martedì 13 luglio 2021

Perché è solo la Nazionale quella che ci fa ritrovare il senso della comunità?

So bene che il mondo potrebbe benissimo fare a meno del mio commento sulla recente vittoria della Nazionale degli Europei di calcio. Per cui prometto che sarò breve.
Considero socialmente significativo il senso della comunità che la conquista della coppa (e ancora prima la superiorità espressa in campo dai nostri giocatori sin dalla prima partita con la Turchia) ha generato in un Paese oggi profondamente lacerato, con una distanza tra le classi sociali (se questa classificazione ha ancora un senso) che, ahimè, il covid ha pesantemente accentuato. Un Paese nel quale quella che fino a un anno fa poteva considerarsi la nostra "middle class" oggi si sforza faticosamente di galleggiare tra le acque agitate di quelle che gli esperti definiscono "nuove povertà". Differenze su cui, piuttosto che lavorare sulle soluzioni, i nostri politici orchestrano ogni giorno nuovi e sempre più violenti scontri, perfettamente e consapevolmente inutili, "buoni" solo a galvanizzare le proprie corti. 
Nell'era dei social non c'è stato leader che non abbia celebrato sulle proprie pagine la grande conquista sportiva, evidentemente timoroso che una eventuale dimenticanza avvantaggiasse il proprio concorrente
più attento ad una cosa così importante, o palesasse addirittura una lontananza inaccettabile da un tema così sentito. 
Il senso della comunità è quello su cui da tempo cerco di battere, nei limiti del mio agire, s'intende. Il nostro essere italiani, il nostro orgoglio di "appartenere" a questa Nazione, dovrebbe essere un concetto fondante, nel rispetto di una Costituzione che (noto) nei piani alti ci si affretta ogni giorno che passa a modificare. Dovrebbe essere, ma non è. E non è "benaltrismo" riflettere su quello che significhi oggi il senso di appartenenza. I tempi sono cambiati, è ovvio, ma al tifo per l'Italia calcistica dovrebbe associarsi quello per l'Italia dei diritti civili, del lavoro (è l'epoca in cui più di 400 operai toscani vengono licenziati via email), della crescita economica e della tutela delle fasce più deboli. Vale per gli italiani, vale anche per i siciliani, per gli agrigentini, per i saccensi. 
Il periodo che stiamo attraversando è drammaticamente disancorato dai problemi veri di un Paese che, per dire, nel suo ceto politico, registra leader che mettono in discussione perfino l'appartenenza stessa all'Europa, all'inseguimento di teorie xenofobe e omofobe, forse buone per vincere le elezioni. Il che, nella loro testa, è tutto quello che importa. 
Un Paese che si appassiona alle sorti sportive di una Nazionale (malgrado la faticosissima adesione culturale e assai più che simbolica alla campagna Blacks lives matter) ci restituisce l'immagine di una nazione orgogliosa della sua storia e della sua identità. Ma non basta. Bisognerebbe trasformare l'orgoglio derivante dall'affermazione sportiva in uno spunto per affermare un senso di comunità diuturno, dove l'essere "di destra" o "di sinistra" diventi un fatto di importanza quasi secondaria di fronte alle sorti (inevitabilmente unificate) di tutto il Paese. Chiedo troppo, lo so, perché una cosa così apparentemente semplice si può concretizzare solo tra i popoli che non siano sempre perennemente schiavi di una campagna elettorale infinita. 

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