mercoledì 24 ottobre 2018

Destra e Sinistra esistono ancora, se non nei partiti nei principi e nelle convinzioni di ciascuno di noi

Da qualche tempo mi capita di leggere, qua e là, considerazioni piuttosto critiche sul valore delle ideologie. "Destra e Sinistra non esistono più", si dice da anni. Critiche che, peraltro, nella loro impostazione, sono state "benzina sul fuoco" dell'escalation di consensi attorno al MoVimento 5 Stelle (non è una critica, ma una semplice constatazione). 
Eppure non sono convinto che Destra e Sinistra non esistano più. Esistono eccome. E questo, dal mio modesto punto di vista, esula dal problema di una semplice, ancorché non semplicistica, rappresentatività partitica. Questo passaggio è fondamentale, perché vuole tracciare, nel mio ragionamento, una linea di demarcazione netta tra l'ideologia politica e il suo contenitore di riferimento (il partito o il movimento). 
Scrive il filosofo della politica Norberto Bobbio, nella parte del suo libro "Destra e Sinistra" dedicata alla distinzione politica fondata su "Eguaglianza e Libertà", che il criterio più frequentemente adottato per distinguere la destra dalla sinistra è il diverso atteggiamento che gli uomini viventi in società assumono di fronte all’ideale dell’eguaglianza, che è, insieme a quello della libertà e a quello della pace, uno dei fini ultimi che si propongono di raggiungere e per i quali sono disposti a battersi. Aggiunge, poi, il prof. Bobbio, che a questo contrasto di scelte ultime si accompagna anche una diversa valutazione del rapporto tra eguaglianza-diseguaglianza naturale ed eguaglianza-diseguaglianza sociale. L’egualitario parte dalla convinzione che la maggior parte delle diseguaglianze che lo indignano, e vorrebbe far sparire, sono sociali e, in quanto tali, eliminabili; l’inegualitario, invece, parte dalla convinzione opposta, che siano naturali e, in quanto tali, ineliminabili.  
Sono considerazioni di tipo oggettivo, scevre da ogni giudizio. Tendono ad affermare il principio che i valori contenuti nelle ideologie appartengono alla sensibilità, ai principi etici e alle convinzioni  di ciascuno di noi. Idee che, naturalmente, non dovrebbero certo venir meno di fronte alla eventuale loro ridotta rappresentanza all'interno di questo o quel determinato partito. 
Ne consegue, dunque, che risulta oltremisura difficile, a fronte di una fisiologica delusione che può emergere quando non rileviamo una perfetta rispondenza tra le nostre aspettative e la linea politica di un partito che dovrebbe rappresentarci, beneficiare del nostro consenso elettorale un soggetto politico che persegue un'ideologia non tanto diversa della nostra, quanto totalmente antitetica. Non appare credibile, di conseguenza, aldilà di una larghezza di vedute sui generis, chi, pur rivendicando una discutibile appartenenza "alla Sinistra", consegna il suo consenso a partiti che perseguono (legittime, s'intende) politiche di Destra. Vale anche al contrario, naturalmente. 
Furbescamente, quando "scese in campo", Berlusconi si intestò una ideologia del Liberismo di destra. Quello che, per dire, oggi non ha più una grande rappresentanza, soprattutto a fronte di un'idea libertaria che, storicamente, promuove un'idea di libero mercato, taglio delle tasse ma, al tempo stesso, diminuzione della spesa pubblica, pareggio di bilancio (addirittura!) e calo delle prestazioni previste dallo stato sociale. Direi che la strada intrapresa dal governo tuttora in carica (dove la componente di Destra è particolarmente forte) vada in una direzione completamente opposta. 
Se è vero, dunque, che nell'immaginario collettivo "Destra e Sinistra non esistono più", è anche vero (secondo me) che viviamo in un'epoca in cui a prevalere è la marmellata ideologica, quella che contamina le antiche distinzioni oggi in campo con spruzzate di idee reazionarie de noàntri nella Sinistra, e zaffate di dittatura del proletariato all'amatriciana nella Destra. 
È il segno dei tempi, si dirà. Anche perché, per fortuna, le Elezioni sono fatte per stabilire chi debba andare a governare, e il risultato scaturisce dall'adesione della maggioranza degli elettori a questo o a quel programma. Non tutti i cittadini, legittimamente, possiedono convinzioni ideologiche così chiare e nette, ed è giusto che la società sia così. 
Ma se affermiamo, o premettiamo, di avere nella nostra testa idee politiche ben definite, allora è bizzarro farle aderire a programmi di opposta natura. Se è, il nostro, un voto di protesta (non ci trovo nulla di male), si abbia almeno il coraggio di dirlo, senza arzigogoli lessicali che sembrano far emergere solo un certo pudore. Del tipo: "Sono di sinistra, ma basta con tutti questi migranti". No, se affronti il problema (è innegabile che lo sia) in questo modo, tutto sei fuorché "di sinistra".
Massimo D'Antoni

sabato 13 ottobre 2018

Esegesi (in salsa privata) dell'accidia come lavacro della propria coscienza

A tutti sarà capitato, la prima volta che ci furono elencati i sette vizi capitali, domandarsi: "Che cos'è l'accidia"? E a molti sarà occorso, pur avendone poi conosciuti i connotati, dimenticarsi, più o meno puntualmente, di cosa si trattasse. E allora il promemoria è d'obbligo: l'accidia (dal greco "senza cura") è il simbolo dell'indolenza, della noia, dell'inerzia. Una parola che racchiude in sé concetti diversi: malinconia, apatia, pigrizia. Ma non è la versione "religiosa" dell'accidia che oggi voglio trattare. Anche se, sul piano squisitamente filosofico, lo stesso legame tra la visione mistica e quella terrena potrebbe essere elemento di discussione piuttosto stimolante. 

C'è un fenomeno che, più degli altri, considero preoccupante. Sto parlando dell'accidia contagiosa. Di quel processo, cioè, che trascina anche i più volenterosi nella direzione della nullafacenza, come una specie di piccola onda anomala affatto intensa. Nel senso che se solo lo si volesse gli si potrebbe resistere serenamente. C'è, per dire, un tipo di accidioso che non tollera chi rifugge dalla pigrizia. Trova, così, un'energia inopinata, prodiga di consigli non richiesti.

Attualizzando, trovo che risenta di un certo carattere accidioso anche il dibattito sociale e politico, soprattutto nella parte che impera sui social. Il sentimento prevalente sembra essere quello vendicativo, quello cioè di chi, identificandosi in un certo pensiero dominante, riesce a lavarsi la coscienza col sangue degli sconfitti. Il tutto sull'altare di un moralismo che, talvolta, ha la coda di paglia. Dove non sono pochi coloro che inneggiando alla gloria purificatrice hanno, comunque, uno scheletro piuttosto ingombrante dentro l'armadio della propria memoria. 

E così, tra frequentatori di segreterie politiche e in qualche caso notissimi beneficiari di raccomandazioni nei posti che contano della pubblica (e privata) amministrazione, la discussione che ne scaturisce non può che essere viziata, se non contaminata, dal dubbio che la rabbia odierna sia solo il lavacro interiore per tentare affrancarsi e rifarsi una verginità. Sembra strano, eppure non so esprimendo un giudizio. "Mondo è stato e mondo sarà", come si diceva una volta. Mi piacerebbe, tuttavia, che certi privilegiati smettessero i panni dei "reverendi fustigatori di costumi". 

Il carcere duro: perché il dibattito sul singolo caso Cospito si sta estendendo sulla norma nella sua interezza

Avere trasformato la singola questione riguardante lo sciopero della fame dell'anarchico Alfredo Cospito in un dibattito (con molte, tro...