giovedì 9 agosto 2018

La filosofia del sospetto non risparmia nemmeno le associazioni di volontariato. Che tristezza!

È un tempo, quello che stiamo vivendo, nel quale la cultura del sospetto sta sempre più surclassando quelloa della coscienza. È un fatto umano, che probabilmente si inquadra nel bisogno dell'uomo di costruirsi una sua verità, oltre ogni razionalità, oltre perfino ogni dato empirico. Fu il francese Paul Ricoeur il primo a parlare di "Filosofia del sospetto". Lo fece dopo avere elaborato le scuole di pensiero di alcuni tra i più grandi pensatori del diciannovesimo secolo: Marx, Nietzsche e Freud. La sintesi consiste nel “sospetto che dietro ai fenomeni culturali e alle norme e idee morali, si nascondano meccanismi di altra natura, motivi diversi da quelli dichiarati, cioè interessi economici, desideri o pulsioni istintive". 
Forse esagero a scomodare i grandi pensatori per cercare di fornire una (mia) chiave di interpretazione dei fatti moderni. Ma il passato aiuta sempre a capire il presente. Oggi il sospetto, sempre più diffuso come sorta di chiave del pensiero moderno, rischia di trasformarsi in una autentica arma di distruzione di massa delle coscienze, del libero arbitrio, della valutazione oggettiva dei fatti. Una questione nella quale, naturalmente, sguazzano i politici, puntualmente alla ricerca di spiegazioni verosimili verso scenari che molto spesso sono solo immaginifici. Certo, talvolta il sospetto "ci azzecca", generando una vanagloria esagitata in chi, di fatto, alla fine della fiera si era limitato solo a tirare ad indovinare.
Tra le deviazioni più pericolose del "sospetto" (sicuramente di quello fine a se stesso, esercitato spesso da persone che hanno problemi di natura personale) c'è sicuramente quella che si suggella nella mancata accettazione della realtà. Di quella realtà (parlo di quella oggettiva) che non corrisponde a quella sospettata ma che, tuttavia, non verrà mai presa in considerazione. È uno degli scenari nei quali si inserisce quella che abbiamo imparato a conoscere come post-verità, quella generata dalle fake-news ma che, di fatto, è diventata non più smontabile. 
C'è una specie di primazia del sospetto che disegna una contemporaneità fagocitata da una realtà che fa della contrapposizione politica il suo pane quotidiano. Tocca alla cultura cercare di invertire questa tendenza. Ma è una lotta impari. Perché se il sospettoso pensa che dietro una critica giornalistica ci sia un complotto, o che dietro un'azione pacifica riguardante l'organizzazione di un'iniziativa ci sia una conventio ad excludendum, c'è poco da fare per convincerlo del contrario. Ci sono soggetti che contestano presunte cospirazioni ai loro danni additando soggetti che, nella realtà, non sapevano nemmeno dell'esistenza dei primi. 
L'ho fatta troppo lunga, e me ne scuso. La politica moderna ha reso il dibattito complicato. I protagonisti di ieri avevano le spalle molto più larghe. Quelli di oggi si considerano intoccabili, perfino quelli che, di fatto, sono solo il due di coppe nella briscola a spade. Ma a deludermi di più oggi non è la politica, ma l'attività sociale. Perfino nei sodalizi improntati sul volontariato e sulle battaglie civiche stanno proliferando protagonismi e sospetti. Ed è questa la deriva più grave che la Filosofia del sospetto ha preso. Che tristezza. (nella foto: Cary Grant nel capolavoro di Hitchcock "Il Sospetto")

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