giovedì 19 gennaio 2023

Ma 30 anni di latitanza sono (anche) colpa di quella parte di società che continua a considerarsi controparte dello Stato

Il mondo non ha bisogno del mio commento sull'arresto di Matteo Messina Denaro. Il mio blog sì. La dietrologia che sta giganteggiando, e non solo sui social, sminuisce in modo inaccettabile il lavoro svolto dagli inquirenti e dagli investigatori. Ma siamo questo, e non credo che saranno sufficienti altri 2 secoli prima di potere essere veramente liberi. Magari tra quelli che ironizzano sulle modalità di un arresto che a loro dire sarebbe stato annunciato c'è anche chi mai e poi mai avrebbe chiamato i carabinieri per dirgli che sapeva dove si trovasse il boss. 

Indubbiamente ci sono tanti punti oscuri nella storia della lotta alla mafia, rivelatori (e in modo piuttosto inequivocabile) delle connivenze tra Stato e criminalità organizzata. E questo ben al di là della questione della trattativa, diventata oggetto di procedimenti giudiziari che hanno avuto un esito a dir poco deludente per chi li ha istruiti. Ma tutto questo non toglie nulla all'importanza della cattura di Matteo Messina Denaro. E di questo va dato atto a chi ha portato a termine questo risultato. 

Bisogna pensare male? Sì, bisogna. E allora penso male pure io: se Messina Denaro è rimasto latitante per 30 anni, e probabilmente a casa sua, non è stato solo per la protezione di quella che il procuratore De Lucia ha definito "borghesia mafiosa" o, per dirla con l'ex magistrata Teresa Principato, "delle massonerie internazionali", ma è stato anche perché è stata la stessa società che oggi inorridisce e minimizza, eleggendosi a "controparte" dello Stato, a ritenere che la sostanza della democrazia dipenda esclusivamente da quello che decidono i governanti, limitandosi ad autoassolvere la propria coscienza. 


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