lunedì 22 marzo 2021

L'oblio, da dimensione dell'angoscia a esercizio di un diritto non sempre legittimo



L'oblio è quella dimensione che più di ogni altra suggella un'idea quasi filosofica di angoscia, sintetizzabile nella celebre metafora dei "titoli di coda" che, come in un film dal finale più o meno malinconico, scorrono ineluttabilmente sullo schermo della nostra vita, componendo uno struggente "The End". A meno che l'oblio non sopraggiunga con il nostro trapasso, è a quel punto che ci rendiamo conto di come sia la memoria il patrimonio più importante che ciascuno di noi può continuare a custodire. Anzi: spesso l'oblio è perfino una necessità di sopravvivenza. D'altra parte Balzac diceva che "i ricordi rendono la vita più bella, dimenticare la rende più sopportabile". È anche vero però che nell'oblio trova terreno fertile inevitabilmente la trasformazione talvolta drammatica della considerazione dell'essere di ciascuno: stranieri in terra straniera, sconosciuti tra gli sconosciuti. 

Nel giornalismo l'oblio non ha nulla di metafisico. Anzi, è un argomento di grande importanza, al punto tale che è anche un diritto riconosciuto all'interno della legislazione vigente oltre che dal punto di vista delle norme del nostro codice deontologico. Siamo chiamati, noi giornalisti, a rispettare la dignità di qualcuno che è stato al centro della cronaca nel passato, non annoverandolo più nell'attualità, non tirandolo più in ballo, soprattutto se questo processo scaturisce da narrazioni forzate, che vanno a tirare in ballo in maniera perfettamente inutile esperienze passate. Il giornalista è chiamato ad evitare di parlare di persone e fatti accaduti in passato, e se lo fa l'interessato può invocare il diritto all'oblio.

È evidente che stiamo parlando però di un diritto borderline, perché rievocare un fatto del passato da parte del giornalista non sempre è un'operazione inutile, soprattutto se si parla (per dire) di un soggetto che torna a commettere un reato che aveva già commesso vent'anni prima. Che si fa in questi casi? Non si può ricordare che l'autore del reato è un recidivo. In un caso del genere non solo non si può invocare un diritto all'oblio, ma è anzi necessario rievocare il fatto accaduto anni prima.

La comunicazione giornalistica è chiamata ad osservare regole che, tuttavia, talvolta sono obiettivamente difficili da fare rispettare. Tipo il diritto all'oblio. Però le norme sono norme, e bisogna sforzarsi di rispettarle. Ma è una regola complicatissima. Non sempre è superfluo fare riferimento a fatti del passato. Rimane dunque pacifico che una regola è una regola, ma poi la sua applicazione va inevitabilmente esaminata caso per caso. 

2 commenti:

  1. Forse c'entra poco con il tuo articolo ma meglio precisare. Ci sono situazioni che richiedono invece il diritto a NON ESSERE DIMENTICATI e il dovere a NON DIMENTICARE.. uomini e fatti importanti x la collettività e a commemorarli anche a distanza di decenni (vedi morti della shoa, uccisi di mafia etc). Anzi questo è proprio il caso del contrario dell'oblio. Perché l'oblio uccide ancora chi ha diritto di essere ricordato. Saluti cordiali

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  2. Forse c'entra poco con il tuo articolo ma meglio precisare. Ci sono situazioni che richiedono invece il diritto a NON ESSERE DIMENTICATI e il dovere a NON DIMENTICARE.. uomini e fatti importanti x la collettività e a commemorarli anche a distanza di decenni (vedi morti della shoa, uccisi di mafia etc). Anzi questo è proprio il caso del contrario dell'oblio. Perché l'oblio uccide ancora chi ha diritto di essere ricordato. Saluti cordiali

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