La protervia del potere di Vladimir Putin, e la sua aggressione criminale ad un paese sovrano come l'Ucraina, ha generato un dibattito internazionale su temi diversi: storici, diplomatici, negoziali e così via. Evito di soffermarmi oltremisura sul benaltrismo peloso di qualche sedicente intellettuale di casa nostra, per il quale la necessità del cessate il fuoco sarebbe comunque subordinata ad una resa incondizionata da parte di Zelensky. A cui, addirittura, si dà la colpa delle conseguenze (anche per noi) delle sanzioni inflitte a Mosca.
Ma nel dibattito delle sanzioni c'è finita anche l'arte russa. Da più parti, dall'inizio della guerra, sono stati sollevati dubbi sull'opportunità o meno di fruire di esibizioni sportive, esecuzioni musicali, pitture, spettacoli o interpretazioni drammaturgiche firmate da personalità russe. Questo tipo di impostazione non mi convince. Considero un radicalismo eccessivo il boicottaggio di una cultura prolifica e straordinaria. Non possiamo dare la colpa a Tolstoj, a Dostoevskij, a Rachmaninov o a Šostakovič, e alle loro opere se oggi il capo della Russia è, in estrema sintesi, un simil dittatore. C'è voluta la solita saggezza del presidente Mattarella, in occasione della prima della Scala del 'Boris Godunov' di Musorgskij, per ribadire che la cultura russa non si può cancellare. E io sono d'accordo con lui. Perché prima o poi Putin non ci sarà più. Ma l'arte di quel Paese continuerà ad essere tramandata e presente. E chi verrà dopo di noi dovrà continuare ad avere il privilegio di goderne.
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