaio 2023

Il carcere duro: perché il dibattito sul singolo caso Cospito si sta estendendo sulla norma nella sua interezza


Avere trasformato la singola questione riguardante lo sciopero della fame dell'anarchico Alfredo Cospito in un dibattito (con molte, troppe dietrologie) sulla natura, e perfino sull'opportunità stessa dell'applicazione del regime del carcere duro, si sta rivelando una forzatura spaventosa. E, ancora una volta, ne è venuta fuori l'ennesima pagina del copione infinito del "teatrino della politica". Il tema, delicato e al tempo stesso controverso, è stato oggetto, in passato, di considerazioni avanzate dalla stessa Corte europea dei diritti dell'uomo, che però non hanno prodotto alcun risultato concreto, e il "carcere duro" ha resistito a diverse spallate.
Ora, capisco che nel clima che viviamo, avanzare qualche dubbio sulla natura di questa legislazione speciale rischia di trasformarsi in un dito puntato contro, nella migliore delle ipotesi di "buonismo garantista", nella peggiore di "connivente con la mafia". È indubbio che i mafiosi soffrono il 41 bis. E basterebbe questo a mantenerlo in vita. Anche se dottrina e funzione costituzionale rieducativa del carcere confliggono con questa impostazione. È anche vero che trattare come gli altri detenuti anche chi ha ucciso e sciolto nell'acido un minore suscita indignazione.
D'altra parte però il 41 bis sarebbe stato uno dei punti delle richieste dei mafiosi allo Stato nell'ambito della famigerata trattativa. Cospito non è un mafioso. Ma il 41 bis è previsto anche per chi è stato condannato per reati che rientrano nell'ambito delle azioni sovversive ed eversive contro l'ordinamento dello Stato.
Personalmente non so se l'applicazione dell'articolo 41 bis dell'ordinamento di polizia penitenziaria nei confronti di Alfredo Cospito sia o meno sovradimensionato. È anche vero tuttavia che la salvaguardia delle condizioni di salute di ogni essere umano, anche se si tratta di un detenuto, rimane un dovere di un paese che voglia dirsi civile. Sull'applicabilità del carcere duro decide la legge, il ministro della Giustizia e, eventualmente, sulla eventuale richiesta di  revoca, il tribunale di sorveglianza. Perché, dunque, si sta rivelando così difficile occuparsi del singolo caso Cospito senza bisogno di mettere in discussione l'intero principio? Perché ogni cosa in questo paese deve trasformarsi in specchietto per le allodole utile per parlare d'altro?

giovedì 19 gennaio 2023

Ma 30 anni di latitanza sono (anche) colpa di quella parte di società che continua a considerarsi controparte dello Stato

Il mondo non ha bisogno del mio commento sull'arresto di Matteo Messina Denaro. Il mio blog sì. La dietrologia che sta giganteggiando, e non solo sui social, sminuisce in modo inaccettabile il lavoro svolto dagli inquirenti e dagli investigatori. Ma siamo questo, e non credo che saranno sufficienti altri 2 secoli prima di potere essere veramente liberi. Magari tra quelli che ironizzano sulle modalità di un arresto che a loro dire sarebbe stato annunciato c'è anche chi mai e poi mai avrebbe chiamato i carabinieri per dirgli che sapeva dove si trovasse il boss. 

Indubbiamente ci sono tanti punti oscuri nella storia della lotta alla mafia, rivelatori (e in modo piuttosto inequivocabile) delle connivenze tra Stato e criminalità organizzata. E questo ben al di là della questione della trattativa, diventata oggetto di procedimenti giudiziari che hanno avuto un esito a dir poco deludente per chi li ha istruiti. Ma tutto questo non toglie nulla all'importanza della cattura di Matteo Messina Denaro. E di questo va dato atto a chi ha portato a termine questo risultato. 

Bisogna pensare male? Sì, bisogna. E allora penso male pure io: se Messina Denaro è rimasto latitante per 30 anni, e probabilmente a casa sua, non è stato solo per la protezione di quella che il procuratore De Lucia ha definito "borghesia mafiosa" o, per dirla con l'ex magistrata Teresa Principato, "delle massonerie internazionali", ma è stato anche perché è stata la stessa società che oggi inorridisce e minimizza, eleggendosi a "controparte" dello Stato, a ritenere che la sostanza della democrazia dipenda esclusivamente da quello che decidono i governanti, limitandosi ad autoassolvere la propria coscienza. 


venerdì 13 gennaio 2023

Libri. Giorgio Scerbanenco, autore noir. Italiano (a dispetto del cognome)

Ascoltando una delle più recenti puntate di "Fahrenheit", programma di approfondimento culturale di Rai Radio 3, mi sono imbattuto nella figura di Giorgio Scerbanenco. Non sfuggirà, ancorché "italianizzata", la natura inequivocabilmente slava del cognome. In realtà all'anagrafe di Kiev, il 28 luglio del 1911, il cognome corretto è Ščerbanenko. Padre ucraino, mamma italiana. Milano fu la sua città di adozione. E, stando a quanto apprendo, negli anni ha consegnato alla letteratura autentiche delizie thriller ambientate nella più europea delle città italiane, illuminandola nelle stradine e nei viali con una scrittura essenziale ma insuperabile, tra l'ironico e il drammatico. 
Personalmente in questi giorni ho potuto imbattermi in "Sei giorni di preavviso", che si trovava nella libreria di mio padre, e che sto rileggendo con gusto e passione. Si tratta della prima indagine poliziesca che ha come protagonista Arthur Jelling, archivista della polizia di Boston che si autopromuove a detective. È un romanzo del 1940. 
Visse poco Giorgio Scerbanenco. Morì infatti nel 1969. Chissà quante altre opere avrebbe potuto consegnare alla storia della letteratura italiana. A lui è intitolato un premio letterario per la letteratura poliziesca e noir. Voglio leggere
altre sue cose, perché è una fase, quella attuale, in cui mi va di conoscere autori del passato, che raccontavano storie che, in futuro, i fatti di cronaca avrebbero confermato come non ci sia niente di più inedito della realtà, e di come la realtà superi regolarmente la fantasia.

Il carcere duro: perché il dibattito sul singolo caso Cospito si sta estendendo sulla norma nella sua interezza

Avere trasformato la singola questione riguardante lo sciopero della fame dell'anarchico Alfredo Cospito in un dibattito (con molte, tro...