tag:blogger.com,1999:blog-46751995036780720052024-03-13T23:46:16.810-07:00Il Blog di Massimo D'AntoniL'arte rinnova i popoli e ne rivela la vitaMassimo D'Antonihttp://www.blogger.com/profile/13705239958023548687noreply@blogger.comBlogger113125tag:blogger.com,1999:blog-4675199503678072005.post-26591199232996895962023-01-31T11:06:00.004-08:002023-01-31T11:06:58.385-08:00Il carcere duro: perché il dibattito sul singolo caso Cospito si sta estendendo sulla norma nella sua interezza<div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEji-wm3ErHO_9yauM17MrSS8NC59X2M01AXogc8wqFiKSvs9wsZFKZVyieKAdHlD2TlEZTJ3UmgVDoryG65XpUP_5VsEfEMObkFZQfr--3iHyO4k3GrX4IWLTgwgdBMFYfzXHjWyIb0-r1jPPdFPQzBISmw_1KcFuFgOhOCmr6pdKdLbIhOZM-ltbNFGg/s990/144322987--534a64e5-0888-4514-9d27-7d4f5646c4f6.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="546" data-original-width="990" height="176" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEji-wm3ErHO_9yauM17MrSS8NC59X2M01AXogc8wqFiKSvs9wsZFKZVyieKAdHlD2TlEZTJ3UmgVDoryG65XpUP_5VsEfEMObkFZQfr--3iHyO4k3GrX4IWLTgwgdBMFYfzXHjWyIb0-r1jPPdFPQzBISmw_1KcFuFgOhOCmr6pdKdLbIhOZM-ltbNFGg/s320/144322987--534a64e5-0888-4514-9d27-7d4f5646c4f6.jpg" width="320" /></a></div><br />Avere trasformato la singola questione riguardante lo sciopero della fame dell'anarchico Alfredo Cospito in un dibattito (con molte, troppe dietrologie) sulla natura, e perfino sull'opportunità stessa dell'applicazione del regime del carcere duro, si sta rivelando una forzatura spaventosa. E, ancora una volta, ne è venuta fuori l'ennesima pagina del copione infinito del "teatrino della politica". Il tema, delicato e al tempo stesso controverso, è stato oggetto, in passato, di considerazioni avanzate dalla stessa Corte europea dei diritti dell'uomo, che però non hanno prodotto alcun risultato concreto, e il "carcere duro" ha resistito a diverse spallate.</div></div><div style="text-align: justify;">Ora, capisco che nel clima che viviamo, avanzare qualche dubbio sulla natura di questa legislazione speciale rischia di trasformarsi in un dito puntato contro, nella migliore delle ipotesi di "buonismo garantista", nella peggiore di "connivente con la mafia". È indubbio che i mafiosi soffrono il 41 bis. E basterebbe questo a mantenerlo in vita. Anche se dottrina e funzione costituzionale rieducativa del carcere confliggono con questa impostazione. È anche vero che trattare come gli altri detenuti anche chi ha ucciso e sciolto nell'acido un minore suscita indignazione.</div><div style="text-align: justify;">D'altra parte però il 41 bis sarebbe stato uno dei punti delle richieste dei mafiosi allo Stato nell'ambito della famigerata trattativa. Cospito non è un mafioso. Ma il 41 bis è previsto anche per chi è stato condannato per reati che rientrano nell'ambito delle azioni sovversive ed eversive contro l'ordinamento dello Stato.</div><div style="text-align: justify;">Personalmente non so se l'applicazione dell'articolo 41 bis dell'ordinamento di polizia penitenziaria nei confronti di Alfredo Cospito sia o meno sovradimensionato. È anche vero tuttavia che la salvaguardia delle condizioni di salute di ogni essere umano, anche se si tratta di un detenuto, rimane un dovere di un paese che voglia dirsi civile. Sull'applicabilità del carcere duro decide la legge, il ministro della Giustizia e, eventualmente, sulla eventuale richiesta di revoca, il tribunale di sorveglianza. Perché, dunque, si sta rivelando così difficile occuparsi del singolo caso Cospito senza bisogno di mettere in discussione l'intero principio? Perché ogni cosa in questo paese deve trasformarsi in specchietto per le allodole utile per parlare d'altro?</div>Massimo D'Antonihttp://www.blogger.com/profile/13705239958023548687noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4675199503678072005.post-14477341948964445672023-01-19T00:33:00.006-08:002023-01-19T01:17:20.393-08:00Ma 30 anni di latitanza sono (anche) colpa di quella parte di società che continua a considerarsi controparte dello Stato<p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj_qBM9XoIG-rOGZWzTaOKAy9cSfmAloVlNCtDWLXSGwBTSmhSP-TtG1p_OkP1we07Yu2ir2WU-CfgRG7g-TBqkZZGzf7nRKpxEzmFGJX60inll1oW9AXQca40n7goCDbVHwPykOOZ9nky_a4YjMjkJ_64D0UZ-7ToEAYHCj0IliJO_eR_6VLKenbH6JA/s640/MESSINA%20DENARO%20FOTO-2.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="360" data-original-width="640" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj_qBM9XoIG-rOGZWzTaOKAy9cSfmAloVlNCtDWLXSGwBTSmhSP-TtG1p_OkP1we07Yu2ir2WU-CfgRG7g-TBqkZZGzf7nRKpxEzmFGJX60inll1oW9AXQca40n7goCDbVHwPykOOZ9nky_a4YjMjkJ_64D0UZ-7ToEAYHCj0IliJO_eR_6VLKenbH6JA/s320/MESSINA%20DENARO%20FOTO-2.jpg" width="320" /></a></div>Il mondo non ha bisogno del mio commento sull'arresto di Matteo Messina Denaro. Il mio blog sì. La dietrologia che sta giganteggiando, e non solo sui social, sminuisce in modo inaccettabile il lavoro svolto dagli inquirenti e dagli investigatori. Ma siamo questo, e non credo che saranno sufficienti altri 2 secoli prima di potere essere veramente liberi. Magari tra quelli che ironizzano sulle modalità di un arresto che a loro dire sarebbe stato annunciato c'è anche chi mai e poi mai avrebbe chiamato i carabinieri per dirgli che sapeva dove si trovasse il boss. <p></p><p style="text-align: justify;">Indubbiamente ci sono tanti punti oscuri nella storia della lotta alla mafia, rivelatori (e in modo piuttosto inequivocabile) delle connivenze tra Stato e criminalità organizzata. E questo ben al di là della questione della trattativa, diventata oggetto di procedimenti giudiziari che hanno avuto un esito a dir poco deludente per chi li ha istruiti. Ma tutto questo non toglie nulla all'importanza della cattura di Matteo Messina Denaro. E di questo va dato atto a chi ha portato a termine questo risultato. </p><p style="text-align: justify;">Bisogna pensare male? Sì, bisogna. E allora penso male pure io: se Messina Denaro è rimasto latitante per 30 anni, e probabilmente a casa sua, non è stato solo per la protezione di quella che il procuratore De Lucia ha definito "borghesia mafiosa" o, per dirla con l'ex magistrata Teresa Principato, "delle massonerie internazionali", ma è stato anche perché è stata la stessa società che oggi inorridisce e minimizza, eleggendosi a "controparte" dello Stato, a ritenere che la sostanza della democrazia dipenda esclusivamente da quello che decidono i governanti, limitandosi ad autoassolvere la propria coscienza. </p><p style="text-align: justify;"><br /></p>Massimo D'Antonihttp://www.blogger.com/profile/13705239958023548687noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4675199503678072005.post-52159263472204314262023-01-13T00:23:00.003-08:002023-01-13T00:23:22.745-08:00Libri. Giorgio Scerbanenco, autore noir. Italiano (a dispetto del cognome) <div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiNnuCeIL8rAnIWJqNkr1LQNBxak_gfgHvjvatpRvNBpUudGqFTm3S1cBUiZGW-MLyJHxqmYO_7wgkWdazHp5jD_0kSDQGqqLnN_wy9GkU_Ikq1zU8pTWlRocg4kPBDSGH5fCAVEXQK_t4B58JwOP8Sh4_FPx8_bV6pyq9B8mUVhPLl9xRK9ZsKOugdTQ/s640/scerb-640x420.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="420" data-original-width="640" height="210" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiNnuCeIL8rAnIWJqNkr1LQNBxak_gfgHvjvatpRvNBpUudGqFTm3S1cBUiZGW-MLyJHxqmYO_7wgkWdazHp5jD_0kSDQGqqLnN_wy9GkU_Ikq1zU8pTWlRocg4kPBDSGH5fCAVEXQK_t4B58JwOP8Sh4_FPx8_bV6pyq9B8mUVhPLl9xRK9ZsKOugdTQ/s320/scerb-640x420.jpg" width="320" /></a></div>Ascoltando una delle più recenti puntate di "Fahrenheit", programma di approfondimento culturale di Rai Radio 3, mi sono imbattuto nella figura di Giorgio Scerbanenco. Non sfuggirà, ancorché "italianizzata", la natura inequivocabilmente slava del cognome. In realtà all'anagrafe di Kiev, il 28 luglio del 1911, il cognome corretto è Ščerbanenko. Padre ucraino, mamma italiana. Milano fu la sua città di adozione. E, stando a quanto apprendo, negli anni ha consegnato alla letteratura autentiche delizie thriller ambientate nella più europea delle città italiane, illuminandola nelle stradine e nei viali con una scrittura essenziale ma insuperabile, tra l'ironico e il drammatico. </div><div style="text-align: justify;">Personalmente in questi giorni ho potuto imbattermi in "Sei giorni di preavviso", che si trovava nella libreria di mio padre, e che sto rileggendo con gusto e passione. Si tratta della prima indagine poliziesca che ha come protagonista Arthur Jelling, archivista della polizia di Boston che si autopromuove a detective. È un romanzo del 1940. </div><div style="text-align: justify;">Visse poco Giorgio Scerbanenco. Morì infatti nel 1969. Chissà quante altre opere avrebbe potuto consegnare alla storia della letteratura italiana. A lui è intitolato un premio letterario per la letteratura poliziesca e noir. Voglio leggere <br />altre sue cose, perché è una fase, quella attuale, in cui mi va di conoscere autori del passato, che raccontavano storie che, in futuro, i fatti di cronaca avrebbero confermato come non ci sia niente di più inedito della realtà, e di come la realtà superi regolarmente la fantasia.</div>Massimo D'Antonihttp://www.blogger.com/profile/13705239958023548687noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4675199503678072005.post-77559196180500549602022-12-15T10:16:00.006-08:002022-12-15T10:17:07.348-08:00Ma chi brandisce il Qatargate contro la superiorità morale in fondo vuole solo giustificare le sue marachelle<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhEUThPYoWL3HF0C1COsqDp4hG35tXTZZSuwERV7VfUIGAi2AfMlVrrBeAEpcbUZsIUzAmwgyLDGcNEnvvV8vf0RxZ87WuoTf1her1v73XZQ5UduJZyWJE_5hN-dRu3zltpu7T3vgWJ7Agr-fNvtYOLDpPOGFUS-xznCspfBkDXhyGVwT00E5BOCOcWXw/s1125/superiorit%C3%A0-morale.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="750" data-original-width="1125" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhEUThPYoWL3HF0C1COsqDp4hG35tXTZZSuwERV7VfUIGAi2AfMlVrrBeAEpcbUZsIUzAmwgyLDGcNEnvvV8vf0RxZ87WuoTf1her1v73XZQ5UduJZyWJE_5hN-dRu3zltpu7T3vgWJ7Agr-fNvtYOLDpPOGFUS-xznCspfBkDXhyGVwT00E5BOCOcWXw/s320/superiorit%C3%A0-morale.jpg" width="320" /></a></div><p style="text-align: justify;">Che politica è mai quella che, per ragioni di interesse elettorale, definisce la sostanza etica stessa di un'idea per colpa di qualche infedele che prende tangenti? Io questo lo pensavo già nel 1992, quando Mani pulite scoperchiò il malaffare diffuso tra i partiti dell'epoca, avviandone in estrema sintesi, in parte giustamente, in parte no, la cancellazione dalla storia. Lo penso ancora oggi. </p><p style="text-align: justify;">È chiaro anche a me come il Qatargate sia di una gravità inaudita. Ma il giochino di considerare il Pd come simbolo di questo malaffare che viene mosso soprattutto da destra (e non solo) mi sembra azzardato. Anche se scaturisce, va ammesso, da quella supposta superiorità morale che, in effetti, faceva abbastanza puzza anche nel '92. Ma chi non ha peccato di superiorità morale scagli la prima pietra. Sono il primo ad essere deluso della dura realtà che sta venendo fuori (in attesa delle sentenze) attorno all'inchiesta sulla moglie e sulla suocera di Abubakar Soumaoro, le cui battaglie sindacali lo hanno trasformato in personaggio politico.</p><p style="text-align: justify;">La sensazione che prevale in me è comunque che chi brandisce l'inchiesta di Bruxelles come uno scudiscio lo faccia un po' per giustificarsi delle sue marachelle. Perché alla fine il tentativo è sempre quello di appaiare le responsabilità e ribadire, per l'eternità, che "ladro io, ladri tutti". Ovvero: "tutti colpevoli, nessun colpevole". </p><p style="text-align: justify;">No, non funziona così. Anche se è chiaro che prima chi veniva sorpreso a rubare almeno un po' si vergognava. Oggi non si vergogna più nessuno. E se l'obiettivo di Mani pulite fu quello di cambiare la storia, questo non solo non è successo, ma è possibile dire che il quadro è nettamente peggiorato.</p>Massimo D'Antonihttp://www.blogger.com/profile/13705239958023548687noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-4675199503678072005.post-10078869730490838572022-12-15T09:54:00.001-08:002022-12-15T09:55:09.641-08:00Aggressione di Mosca in Ucraina criminale, ma la cultura russa non si può boicottare<div style="text-align: left;"><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhjucCxBrWg7RoQ6kF_dw99BYEbGTbkqQOX_QGs7Pin-LnQ2Ac-7dzyL5RHZNir0N2LfeGYfN3G4ueS301ugYVgAFzUwKWY0s1IEe_54iAbAOTAdxhhxBNcVgJ4nPj2TA3m-19oGT1_t9QwRg2S6l9jUOqbe2xny-GmP6P6un5LWu-nHRFQyh06-jsRNg/s1200/lev-tolstoj-autore.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="840" data-original-width="1200" height="224" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhjucCxBrWg7RoQ6kF_dw99BYEbGTbkqQOX_QGs7Pin-LnQ2Ac-7dzyL5RHZNir0N2LfeGYfN3G4ueS301ugYVgAFzUwKWY0s1IEe_54iAbAOTAdxhhxBNcVgJ4nPj2TA3m-19oGT1_t9QwRg2S6l9jUOqbe2xny-GmP6P6un5LWu-nHRFQyh06-jsRNg/s320/lev-tolstoj-autore.jpg" width="320" /></a></div><br /><br /></div><div style="text-align: justify;">La protervia del potere di Vladimir Putin, e la sua aggressione criminale ad un paese sovrano come l'Ucraina, ha generato un dibattito internazionale su temi diversi: storici, diplomatici, negoziali e così via. Evito di soffermarmi oltremisura sul benaltrismo peloso di qualche sedicente intellettuale di casa nostra, per il quale la necessità del cessate il fuoco sarebbe comunque subordinata ad una resa incondizionata da parte di Zelensky. A cui, addirittura, si dà la colpa delle conseguenze (anche per noi) delle sanzioni inflitte a Mosca.</div><div style="text-align: justify;">Ma nel dibattito delle sanzioni c'è finita anche l'arte russa. Da più parti, dall'inizio della guerra, sono stati sollevati dubbi sull'opportunità o meno di fruire di esibizioni sportive, esecuzioni musicali, pitture, spettacoli o interpretazioni drammaturgiche firmate da personalità russe. Questo tipo di impostazione non mi convince. Considero un radicalismo eccessivo il boicottaggio di una cultura prolifica e straordinaria. Non possiamo dare la colpa a Tolstoj, a Dostoevskij, a Rachmaninov o a Šostakovič, e alle loro opere se oggi il capo della Russia è, in estrema sintesi, un simil dittatore. C'è voluta la solita saggezza del presidente Mattarella, in occasione della prima della Scala del 'Boris Godunov' di Musorgskij, per ribadire che la cultura russa non si può cancellare. E io sono d'accordo con lui. Perché prima o poi Putin non ci sarà più. Ma l'arte di quel Paese continuerà ad essere tramandata e presente. E chi verrà dopo di noi dovrà continuare ad avere il privilegio di goderne.</div></div>Massimo D'Antonihttp://www.blogger.com/profile/13705239958023548687noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4675199503678072005.post-5141333055290434022022-11-27T14:13:00.008-08:002022-11-28T00:41:39.428-08:00Da "Esterno notte" a "Il Dio disarmato": Moro tra ricostruzioni e legittime suggestioni artistiche <h2 style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><span style="font-weight: 400;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiRk_7B3gUQRJy5Mp0UhtNJ6HhAsrJtpygvB6Xht3vx91SOoL9mUiwxBS2aPL5uwqeMOI7z0q8AODzMJgSNgFnOxK8W0JBsLljVYWXRB8ok8iZIWP_5KAkoR5ceFrHr_6nYpWjeScsvOfvgqDcfqIaKBCZezzEAO-qLjnboVdmAZODspjjZUpEWJTDzeA/s696/esterno-notte-696x392.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="392" data-original-width="696" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiRk_7B3gUQRJy5Mp0UhtNJ6HhAsrJtpygvB6Xht3vx91SOoL9mUiwxBS2aPL5uwqeMOI7z0q8AODzMJgSNgFnOxK8W0JBsLljVYWXRB8ok8iZIWP_5KAkoR5ceFrHr_6nYpWjeScsvOfvgqDcfqIaKBCZezzEAO-qLjnboVdmAZODspjjZUpEWJTDzeA/s320/esterno-notte-696x392.jpg" width="320" /></a></div>Nel suo film "Esterno notte", dedicato alla tragedia di via Fani e agli eventi privati e pubblici attorno al rapimento e all'uccisione di Aldo Moro, Marco Bellocchio propone una chiave di lettura che, alla ricostruzione storica, affianca anche alcune libere interpretazioni con evidenti e forse inevitabili finalità drammaturgiche. Questo fatto è stato oggetto di polemica, anche dalle nostre parti, da parte di personalità di primo piano di quella che fu la Democrazia cristiana di quegli anni, a cominciare dal mio amico onorevole Lillo Pumilia. A cui riconosco una straordinaria capacità di oggettivare i suoi ragionamenti, anche quando questi riguardino o esaminino persone o vicende a lui vicine. </span></span></h2><h2 style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><span style="font-weight: 400;">E, devo ammettere, onestamente non è mai stato accertato che Moro, in una confessione che sarebbe avvenuta nella "prigione del Popolo" a don Mennini, abbia detto al prete di odiare Giulio Andreotti (ancorché accusando, per questo motivo, un cristiano senso di colpa). E, d'altra parte, anche se la confessione ci fosse davvero stata, il segreto di quella confidenza non avrebbe potuto essere svelato se non violando forse il più monumentale dei precetti della religione cattolica. </span></span></h2><h2 style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><span style="font-weight: 400;">È un fatto passato alla storia, tuttavia, quello riguardante la decisione della famiglia Moro, che rifiutò i funerali di Stato. Che, per inciso, furono celebrati lo stesso ma in assenza del feretro in chiesa. Le spoglie mortali di Aldo Moro erano state benedette in cerimonia privata.</span></span></h2><h2 style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><span style="font-weight: 400;">Così come è un fatto che fu scritto nero su bianco dallo statista (accusato anche per questo fatto di non essere più lucido a causa della sua prigionia) "Il mio sangue ricadrà su di loro", riferendosi espressamente ai capi del suo partito, che con la "linea della fermezza", avallata dal PCI, di fatto lo condannarono a morte. Da appassionato di cinema, ho apprezzato la ricostruzione scenografica, la regia (sul piano tecnico) e le prove di altissimo livello degli attori del cast, a partire da quella di Fabrizio Gifuni. La parte del film relativa alla ricostruzione per così dire "fantasiosa" da parte di Marco Bellocchio personalmente non la ritengo scandalosa. Sì, in alcuni frangenti forse è forzata, e non sarò certamente io a negare che possa in qualche maniera risentire di possibili condizionamenti ideologici dell'autore. Quella di Bellocchio però rimane, in ogni caso, una chiave di lettura legittima, compresa la suggestione del finale che non è stato, quello di Moro vivo (sperato da Cossiga)<br />, che apre gli occhi ed esce dal cofano della Renault 4 parcheggiata in via Caetani incamminandosi verso un futuro che, invece, nella realtà era già stato interrotto. Non si possono pretendere da un film rigorosissime ricostruzioni fattuali. Tanto più che ci sono fatti rimasti tuttora senza spiegazione. Per le ricostruzioni fattuali ci sono i documenti e i documentari. </span></span></h2><h2 style="text-align: justify;"><div style="clear: both; text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjTeUBwYFgLxQPfKT7iGO0_duUGsmwTnGd8DDGwRvynOBqRJ1hfCRepojxbb18L6dy8JVk7CU_dXNYbs6YzmF7nuezktEN5mSI0RYwbXW5BKnkMEP5KahQlBOXi_ZsAKFw80z0nkMWkxIU3kxYK_6s1CsVHp8YYNGqmKxlBGilrGrjLJBKwUgITSWwm2A/s1585/Libro.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1585" data-original-width="1000" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjTeUBwYFgLxQPfKT7iGO0_duUGsmwTnGd8DDGwRvynOBqRJ1hfCRepojxbb18L6dy8JVk7CU_dXNYbs6YzmF7nuezktEN5mSI0RYwbXW5BKnkMEP5KahQlBOXi_ZsAKFw80z0nkMWkxIU3kxYK_6s1CsVHp8YYNGqmKxlBGilrGrjLJBKwUgITSWwm2A/s320/Libro.jpg" width="202" /></a><span style="font-family: verdana; font-size: large; font-weight: 400;">Qualche giorno fa ho presentato a Sciacca, invitato dalla mia amica Ornella Gulino della libreria Ubik, un libro sul caso Moro. Si intitola "Il Dio disarmato", di Andrea Pomella, pubblicato da Einaudi. Sul piano della collocazione dei fatti ci fermiamo solo a via Fani. Ma se ci si chieda in quale altro modo, dopo tutti quelli a cui scrittori, giornalisti e storici hanno fatto ricorso in 44 anni, sarebbe stato possibile raccontare l’agguato di via Fani, io credo che la risposta sia proprio in questo libro. Nel quale l’autore attraversa più volte, e con una scrittura potente e intensa, i 3 minuti di quello che, citando il titolo della grande inchiesta televisiva di Sergio Zavoli, è stato il momento più buio della “Notte della Repubblica”. E, d’altronde, il grande giornalista dedicò ben 3 delle 18 puntate di quel programma che, parlo da giornalista, avrebbe dovuto, così come dovrebbe ancora, fare parte della materia storica dell’istruzione pubblica. </span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; font-weight: 400;"><br /></span></div></h2><h2 style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><span style="font-weight: 400;">Una delle preoccupazioni nelle presentazioni di un libro, soprattutto se si tratta di un romanzo, è il cosiddetto rischio che venga “spoilerato” il finale. Non è questo il caso. Eppure, leggendo, ed è merito dell’autore, in qualche frangente sembra che debba succedere sempre qualcosa di diverso dalla linea temporale a tutti conosciuta. Ma, evidentemente, sul caso Moro c’è ben poco da spoilerare, lo sappiamo tutti, la successione dei fatti è entrata nella cronaca e nella mente di tutti noi. </span></span></h2><h2 style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><span style="font-weight: 400;">Volendo rappresentare le analogie storiche con le vicende internazionali, e con i drammi vissuti da altre democrazie, potremmo dire che il caso Moro è stato uno dei nostri “11 settembre”, anche se secondo me è stato il nostro “22 novembre”, la data dell’assassinio a Dallas di John Kennedy. Dico questo perché, pur guardando da sempre con il più razionale dei disincanti possibili alle cosiddette “teorie del complotto”, credo che sull’omicidio del presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro troppi punti oscuri, non a caso sfuggiti a testimonianze e ammissioni di responsabilità, siano tuttora rimasti oscuri. </span></span></h2><h2 style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><span style="font-weight: 400;">Ma attenzione: non è di questo che si occupa Andrea Pomella nel suo libro (a parte un cenno alla inquietante minaccia di Kissinger a Moro sull’impegno di quest’ultimo a far "convergere le parallele" tra i due grandi partiti di massa). Certo, non può restare estranea alla narrazione dell'autore la simbologia del governo Andreotti che proprio quella mattina avrebbe dovuto presentarsi alla Camera per il primo governo, quello della “non sfiducia” da parte del Pci.</span></span></h2><h2 style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><span style="font-weight: 400;">No, l’autore affianca ai fatti storici quello che considero un interessante “gioco del tempo”, cosa che solo un autore documentato, rigoroso a conoscenza dei fatti è in grado di fare, smontando e ricomponendo a più riprese la linea cronologica, spostando ora avanti, ora indietro, le lancette dei singoli eventi, offrendoci una successione apparentemente innaturale di prospettive inevitabilmente inedite, perché sono quelle degli occhi e dei sensi di chi ha vissuto personalmente quella tragedia, comprese le vittime, a partire dagli uomini della scorta di Moro, la cui parte in questa storia si trasforma in una specie di sublimazione non certo solo filosofica del protettore sprovvisto a sua volta di un protettore.</span></span></h2><h2 style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><span style="font-weight: 400;">Ecco la parte del libro che lo rende unico. Voglio invitarvi a leggere, in tale direzione, quello che Andrea scrive nella sua nota dell’autore a fine romanzo. “Esistono tre verità riguardo ad uno straordinario avvenimento di sangue accaduto nel passato: una verità storica, una giudiziaria e una – più sfuggente – che ha a che fare con la percezione individuale e collettiva”. È effettivamente di quest’ultima quella di cui Andrea Pomella si occupa. Lo fa con delle ipotesi narrative suggestive ma assolutamente verosimili, con lo stile del romanziere che mette a disposizione del racconto non tanto la fantasia, quanto l’immedesimazione vera e propria. Ci racconta, Pomella, l'uomo e le sue emozioni. In un libro il meccanismo è diverso da quello di un film. Ma anche qui c'è la fantasia.</span></span></h2><h2 style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><span style="font-weight: 400;">Entriamo così nel privato di Aldo Moro, raffreddato e insonne, con la testa ai suoi studenti ma anche ai figli, alle prese con un rapporto da “nonnetto” con il nipotino Luca, di cui tornerò a parlare tra poco. Entriamo nella vita di chi ancora oggi, attraversando la zona di Roma tra via Stresa, del Trionfale e, naturalmente Fani, si imbatte nella lapide commemorativa di quella tragedia. Entriamo nella vita di chi ci passò nel 1978, di chi come lo stesso Andrea c’è tornato mentre Marco Bellocchio allestiva il set del film “Esterno notte”. Entriamo nelle vite degli uomini della scorta, di quella del maresciallo Leonardi, così come nelle vite di Eleonora Moro, la rigorosissima moglie del presidente, che cerca di proteggere per come può la parte privata della vita del marito. Una specie di “loop” che Andrea propone e ripropone, permettendoci di entrare per un momento nella vita di chi passò da quelle parti, di chi prima si accorse di qualcosa di strano e di chi dopo assistette al drammatico spettacolo della tragedia.<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhwMWLkjxLXOWF-7vsGUyPh2Uu1W4EYbVRg7OeX9rg-A4ZkcPTA_38Heuna17yEX21Q1pTtr94zjvOkbG4w7Q7vuhdFpGDXQ91FrThJ1o9UzQ_mg5CQ-Sl9ckkEuy-eb6TXqNvILcFLr1nBhnWNAaKuoyphNiFhkhFCIEjr0PWnr2y-jFD81UEtIZ0Ueg/s1600/WhatsApp%20Image%202022-11-27%20at%2022.11.43.jpeg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="866" data-original-width="1600" height="173" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhwMWLkjxLXOWF-7vsGUyPh2Uu1W4EYbVRg7OeX9rg-A4ZkcPTA_38Heuna17yEX21Q1pTtr94zjvOkbG4w7Q7vuhdFpGDXQ91FrThJ1o9UzQ_mg5CQ-Sl9ckkEuy-eb6TXqNvILcFLr1nBhnWNAaKuoyphNiFhkhFCIEjr0PWnr2y-jFD81UEtIZ0Ueg/s320/WhatsApp%20Image%202022-11-27%20at%2022.11.43.jpeg" width="320" /></a></div></span></span></h2><h2 style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><span style="font-weight: 400;">Voglio concludere con un riferimento al piccolo Luca, il figlioletto di Fida Moro, colei che più di chiunque altri presagiva la tragedia. Ecco, io attribuisco alla figura di Luca quella del vero protagonista di questo romanzo. Intravedo, nel rapporto privilegiato tra il nonnetto e il nipote, che ci sia un lascito testamentario di tipo culturale e religioso. D’altronde, recentemente, Luca a precisa domanda su chi possa essere una sorta di nuovo Moro tra le personalità politiche dell’attuale panorama nazionale, ha detto: “io accosto mio nonno solo a Gesù”.</span></span></h2>
Massimo D'Antonihttp://www.blogger.com/profile/13705239958023548687noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4675199503678072005.post-27478975542842511872022-10-16T11:00:00.003-07:002022-10-16T11:19:11.185-07:00Preoccupa l'arretramento in vista sui diritti civili, ma la democrazia non è morta<div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjrUjfI0lCNWiWElcD2WuI-6UMlX_78NxBPLlkjLr1pehIh7S-6s_c6blyxMT8duU9zNW5qLesdcscvtQt-eEdc8zS7VOZKVUO5WiNCAMKh4IEk8xxDrBmKxUNqdOOHP_OD_1aZUtAb-gq3ZOlutV1zDEUNXjClBmNqSqIp65kJF6jLjuTqbds9NBAdbQ/s1197/Meloni.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="630" data-original-width="1197" height="168" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjrUjfI0lCNWiWElcD2WuI-6UMlX_78NxBPLlkjLr1pehIh7S-6s_c6blyxMT8duU9zNW5qLesdcscvtQt-eEdc8zS7VOZKVUO5WiNCAMKh4IEk8xxDrBmKxUNqdOOHP_OD_1aZUtAb-gq3ZOlutV1zDEUNXjClBmNqSqIp65kJF6jLjuTqbds9NBAdbQ/s320/Meloni.jpg" width="320" /></a></div>Più che una coincidenza è proprio uno dei tanti paradossi della storia che, esattamente cento anni dopo la Marcia su Roma, nell'anno di grazia 2022 la destra (non il centro, non un "nei paraggi", non il "fuochino" ma proprio Lei) abbia vinto le elezioni politiche. La conseguenza (giusta) è che la signora Giorgia Meloni sarà la prima donna a presiedere il governo del Paese. Oddio, non che a lei una cosa del genere debba fare molta impressione. Il brodo di coltura (politico, se non quello strettamente familiare) nel quale anche lei si è formata è stato quello patriarcale, stigma osservato anche dalle donne di destra, comprese quelle che pure in famiglia comandavano ma che facevano finta di chiedere consiglio al marito prima di notificare una decisione già ampiamente presa. </div><div style="text-align: justify;">Giorgia Meloni ha il diritto di governare. Ne ha anche il dovere, perché è proprio per questo motivo che si è presentata alle ultime elezioni. Gli argomenti della sinistra al momento non possono che essere quelli a tutti immaginabili: i nostalgici saluti romani, la fiamma tricolore nel simbolo di Fdi, il secondo nome di battesimo di La Russa e l'oscurantismo di Fontana. </div><div style="text-align: justify;">Intendiamoci: è ovvio che faccia impressione che a capo della seconda e della terza carica dello Stato ci siano rispettivamente gli eredi di visioni politiche che dal mio punto di vista sono state non solo superate, ma sconfitte dalla storia. Ma al popolo (almeno a quella parte che è andata a votare) sta bene così. E a noi deve stare bene pure per forza. </div><div style="text-align: justify;">Questa virata a destra purtroppo è il frutto di un Paese con una offerta politica talmente parcellizzata da essere ingovernabile. Ecco perché ci sono stati gli Amato, i Ciampi, i Monti e in ultimo i Draghi. Ma ci sta bene così. Anche perché oggi i leader nei simboli ci mettono il loro cognome. Le visioni della società, dell'economia e della politica estera hanno un valore relativo. E poco importa se questi simboli prendono l'uno per cento e rotti, perché alcuni di questi leader immaginari arriveranno ugualmente al traguardo asciutti, anche avendo attraversato i nubifragi. C'è di peggio. In Austria il partito della birra ha preso tanti voti. </div><div style="text-align: justify;">Il Pd è cattivo perché, pur avendo più volte perso le elezioni (siamo una democrazia parlamentare, ma capisco che quel 'popolo' che sottopone a referendum su Facebook l'abolizione dei senatori a vita questo fatto non lo capisca fino in fondo) si è comunque fatto trovare pronto per provare a non fare sprofondare il Paese. Beh, deve smettere di farlo. Perché se chi vince le elezioni non ce la fa a governare, al netto dell'istinto di autoconservazione di indennità, pensioni e vitalizi dei parlamentari la cosa giusta da fare è tornare al voto e provare a fare uscire dalle urne un'altra maggioranza. Come fanno in Israele, dove hanno lo stesso problema di noi, se non peggio. Oppure come in Spagna. Dove però la vittoria di Fratelli d'Italia sta galvanizzando l'estrema destra, e mi sa che sono pronti pure loro a rinverdire la fiamma del loro dittatore Francisco Franco.</div><div style="text-align: justify;">Giorgia Meloni ha il compito di governare. Certo, prima deve provare a tenere unita una coalizione che sta facendo le bizze (siamo in Italia, niente di strano che accada). I suoi tentativi di smarcarsi da un retaggio ingombrante (visto che c'è ancora la fiamma tricolore Fdi è a tutti gli effetti erede di un partito dichiaratamente post-fascista) si sono scontrati con il voto pro-Orban dei suoi all'Europarlamento e con la benedizione da lei stessa impartita ai franchisti di Vox. </div><div style="text-align: justify;">Se vogliamo poi parlarne, certo che i timori di un arretramento spaventoso sui diritti civili ci stanno tutti. L'elezione del sedicente ultra cattolico (nonché omofobo) Lorenzo Fontana alla presidenza della Camera è un segnale che personalmente considero più preoccupante di quella di Ignazio La Russa (non richiamo il suo ingombrante secondo nome) alla presidenza del Senato. Ma per fortuna la democrazia non è ancora morta. E non morirà. L'Italia non è uno Stato fascista. È ancora uno Stato repubblicano, con tanto di Costituzione (antifascista). E non credo che tra qualche tempo sarò costretto a cancellare questo pezzo. Così come non penso che mi toccherà di assaggiare l'olio di ricino. </div><div style="text-align: justify;">Giorgia Meloni governi. E il Pd si ricostruisca. Senza bisogno di sciogliersi e cambiare nome. Perché se questo serve a riconquistare le simpatie di chi dice che è di sinistra ma vota per Fratelli d'Italia perché la sinistra non c'è più e Berlinguer è morto direi che non ne vale la pena. Perché soggetti del genere o non capiscono niente di politica o sono semplicemente (come credo) degli emeriti cretini. Votino per chi vogliono senza mostrare di sentirsi in colpa o, peggio ancora, </div><div style="text-align: justify;">giustificarsi.</div>Massimo D'Antonihttp://www.blogger.com/profile/13705239958023548687noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4675199503678072005.post-79568240078513676652022-08-03T10:26:00.011-07:002022-08-03T12:00:04.306-07:00Giocatori d'azzardo: sabato sera alla Lega Navale Virman Cusenza presenta il suo libro<p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgm-EvgKFMuu7Ki_4E73PO8tdTX2L3-PGFwYvFW9DLqpgwZK3TvgUvj1i0U6v0DQWbJr33d1f9G7u3_pPhdFSq-jKjwq9GgRgT5qBfXwO4DVUevg_BtRSHSElsiL29tkW1A7K3BxemzOINU6PorbtJzbIK1guttSVtJq36nFpp2GFSaBjm8QGkCK_gwjQ/s1600/WhatsApp%20Image%202022-08-02%20at%2009.19.53.jpeg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1127" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgm-EvgKFMuu7Ki_4E73PO8tdTX2L3-PGFwYvFW9DLqpgwZK3TvgUvj1i0U6v0DQWbJr33d1f9G7u3_pPhdFSq-jKjwq9GgRgT5qBfXwO4DVUevg_BtRSHSElsiL29tkW1A7K3BxemzOINU6PorbtJzbIK1guttSVtJq36nFpp2GFSaBjm8QGkCK_gwjQ/s320/WhatsApp%20Image%202022-08-02%20at%2009.19.53.jpeg" width="225" /></a></div><br /><br /><p></p><p style="text-align: justify;">Ci sono storie, dentro la Storia, che meritano di essere conosciute. In "Giocatori d'azzardo" (Mondadori) Virman Cusenza (già direttore de "Il Messaggero" e "Il Mattino") ce ne consegna due: da una parte quella di Enzo Paroli, avvocato antifascista bresciano, dall'altra quella di Telesio Interlandi, forbitissimo giornalista del regime fascista e dichiaratamente razzista, noto come il "ventriloquo di Mussolini". Due storie che si intrecciano, con Paroli che non solo decide di assistere legalmente Interlandi, ma di offrirgli addirittura un nascondiglio insospettabile (la sua stessa abitazione), in un momento storico a dir poco drammatico, quello che dopo il tentativo di Mussolini di rinascere nella RSI prima di essere ucciso, segnerà l'epilogo della guerra civile con le vendette dei partigiani contro i quadri dello sconfitto regime. </p><p style="text-align: justify;">Palmiro Togliatti, ministro della Giustizia, non ha ancora concesso l'amnistia ai vecchi gerarchi che dopo l'8 settembre hanno commesso reati politici. E così Interlandi rischia grosso, sia di fronte ai partigiani, sia di fronte al primo governo scaturito dalla Liberazione del Paese. Evade dal carcere dove è rinchiuso. Per la verità viene scarcerato a seguito di un apparente equivoco. L'avvocato Paroli ne accetta la difesa, ma favorendone la latitanza rischia di perdere la dignità di uomo democratico e antifascista e, ad un tempo, di calpestare i dettami stessi della sua professione. Ma può un avvocato rifiutare di difendere un accusato? È una delle domande che segnano da secoli la coscienza di chi esercita la professione dell'avvocato, inducendo a riflessioni su riflessioni anche chi operatore del diritto non è ma che avrà la possibilità di leggere questo libro. </p><p style="text-align: justify;">Virman Cusenza ha portato a termine un lavoro minuzioso di ricerca e di analisi delle fonti storiche, atti pubblici e lettere private. Lo ha fatto dopo avere appreso che di questa storia si era occupato Leonardo Sciascia, paladino del Diritto nella letteratura contemporanea. Solo la morte, sopravvenuta nel 1989, gli impedì la conclusione di quel lavoro editoriale. </p><p style="text-align: justify;">Sabato sera, alle 21, alla Lega Navale, in una serata organizzata dalla libreria Mondadori di Sciacca, presenteremo questo libro. Sarò io ad avere il privilegio di intervistare Virman Cusenza. Il contenuto di "Giocatori d'azzardo" è una vera e propria riproduzione di spunti di argomenti dell'attualità. Quello che, quasi filosoficamente, merita secondo me un approfondimento è il tema della pietà per gli sconfitti. Si possono rispettare i diritti universali di una persona non solo accusata, ma anche colpevole? Ne parleremo. Vi aspetto sabato. L'evento è organizzato con la collaborazione del Rotary di Sciacca. Al termine della serata degusteremo i vini delle Cantine Feudo Arancio, partner della libreria Mondadori nella rassegna dal titolo "Libri sotto le stelle". </p>Massimo D'Antonihttp://www.blogger.com/profile/13705239958023548687noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4675199503678072005.post-56079803945919333122022-01-23T04:01:00.006-08:002022-01-23T04:02:41.362-08:00Del voto e delle promesse, del popolo e delle ambizioni: la storia sembra destinata a ripetersi<p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgMM1fcTfarrHuEslKt_cQ4mg9yI92uUYDSRTyeoLhC6LMaYShAdjpRb4_TDGDlZ3J7jvh6kwwtzfU6zENkke1EXRUiTemXcZeNdYntQ1ojg81yD9SIUtXZ_hUZE4V4KNiNlkNmrPK3HbdWSZvbU47x4xa7yujMRGd6UbkikokEx9CvGd2FGphnv8fFyA=s1200" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="1200" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgMM1fcTfarrHuEslKt_cQ4mg9yI92uUYDSRTyeoLhC6LMaYShAdjpRb4_TDGDlZ3J7jvh6kwwtzfU6zENkke1EXRUiTemXcZeNdYntQ1ojg81yD9SIUtXZ_hUZE4V4KNiNlkNmrPK3HbdWSZvbU47x4xa7yujMRGd6UbkikokEx9CvGd2FGphnv8fFyA=s320" width="320" /></a></div><div style="text-align: justify;">Da un po' di anni, tutte le volte che ci avviciniamo alle elezioni amministrative rimango puntualmente stupito dalle ambizioni talvolta sfrenate di chi è pronto a candidarsi, non esitando (se necessario) a sgomitare (altro che la prosopopea retorica di chi dice "se mi verrà chiesto di sacrificarmi valuterò per il bene della collettività"). </div><p></p><p style="text-align: justify;">Sembrano preistoria le valutazioni più o meno dottrinali sul valore civico di chi mette a disposizione il proprio tempo al servizio della collettività. D'altronde a rivelare le difficoltà nell'amministrare è il consenso pubblico che, ormai in maniera puntuale e scientifica, viene rivolto a quelli che sono all'opposizione. I quali assumono su di loro il compito di interpretare l'insoddisfazione popolare (niente di male, è una delle principali regole della democrazia). Salvo, poi, precipitare nel consenso quando è il loro turno, ossia nel momento in cui tocca a costoro entrare, per dirla con Pietro Nenni, nella famigerata "stanza dei bottoni". Il ragionamento non ha colore politico, vale per tutti gli schieramenti. </p><p style="text-align: justify;">Ora, siccome io non riesco ad accettare come programma politico il punto che "la colpa è di chi c'era prima" (il caso di Musumeci che sullo sfascio delle Terme di Sciacca continua ad additare Crocetta mi sembra decisamente emblematico), bisognerebbe soltanto che i competitors avessero il coraggio, in campagna elettorale, di dire la verità agli elettori. Solo che, ahimè, la verità non produce consenso. Voglio dire che noi elettori, nella baraonda dei problemi e anche di chi li ha causati, non meritiamo alcuna assoluzione. </p><p style="text-align: justify;">Nel 2017 fu oggettivamente eccessivo lo slogan elettorale di Francesca Valenti contro l'amministrazione precedente ("Mai più 5 anni così"). Eppure fece ugualmente presa. Perché il popolo è così, e io (che per fortuna faccio un altro mestiere) al posto di Fabrizio Di Paola non mi fiderei granché di chi oggi torna ad adularlo rimpiangendone l'esperienza, perché il più delle volte sono gli stessi che gli avevano voltato le spalle e che, probabilmente, torneranno a farlo.</p><p style="text-align: justify;">Ma la politica è così, e non parlo dei soliti politicanti che riescono sempre a galleggiare passando da uno schieramento all'altro come dentro una porta girevole, ma di quel cittadino a cui, nelle campagne elettorali, si fa credere quasi di disporre di poteri soprannaturali per risolvere problemi che in qualche caso sono vecchi di qualche secolo. Ci sono personaggi della politica che sarebbero in grado quanto meno di bussare alle porte giuste o di telefonare alle persone adatte, per intercettare finanziamenti. Personaggi che, però, e talvolta per bizzarre alchimie e attrazioni fatali, faticano ad ottenere il consenso adatto. È il suffragio universale, bellezza. Che, per fortuna, ancorché con tanti difetti, come quello che ho tentato di sottolineare, <span style="text-align: left;">rimane l'unica strada possibile. La scelta della pancia, talvolta verso sedicenti taumaturghi da cui non comprerei la classica auto usata, fatalmente non produce quasi mai risultati concreti. Perché naturalmente facciamo parte, e a pieno titolo, dei 60 milioni di commissari tecnici italiani.</span></p><p></p><p style="text-align: justify;">E allora il tutto si concretizza puntualmente nell'ennesimo atto di un teatrino dove tutti pensano di avere ragione, soprattutto se le rispettive cortigianerie glielo fanno credere. A venire fuori è l'ennesima contrapposizione in chiave farsesca tra guelfi e ghibellini, che non fa bene a nessuno. Non è tempo di teorie di alta scuola. Amministrare è difficile, e questo lo riconoscono tutti. Ma credere a scatola chiusa a chi prometterà gli immancabili effetti speciali richiede tanta ingenuità. Eppure, al di là del voto di protesta, che sembra essere l'unica (ma inutile) arma rimasta nelle mani del cosiddetto "popolo", la storia sembra destinata a ripetersi. E i giornalisti ci ritroveremo ancora una volta, come ci viene rimproverato da chi spesso "coraggiosamente" denuncia al telefono ma non vuole parlare al microfono, a parlare sempre degli stessi problemi. </p><p style="text-align: justify;"><br /></p>Massimo D'Antonihttp://www.blogger.com/profile/13705239958023548687noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4675199503678072005.post-19915825895783560362021-11-14T09:48:00.005-08:002021-11-14T09:51:40.798-08:00Se del tatticismo esasperato si è stufata perfino "la maggioranza silenziosa" c'è di che preoccuparsi<p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-ygr2cZaM1IE/YZFLyrkwPiI/AAAAAAAADYE/gaAVxw8GOhIDWPQ7iNCZEufwYYLOTjMrgCLcBGAsYHQ/s1200/scacchi-pezzo-intrappolato.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="1200" height="213" src="https://1.bp.blogspot.com/-ygr2cZaM1IE/YZFLyrkwPiI/AAAAAAAADYE/gaAVxw8GOhIDWPQ7iNCZEufwYYLOTjMrgCLcBGAsYHQ/s320/scacchi-pezzo-intrappolato.jpeg" width="320" /></a></div><div style="text-align: justify;">Stride, nella politica odierna, quella del tatticismo esasperato, la presa di posizione di Sergio Mattarella. Che ha già fatto sapere di non intendere succedere a se stesso al Quirinale. Neanche per un <i>mandato bis</i> breve, nell'attesa che i "fuoriclasse" della contesa politica odierna possano mettersi d'accordo sul prossimo presidente o che possano insanguinare (le avvisaglie ci sono tutte) la campagna elettorale per le Politiche del 2023. </div><p></p><p style="text-align: justify;">Emerge, in questo quadro, una saggezza che il presidente Mattarella ha reso sempre più palpabile, rendendone evidente una personalità talmente discreta da rivelarsi lontana anni luce da un agone in cui i cosiddetti "leader" si atteggiano a superstar e i loro cortigiani a fans scatenati, disponibili a tutto pur di eccellere in qualsiasi virtù cortigiana, a partire da quelle meno nobili. </p><p style="text-align: justify;">Nel dire no alla sua stessa rielezione, il capo dello Stato è andato oltre, riprendendo una posizione già espressa da uno dei suoi predecessori più discussi, quel Giovanni Leone che aveva invocato una (condivisibile) modifica alla Costituzione nella direzione di impedire l'ipotesi stessa di un secondo mandato al presidente uscente, anche per superare quel <i>semestre bianco </i>nel corso del quale non possono essere sciolte le camere. Prescrizione che, in un Parlamento parcellizzato come quello italiano, è sicuramente un punto debole che rende ancora più anacronistica la nostra stessa forma di Stato. </p><p style="text-align: justify;">La prima volta che si era presentata l'ipotesi di un secondo mandato in Italia fu nel 2013, quando Giorgio Napolitano si vide costretto (a denti stretti) a prolungare il suo settennato. Nel 2015 sarebbe arrivato al Colle Sergio Mattarella. Il resto è storia nota. Così come nota è la paradossale ambizione di Silvio Berlusconi di essere eletto come suo successore. </p><p style="text-align: justify;">La sceneggiatura della storia politica italiana prevedeva che dopo Mattarella (e a seguito di una parentesi a Palazzo Chigi) al Quirinale dovesse andare Mario Draghi. Di cui probabilmente, però, ci sarà bisogno ancora come guida del governo. Difficile fare previsioni, mi guardo bene anche io da questo esercizio di stile del quale sarei soltanto l'ultimo di una lunga lista.</p><p style="text-align: justify;">Ma è il tema del tatticismo esasperato quello su cui, in conclusione, voglio soffermarmi. È, quella nella quale viviamo, la politica delle <i>mosse </i>più o meno a sorpresa, con un'azione fatta presumendo di conoscere anzitempo la reazione dell'avversario, nel tentativo esclusivo di metterlo in difficoltà o di tarparne le ali. Una fenomenologia non certo nuova, intendiamoci. Tuttavia, se in passato il gioco delle parti vedeva protagoniste personalità dallo spessore culturale indubitabilmente più robusto, oggi siamo di fronte a un cast di quelle che un tempo non avrebbero avuto nemmeno la dignità delle terze linee. </p><p style="text-align: justify;">Il tatticismo ha reso la politica (purtroppo a tutti i livelli) sempre più autoreferenziale e distante dal sentire comune. E per sentire comune non intendo certamente le cortigianerie ma, piuttosto, quella che un tempo veniva definita "maggioranza silenziosa", quella composta da tante persone che chiedono soltanto le cose normali. I dati sull'affluenza alle urne (adesso precipitati perfino a livello locale, cosa che secondo me deve preoccupare) ci dicono che perfino la maggioranza silenziosa si è stancata di questi politici che giocano a scacchi e puntano sul carrierismo. È a loro che Sergio Mattarella ha inflitto una lezione di eleganza. </p>Massimo D'Antonihttp://www.blogger.com/profile/13705239958023548687noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4675199503678072005.post-19292456045792718202021-10-14T13:01:00.002-07:002021-10-14T13:02:04.581-07:00L'astensionismo anche nei comuni accumula altra polvere sulle tesi sul bene comune di Platone e Montesquieu<p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-OvALrh3bMxg/YWiMKOsluQI/AAAAAAAADX0/IY0GV9BDOXwhE7cmPpJLJzxU-TBkBXuYgCLcBGAsYHQ/s512/unnamed.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="288" data-original-width="512" height="180" src="https://1.bp.blogspot.com/-OvALrh3bMxg/YWiMKOsluQI/AAAAAAAADX0/IY0GV9BDOXwhE7cmPpJLJzxU-TBkBXuYgCLcBGAsYHQ/s320/unnamed.jpg" width="320" /></a></div><br /><div style="text-align: justify;">Le ultime elezioni amministrative hanno confermato un fenomeno che, purtroppo, continua ad essere colpevolmente sottovalutato: l'astensionismo. La quantità di persone che periodicamente preferiscono rinunciare ad esercitare il proprio diritto è in preoccupante aumento. Se da un lato c'è chi sostiene che questo sia (più o meno paradossalmente) un fatto che in qualche maniera conferma la percezione popolare di un'architettura democratica che non corre alcun pericolo, dall'altro ciò che accade non può non suscitare più di un interrogativo sulla sostanziale disaffezione dei cittadini nei confronti delle istituzioni e sulle ragioni che la determinano. </div><p></p><p style="text-align: justify;">Disaffezione che appare orientata chiaramente verso un senso di sfiducia e stanchezza nel riporre una qualche speranza in un modello di cambiamento del sistema a partire, essenzialmente, dalla sua capacità di tornare a dare qualche risposta. Speranze che vengono puntualmente disilluse. </p><p style="text-align: justify;">In una visione la più possibile obiettiva della questione, è urgente riflettere sul fatto che se fino a pochi anni fa l'astensionismo era il segno di un malessere oggettivo che, tuttavia, risparmiava ancora gli enti locali, avamposti residui della compiutezza del rapporto tra il cittadino e il suo amministratore, sublimandosi soprattutto nel rinnovo delle assemblee elettive regionali, nazionali ed europee, oggi purtroppo la tendenza a starsene a casa sembra riguardare sempre di più anche la dimensione strettamente civica. </p><p style="text-align: justify;">Non si può negare che questo accada anche perché negli ultimi 20 anni i comuni hanno dovuto gestire perennemente le emergenze, costretti ad arrabattarsi con sempre minori risorse economiche a propria disposizione. Una situazione originata da una "devolution" alla quale il Paese non era preparato, sconoscendone metodiche e soprattutto effetti. A questo si aggiunga che ormai i comuni sono letteralmente svuotati di impiegati, e il tentativo di correre ai ripari è quello, per essere chiari, di cercare di svuotare una vasca da bagno con uno scolapasta. </p><p style="text-align: justify;">In questo quadro, e in considerazione del fatto che a votare adesso anche per le elezioni comunali ci va poco più del 50% degli aventi diritto, quella che viene fuori è l'immagine di una classe politica sempre più autoreferenziale, dove a spadroneggiare sono i cosiddetti "gigli magici", con l'immancabile arena fatta di contrapposizioni politiche (soprattutto personalistiche) che, ad eccezione delle rispettive cortigianerie di chi governa e di chi sta all'opposizione, interessano assai poco il resto della collettività. Che, dal canto suo, appare a dir poco sfiduciata, rassegnata, frustrata e repressa, con i suoi cittadini che guardano ai fatti della vita pubblica della propria comunità più o meno svogliatamente, incapaci di comprendere fino in fondo quella che talvolta appare come una stravagante e inconcludente polemica il più delle volte fine a se stessa, dove "meriti e abilità" da una parte, e "colpe e responsabilità" dall'altra, inducono a pensare che alla fine quelle che vengono fuori sono soltanto chiacchiere (e senza neanche il distintivo).</p><p style="text-align: justify;">D'altronde se la filosofia politica da sempre incentra le sue tesi di studio sulla possibilità che chi amministra possa compiere delle scelte come sublimazione del bene comune, è purtroppo anche vero che tutto questo oggi non è più possibile. Le scuole di Platone e Montesquieu sono da decenni riposte nel cassetto a prendere polvere. Oggi se un comune non è più in grado di rispondere alle esigenze primarie di un territorio (le strade, l'acqua, la spazzatura e i servizi) le ragioni sono diverse, e purtroppo solo in parte attribuibili alla capacità o all'incapacità del singolo amministratore, visto che (per dirne una) i livelli sovracomunali di governo, ancor più autoreferenziali, per rispondere all'invocato taglio dei costi della politica intervengono riducendo il numero di consiglieri comunali eletti nella singola municipalità. Pur sapendo che un consigliere comunale eletto percepisce meno di 20 euro a seduta, mentre l'indennità di carica degli amministratori, al netto della assurda demagogia attorno a questo argomento, è a dir poco ridicola. </p><p style="text-align: justify;">E così, le risposte fornite non solo sono assolutamente lontane dal raggiungimento dell'obiettivo (nella fattispecie, ripeto, quello di abbassare i costi della politica), ma rendono i comuni stessi ancor più ingovernabili, riducendo vertiginosamente la forbice che separa i numeri della maggioranza e quelli dell'opposizione, in una condizione nella quale è sufficiente lo spostamento di appena un paio di posizionamenti in consiglio che improvvisamente il sindaco in carica si ritrova già senza più una maggioranza che gli permetta di andare avanti. </p><p style="text-align: justify;">La domanda che a conclusione di questo ragionamento viene da porsi è: ma che senso ha mettersi in gioco per cercare di amministrare una città? Se la ragione è la vanagloria personale ci può anche stare. Ma serve a poco, perché la disillusione è dietro l'angolo, anche per se stessi. Perché oltre alle contumelie degli avversari, pochi giorni dopo la vittoria elettorale inizieranno anche i malumori dei propri sostenitori. E alla fine la vanagloria sarà stata soltanto come il maggiordomo dei film gialli: il colpevole del fallimento. </p>Massimo D'Antonihttp://www.blogger.com/profile/13705239958023548687noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-4675199503678072005.post-27110741355056605472021-08-31T09:29:00.007-07:002021-09-01T03:16:22.089-07:00Fazello tra gli autori de "La Strada degli Scrittori" è un omaggio all'identità culturale di una città che si accapiglia per niente<div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-EfhgU1rgrtg/YS5YNmzAP-I/AAAAAAAADXg/8QqyQzxejxobf2QQsdWcCo8Teu8fZZrkwCLcBGAsYHQ/s437/Tommaso_Fazello_%25281500%2529.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="437" data-original-width="315" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-EfhgU1rgrtg/YS5YNmzAP-I/AAAAAAAADXg/8QqyQzxejxobf2QQsdWcCo8Teu8fZZrkwCLcBGAsYHQ/s320/Tommaso_Fazello_%25281500%2529.jpg" width="231" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">C<span style="text-align: justify;">he anche Tommaso Fazello, frate domenicano e storico della Sicilia, sia entrato nel novero di autori de "La Strada degli Scrittori", permettendo da adesso anche alla città di Sciacca (di cui fu nativo) di far parte di questo importante itinerario culturale, è una notizia che non merita certo di essere liquidata con poche battute. L'omaggio che l'istituzione creata dal giornalista e scrittore Felice Cavallaro (a cui la città deve sin da subito un riconoscimento) ha ritenuto di assegnare a Sciacca (un tempo </span><i style="text-align: justify;">Città Degna</i><span style="text-align: justify;">) è un valore aggiunto, assai più di quanto la nostra litigiosa città possa al momento rendersi conto, essendo "in tutt'altre faccende affaccendata". Studioso insigne, a Fazello si deve anche la scoperta dei luoghi greci di Sicilia, tra cui Selinunte, Eraclea Minoa e il Tempio di Zeus Olimpio di Akragas. </span></div></div><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;"><br /></div>Lo spunto mi è particolarmente congeniale perché mi permette di richiamare ancora una volta il senso dell'impegno culturale di un territorio, come quello siciliano, che nel tempo ha espresso parte del miglior panorama letterario nazionale e internazionale (ed è perfino superfluo ricordare che l'agrigentino Luigi Pirandello è stato Premio Nobel). Il tema centrale che meriterebbe un approfondimento molto articolato riguarda comunque la consapevolezza di quello che siamo, più che di quello che abbiamo.</div><div style="text-align: justify;"> <br />Purtroppo un territorio che vive tanti problemi genericamente riferibili alla sua (scarsa) qualità della vita, non riesce ad attribuire alla Cultura quel ruolo di faro perennemente acceso sulla reale natura dell'umanità, che è quella di conoscere la storia del mondo, apprezzandone le arti e valorizzandone la bellezza. È una comunità, la nostra, che si accapiglia per ben poco, anzi per niente (per citare Franco Battiato, un altro fulgido esempio dell'arte siciliana). Per esempio in difesa di due alberi che impediscono di apprezzare quel capolavoro dell'arte quattrocentesca che è il Portale marmoreo scolpito da Francesco Laurana. </div><div style="text-align: justify;"><br />Poi è una città che si accapiglia molto per il Carnevale, ma la chiudo subito qui perché tutte le volte che ne parlo vengo puntualmente frainteso sul ruolo che, eppure, io per primo attribuisco a questa manifestazione. Sciacca è terra di artisti, pittori di altissimo spessore, di iniziative culturali che si riuscivano ad organizzare (Un Punto nel Mediterraneo la più celebre) che poi non si sono più organizzate.<br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Negli ultimi anni, anche per "colpa mia", le presentazioni di libri (organizzate anche come iniziative di intrattenimento) hanno catalizzato l'attenzione di una larga fetta dell'opinione pubblica, grazie anche all'amplificazione (che personalmente considero impagabile) fatta dal <i>Letterando in Fest</i>, l'invenzione di Sino Caracappa che ha reso Sciacca una importante stazione della riflessione condivisa e dello scambio di idee, consentendo al pubblico di interfacciarsi con personalità di assoluto rilievo del panorama editoriale. </div><div style="text-align: justify;"><br />Mi soffermo su questo argomento per dire che le presentazioni di libri non hanno certamente sostituito gli altri (necessari) interventi programmabili nel mondo dell'intrattenimento (musicale o teatrale). Sono diversi i target, diverso è lo stile, diverse le finalità. Rimangono, tuttavia, degli appuntamenti che qualificano solo per il fatto di esserci la sostanza culturale stessa di una comunità, rimarcandone la scelta, esaltandone la valenza identitaria e, di conseguenza, respingendo una possibile scelta diversa, che è sostanzialmente quella dell'accidia culturale, di un'indolenza caratteriale che, di fatto, continua a mortificare molte delle anime di una Sicilia che, eppure, ci vede in qualche maniera discendenti di Pirandello, di Sciascia, di Rosso di San Secondo, di Tomasi di Lampedusa, di Camilleri, di Russello e, naturalmente, anche di Tommaso Fazello.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div>Massimo D'Antonihttp://www.blogger.com/profile/13705239958023548687noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4675199503678072005.post-79762513342411994142021-08-20T11:03:00.001-07:002021-08-21T03:21:44.764-07:00Madamina, il catalogo è questo: la deriva di una società di cortigiani risentiti e di politici permalosi<div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-xdOaGIcm0gg/YR_t_PFZI0I/AAAAAAAADXQ/gZEedEy3QyAv2MHVq0ZB3klXPs9_EekiwCLcBGAsYHQ/s450/la-polemica-della-polemica-sulla-polemica-e1569661887531.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="338" data-original-width="450" height="240" src="https://1.bp.blogspot.com/-xdOaGIcm0gg/YR_t_PFZI0I/AAAAAAAADXQ/gZEedEy3QyAv2MHVq0ZB3klXPs9_EekiwCLcBGAsYHQ/s320/la-polemica-della-polemica-sulla-polemica-e1569661887531.jpg" width="320" /></a></div><br />Farò delle considerazioni impopolari. Ma se significa non seguire l'onda, francamente ne vado orgoglioso. La deriva sociale e politica, dal livello romano a quello locale, assume ogni giorno connotazioni sempre più tangibili e preoccupanti per la tenuta (ritengo) delle fondamenta stesse della democrazia. Lo rivela un dibattito nel quale tanti protagonisti (quelli che tradizionalmente corrispondono quasi sempre a chi non ha responsabilità di governo) si fanno più o meno abilmente interpreti del malcontento. Sarebbe legittimo se questo fosse solo uno degli ambiti d'azione. Tuttavia oggi questo fenomeno sembra essere assurto all'unico ambito d'azione possibile. </div><div style="text-align: justify;">Una autentica sublimazione della politica barricadiera è manifestata da un leader politico (Matteo Salvini) che riesce ad interpretare contemporaneamente il soggetto e l'oggetto della protesta, calando la sua Lega nel ruolo di "partito di lotta e di governo", all'inseguimento tattico della crescita del suo partner più importante nello schieramento, Fratelli d'Italia. Io non lo critico per questo. Anzi: se il politico deve interpretare il sentimento prevalente, stando almeno ai sondaggi, bisogna ammettere che Salvini riesce nell'intento. Poi si potrebbe opinare che in politica si dovrebbe costruire, ma è chiaro che chi si limita a distruggere riesce assai più facilmente ad eccitare gli animi e a permettere al cittadino vessato dalle difficoltà (a partire da quelle strettamente personali) di potersi in qualche modo sfogare. Nel segno dell'adagio che "chi ha problemi ne crea agli altri".</div><div style="text-align: justify;">Non si può non ribadire ancora una volta che i tempi sono cambiati, e che rispetto al passato, l'avvento della tribuna social (che, ce ne dimentichiamo spesso colpevolmente, annovera solo una minoranza di quello che in modo ridondante definiamo "il Paese reale") cannibalizza il dibattito, con il politico di turno che arringa la folla, cavalcando i problemi, accusando chi pur avendo il potere non li risolve, galvanizzando l'insoddisfazione popolare e annettendola presso la propria fazione. </div><div style="text-align: justify;">Succede anche a livello locale. Attenzione però: il fenomeno è pericoloso. Perché siamo nell'era della polemica "fast food", che viene dimenticata poche ore dopo avere accumulato i like dei cortigiani e le emoticon sghignazzanti degli avversari. Che strano fenomeno le faccine che ridono su notizie talvolta perfino drammatiche. <br />Da tutto questo discende un fenomeno bizzarro. Quello di un dibattito politico nel quale se chi governa invoca comprensione per la difficoltà del ruolo che ricopre, chi è minoranza getta benzina sul fuoco delle polemiche e dell'insoddisfazione popolare. E quando le parti si invertono, il brogliaccio della messa in scena rimane lo stesso. Semplicemente gli attori cambiano posizione sul palco. Con la variabile (buona per tutte le stagioni) che chi vince le elezioni chiarisce al popolo in attesa della rivoluzione di non potere fare granché per migliorare le cose perché (figuriamoci) ha ricevuto la peggiore delle "eredità" politiche possibili da chi c'era prima. </div><div style="text-align: justify;">Una spirale infinita, alimentata dall'odio social e dalle ricette vincenti che, tuttavia, sono vincenti solo se e quando non possono essere utilizzate. Quelle di chi governa (manco a dirlo) sono "ricette perdenti". Ma, per dirla con il Leporello del Don Giovanni di Mozart, "il catalogo è questo". E per restare nelle nostre umili contrade, dall'acqua pubblica alle buche per strada, dalle transenne alla tassa sui rifiuti, dalle Terme alle manifestazioni estive, il cittadino viene tirato per la giacca delle proprie ragioni. Che, il più delle volte, sono esclusivamente ragioni elettorali. Ce ne stiamo accorgendo in questi giorni. Nessuno che dia una mano, nessuno che proponga soluzioni reali. Spiace generalizzare, perché in effetti qualcuno che si sforza di operare in maniera opposta c'è, ma è anche vero che, purtroppo, viene regolarmente isolato all'interno del suo stesso schieramento. </div><div style="text-align: justify;">Non bisogna scomodare Nostradamus per prevedere che, di questo passo, anche le prossime elezioni amministrative di Sciacca si giocheranno sull'atavico (inutile, ahimè) confronto tra "prima" e "dopo". Dove la vera memoria alla fine interessa soltanto i protagonisti e il loro amor proprio. I fatti personali surclassano quelli politici, la propria immagine si rivela più importante del bene della comunità. Magari è un fenomeno involontario, ma è quello che si percepisce. E così, uno come me che guardava alla politica con il rispetto dell'arte del possibile (e del compromesso), si vede costretto ogni giorno a raccontare la deriva infinita del "tutti contro tutti", con i rispettivi "gigli magici" a supportare le tesi dei propri capi.</div><div style="text-align: justify;">In conclusione: so già che questo mio ragionamento verrà interpretato come una dissertazione che alla fine trascura l'oggettività dei problemi in essere. Non mi sottraggo. I problemi ci sono eccome. La nostra comunità sta attraversando una fase preoccupante, un abbassamento della qualità della vita a dir poco drammatico. Una fase nella quale però le responsabilità dei cittadini non vengono stigmatizzate a dovere da nessuno. E se lo fa qualche giornalista scatta il dalli all'untore (in era Covid la metafora si attaglia). Per dire: la città è sporca. Ma chi denuncia che la città è sporca, oltre ad invocare la pulizia dovrebbe anche criticare chi la città l'ha sporcata. Per dire ancora: non vedo politici additare con la determinazione necessaria i tanti evasori dei tributi, probabilmente perché è chiaro che poi a queste persone bisogna pur andare a chiedere il voto. Provo a chiarire un concetto che non mi riesce di far passare: sogno un mondo in cui la gente finalmente capisca che i luoghi comuni vanno difesi come se fossero il salotto di casa, indipendentemente dalle telecamere; sogno una comunità che non parcheggi dove gli pare, indipendentemente dal fatto che mancano i parcheggi. Poi non trascuro che i servizi minimi essenziali non funzionano, e che è una vergogna che i cittadini (prima dei turisti) debbano muoversi tra erbacce, buche e lurdìe varie.</div><div style="text-align: justify;">Le responsabilità politiche di chi amministra sono oggettive, ma i limiti di una macchina burocratica comunale già obsoleta si sono aggravati con lo svuotamento degli uffici, alimentato anche da provvedimenti discutibili (come la tanto decantata da Salvini "Quota Cento"). C'è una realtà assai complessa, che non può essere tagliata con l'accetta magari facendo il giro della città e fotografando le buche e le transenne. Oltretutto i protagonisti "siedono tutti in pizzo": da un lato c'è l'assessore permaloso, dall'altro c'è l'ex consigliere che se l'è legata al dito. Così come se l'è legata al dito il presidente della Regione. Che, per i problemi che sta affrontando, aggravati dall'emergenza Covid, ha tutta la mia solidarietà. Tranne per il fatto che, dopo 4 anni, non può continuare a dare la colpa al precedente governo. </div>Massimo D'Antonihttp://www.blogger.com/profile/13705239958023548687noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4675199503678072005.post-285300333635822302021-08-09T14:05:00.004-07:002021-08-09T14:06:44.991-07:00La vera verità di regime è che sui vaccini il governo è ostaggio della spregiudicatezza<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: georgia;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-_1ZN-cxTkkU/YRGYdNVWgBI/AAAAAAAADXA/52_r9SGS3qABAfWg9OOdK82It6jJccf_ACLcBGAsYHQ/s690/variant-med_1200x630-obj22671676-690x362.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="362" data-original-width="690" height="168" src="https://1.bp.blogspot.com/-_1ZN-cxTkkU/YRGYdNVWgBI/AAAAAAAADXA/52_r9SGS3qABAfWg9OOdK82It6jJccf_ACLcBGAsYHQ/s320/variant-med_1200x630-obj22671676-690x362.jpg" width="320" /></a></span></div><span style="font-family: georgia;"><div style="text-align: justify;">Perfino un giornalista di provincia come me viene accusato, da qualche tempo, di sensazionalismo mediatico e di linea editoriale che, in qualche maniera, sarebbe asservita a fantomatici potentati farmaceutici. Come è facile intuire il tema riguarda la campagna vaccinale. La tesi, propugnata nel segno di un fanatismo sempre più esasperato, è che il Covid sia soltanto un bluff, che i vaccini per cercare di riconquistare la nostra tanto amata libertà siano ancora ad un livello sperimentale e, dunque, pericolosi per la vita, assai più (evidentemente) di quanto non lo sia quella famigerata polmonite interstiziale che (soltanto in Italia) ha causato 128 mila morti. </div></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia;">Sarà sfuggito, a Big Pharma, il mio Iban, perché (ad oggi) non ho ancora ricevuto un centesimo derivante dal mio presunto asservimento alla cosiddetta "verità di regime" (concetto utile un po' per tutto, un po' come il prezzemolo). E vai di "Circo mediatico", "Terrorismo giornalistico" e di tutto il resto di quell'armamentario brandito da soggetti in crisi di fantasmi, che invocano raziocinio e analisi "oggettive" di statistiche e casse da morto tra una seduta spiritica e una preghiera alla Madonna, dubitando sdegnati dei benefici del vaccino, schifati da "ciò che c'è dentro", sputando sentenze da "laureati all'università della vita" magari mentre si abbuffano di cozze di dubbia provenienza o (naturalmente) credendo alla leggenda metropolitana che l'attore Morgan Freeman sarebbe in realtà il grande chitarrista Jimi Hendrix, la cui morte (come quella di Elvis o di Jim Morrison) sarebbe una colossale messa in scena.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia;">Entriamo nel dettaglio. A noi che raccontiamo la vita di tutti i giorni ci viene chiesto sostanzialmente di "barare", smettendola di ricordare continuamente che i morti sono solo i non vaccinati, eccependo (in punta di idiozia) che anche i vaccinati muoiono. Il principio di fondo è chiaro: chi si vaccina muore di certo perché è quello che provocano i vaccini, mentre chi non si vaccina, se proprio muore, è solo per colpa del destino cinico e baro. È la verità a proprio uso e consumo, come se si ordinasse una pizza al bar. E quindi dovremmo censurare le notizie diramate da fonti certe e verificate (i giornalisti iscritti all'Albo devono obbedire a questa norma, gli opinionisti di Facebook laureati all'università della vita non hanno certamente alcun obbligo).</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia;">Sarebbe interessante un'analisi sociologica sul ricorso al "Green Pass farlocco" da parte di chi si erge a paladino di un principio (nella fattispecie quello "no-vax") non disdegnando al tempo stesso una truffa ai danni del prossimo (con tanto di ipotesi di reato di epidemia colposa) pur di entrare al ristorante o di non perdersi l'ultimo cocktail. Su questo proverò a cimentarmi prossimamente. Oggi è più urgente affrontare il contenuto dell'articolo 32 di quella Costituzione della Repubblica Italiana che tantissimi "professori di Diritto" da quattro soldi invocano come la ricetta vincente della loro strampalata opinione. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia;">Il predetto articolo recita testualmente: "<span style="background-color: white; color: #202124; text-align: left;">La Repubblica tutela la </span><span style="background-color: white; color: #202124; text-align: left;">salute</span><span style="background-color: white; color: #202124; text-align: left;"> come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.". Se la prima parte fuga ogni dubbio circa l'ipotesi di negare le cure del SSN a chi, ultranegazionista, si trovasse ad avere a che fare con "la fame d'aria", la seconda è di una chiarezza innegabile. I padri costituenti ipotizzarono trattamenti sanitari obbligatori "se non per disposizione di legge".</span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="background-color: white; color: #202124; text-align: left;"><span style="font-family: georgia;">Ed eccoci, così, alla parte più debole di questa battaglia contro il Covid. Il tanto vantato governo Draghi, modello internazionale anziché no, sta rivelando la propria fragilità politica rispetto alla questione tra le questioni. Perché non rendere la vaccinazione obbligatoria, tra balbettii e timori che perfino la straordinaria autorevolezza del premier non riesce a sfumare, sta rendendo completamente inutile il senso civico e morale (per dirla alla Sergio Mattarella) di chi ha deciso di farsi somministrare il vaccino. Un governo che, sul Covid, è letteralmente ostaggio dell'espressione più cinica e spregiudicata di un populismo (quello rappresentato da Matteo Salvini) che sta di fatto impedendo al Paese quella rinascita propugnata evidentemente soltanto a parole. </span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="background-color: white; color: #202124; text-align: left;"><span style="font-family: georgia;"><br />L'incertezza del governo sull'obbligo di vaccinazione per gli insegnanti, e il disinteresse nei confronti delle aziende (hanno ragione i sindacati, non è possibile affidare la questione ad un banale principio discrezionale) rivelano una timidezza sconcertante, col pericolo di rendere vani i sacrifici fatti e di riempire nuovamente (a breve) tutti i posti letto e le terapie intensive disponibili, proprio quello scenario che rischia di indurre i sanitari a "scegliere chi salvare". Ecco qual è la situazione attuale. </span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #202124; font-family: georgia;"><span style="background-color: white;">Infine i fatti. Quelli su cui si basa chi lavora nell'informazione. Le notizie sono notizie. Giornalisticamente è inevitabile riferire se i deceduti negli ospedali (a proposito, la loro età è ogni giorno più bassa) fossero persone vaccinate o meno. Un po' pochino per considerare un giornalista "assoldato" alle aziende farmaceutiche o alla "verità di regime" o a quella "dittatura sanitaria" che, specialmente se lamentata da "Fratelli d'Italia" (quelli col simbolo del vecchio M.S.I. D-N) o da "Forza Nuova", non può che sollevare la più drammatica delle ironie possibili di una storia vergognosa fatta di annullamento di ogni diritto, di assassini più o meno politici e di sostegno alle leggi razziali. </span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #202124; font-family: georgia;"><span style="background-color: white;"><i>Questo articolo, per quello che vale, è dedicato a tutti gli operatori sanitari del servizio pubblico che si sono dedicati anima e corpo a combattere contro la pandemia. </i></span></span></p>Massimo D'Antonihttp://www.blogger.com/profile/13705239958023548687noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4675199503678072005.post-76084413799460090402021-07-26T14:17:00.004-07:002021-07-26T14:23:42.498-07:00Di Cesare Pavese e del suo insegnamento a non fare troppi pettegolezzi<p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-MkFy3L3bMUk/YP8mMo7kM5I/AAAAAAAADWs/kJr2tH93roISO7eMSDkGWeZHchj_x8G9ACLcBGAsYHQ/s600/copertina-cesare_pavese-ccs-777x437-1.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="300" data-original-width="600" src="https://1.bp.blogspot.com/-MkFy3L3bMUk/YP8mMo7kM5I/AAAAAAAADWs/kJr2tH93roISO7eMSDkGWeZHchj_x8G9ACLcBGAsYHQ/s320/copertina-cesare_pavese-ccs-777x437-1.jpg" width="320" /></a><span style="background-color: white;">"</span><span face="arial, sans-serif" style="background-color: white; color: #202124; font-size: 16px;">Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? </span><span face="arial, sans-serif" style="background-color: white; color: #202124; font-size: 16px;">Non fate troppi pettegolezzi"</span><span face="arial, sans-serif" style="background-color: white; color: #202124; font-size: 16px;">. Fu questo il contenuto del biglietto che il 27 agosto 1950 </span><span face="arial, sans-serif" style="background-color: white; color: #202124; font-size: 16px;">Cesare Pavese fece trovare accanto al suo corpo senza vita. Aveva deciso che non poteva esserci più posto per lui nell'esistenza. Il suo irripetibile genio, neanche quello più </span><span face="arial, sans-serif" style="background-color: white; color: #202124; font-size: 16px;">razionale, non ebbe la meglio sulla sua infelicità. Affidò ai barbiturici il congedo drammatico dal suo mestiere di vivere. Aveva solo 42 anni. </span></div><p></p><p style="text-align: justify;"><span face="arial, sans-serif" style="color: #202124;"><span style="background-color: white;">"Non fate troppi pettegolezzi", dunque. Nel momento più difficile della sua vita Cesare Pavese trasse lo spunto, con tragica, inarrivabile ironia, per stigmatizzare il più secolare degli esercizi di stile. Immaginando come una cosa drammaticamente normale, che di fronte al suo suicidio i suoi cari, ma anche i suoi lettori, coloro che ne avevano ammirato l'eloquio e l'impegno politico (antifascista), limitassero al minimo indispensabile le inevitabili elucubrazioni sulle ragioni del suo definitivo gesto.</span></span></p><p style="text-align: justify;"><span face="arial, sans-serif" style="color: #202124;"><span style="background-color: white;">Non c'è dubbio che la notizia di un suicidio susciti, piuttosto inevitabilmente, scalpore e curiosità diffusa nella pubblica opinione. Ho scelto da tempo, come giornalista, di non attribuire a quello che probabilmente è il fatto più privato che ci sia nell'esistenza di un uomo o di una donna, una valenza di interesse pubblico. Generalmente nei nostri telegiornali non ne parliamo. Onestamente non siamo i soli, anche altri colleghi e altre testate hanno fatto questa scelta. </span></span></p><p style="text-align: justify;"><span face="arial, sans-serif" style="color: #202124;"><span style="background-color: white;">Certo, può accadere di doverci occupare di un fatto di questo tipo per ragioni diverse e contingenti (se, per dire, le circostanze riguardino un personaggio pubblico ovvero, ad esempio, se si tratti del fatto di cronaca di qualche settimana fa a Ribera di un omicidio-suicidio). È, la nostra, una forma di autocensura che trae spunto proprio dal contenuto del biglietto di Cesare Pavese. Perché se la curiosità pubblica è antropologica per antonomasia, adattare i celebri 5 precetti del giornalismo (Chi, Che cosa, Dove, Quando e Perché) ad un caso di suicidio è un esercizio superfluo sia nei confronti di chi ha preso la decisione di suicidarsi, sia in quelli di chi lo ha amato, che evidentemente si struggeranno fino alla fine nel tentativo di capire e, probabilmente, nel senso di colpa di non avere capito. </span></span></p><p style="text-align: justify;"><span face="arial, sans-serif" style="color: #202124;"><span style="background-color: white;">Non è vero che non esiste via d'uscita al diritto di cronaca. Il diritto di cronaca deve inevitabilmente confrontarsi con la dignità della persona. A che cosa serve, dunque, sprecare inchiostro in congetture di cui nessuno, se non la vittima, sarà mai in grado di stabilire la sostanza? Se il giornalismo è chiamato a rispettare la verità, allora di fronte alla tragedia di un suicidio è chiamato a rispettare tanto di più. Scegliendo la via della discrezione. Onorando la memoria di chi non ce l'ha fatta più, condividendo (per quanto possibile) la disperazione di chi è rimasto a piangerlo. Sapendo che, ahimè, non c'è più rimedio. Tutto il resto è totalmente superfluo. </span></span></p>Massimo D'Antonihttp://www.blogger.com/profile/13705239958023548687noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4675199503678072005.post-39095397928992480982021-07-20T09:41:00.006-07:002021-07-20T14:06:09.337-07:00I leader che lisciano il pelo dei No-Vax offrono la cifra della pochezza culturale in cui è precipitato il Paese<p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><span style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-fAf4FUBmgsc/YPb8bAua6UI/AAAAAAAADWk/ILRb_gbJJeQNGYqY8Fig_NsMtDdrava7wCLcBGAsYHQ/s735/170446877-6021bb6f-2f86-4c56-a64b-ca4e8e8ab34a.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="416" data-original-width="735" src="https://1.bp.blogspot.com/-fAf4FUBmgsc/YPb8bAua6UI/AAAAAAAADWk/ILRb_gbJJeQNGYqY8Fig_NsMtDdrava7wCLcBGAsYHQ/s320/170446877-6021bb6f-2f86-4c56-a64b-ca4e8e8ab34a.jpg" width="320" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">Trovo a dir poco stupefacente la piega che ha preso il dibattito sull'emergenza sanitaria e sulla campagna vaccinale in Italia. L'assimilazione della questione a una contrapposizione "democratica" tra opinioni diverse e di cui, soprattutto i no-vax, invocano una specie di legittimazione pubblica, suggella l'esistenza di una patologia che, invero, non appartiene solo all'Italia. E dire che una certa politica negazionista ha visto protagonisti leader mondiali (Trump, Johnson, Bolsonaro) i quali, dopo avere minimizzato l'entità della diffusione del Covid, ne sono stati personalmente vittime. A battersi per le "riaperture" e la ripartenza economica anche quando morivano mille persone al giorno in Italia sono stati soprattutto Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Battaglia che adesso si è spostata contro l'obbligo vaccinale e, addirittura, contro restrizioni mirate esclusivamente a chi non disponga del Green Pass.</div></span></div><p></p><p style="text-align: justify;">Ma perché sono soprattutto i politici di destra quelli che non accettano le misure precauzionali e difendono coloro che negano l'evidenza? È una domanda alla quale, francamente, non riesco a trovare una risposta. È un tema dove le contrapposizioni ideologiche non dovrebbero avere grande importanza. L'unica risposta possibile è che probabilmente sanno che il loro elettorato mal digerisce l'imposizione di regole che se da un lato sono volte a contenere la diffusione del virus, dall'altro rallentano il processo di ripresa di un tessuto economico che dalla pandemia sta uscendo con le ossa rotte. </p><p style="text-align: justify;">Se così fosse sarebbe piuttosto strano che chi ha formato la propria sostanza politica sulla base di modelli storici e politici in qualche caso autoritari, proprio su questo argomento invochi libertà di coscienza o il rispetto di un'opinione "democraticamente espressa". E, aggiungo, se così fosse, quella organizzata e tuttora sul tappeto sarebbe una politica assolutamente miserabile. </p><p style="text-align: justify;">Il punto vero è che la Medicina e la ricerca scientifica in genere non hanno niente a che vedere con la Democrazia. Se è complicato (sicuramente lo è dal punto di vista giuridico) pensare di potere imporre per legge la vaccinazione anche a chi non la vuole somministrata, fatico a comprendere l'opposizione di fronte alla possibilità di rendere obbligatoria la fruizione di servizi e di ingressi al ristorante o a teatro soltanto a chi è in possesso del Green Pass. </p><p style="text-align: justify;">Nella vita si compiono scelte, si assumono decisioni. Non è giusto che chi ha deciso di vaccinarsi non abbia il diritto di potere avere una conduzione di vita migliore di chi invece ha scelto di non farlo (per i suoi motivi). E allora se devo andare al ristorante, sulla base del parere degli scienziati, devo condividere gli spazi con chi si è vaccinato. Altrimenti non abbiamo concluso niente. Così come è inaccettabile che l'immunità di gregge debba essere garantita esclusivamente da chi si è vaccinato, mentre chi non si è vaccinato debba quasi approfittarne. In definitiva, la diaspora tra "pro" e "contro" i vaccini ci fornisce la cifra della pochezza culturale nella quale è precipitata la società odierna. </p>Massimo D'Antonihttp://www.blogger.com/profile/13705239958023548687noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4675199503678072005.post-9776080205397724042021-07-17T03:55:00.005-07:002021-07-17T04:05:39.043-07:00Curatori fallimentari battono cassa. Ma è normale che un tribunale non si preoccupi del diritto all'acqua dei cittadini?<p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-tGUsCtaec0M/YPK1pNOcwBI/AAAAAAAADWU/k5ykepQQqXEQkkmGl_9JvhuHOLV_X54AwCLcBGAsYHQ/s1200/105654580-1b6ffacd-336e-458d-bad6-698e6148102f.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="675" data-original-width="1200" src="https://1.bp.blogspot.com/-tGUsCtaec0M/YPK1pNOcwBI/AAAAAAAADWU/k5ykepQQqXEQkkmGl_9JvhuHOLV_X54AwCLcBGAsYHQ/s320/105654580-1b6ffacd-336e-458d-bad6-698e6148102f.jpg" width="320" /></a></div><div style="text-align: justify;">Ma è normale che un tribunale (nella fattispecie quello fallimentare di Palermo) gestisca il fallimento di una società senza tenere anche conto del tipo di servizio che la predetta società eroga (tipo la fornitura dell'acqua ai cittadini)? Da settimane mi sforzo di dare una risposta a questa domanda, rivolgendola a mia volta agli addetti ai lavori. I quali mi rispondono facendo spallucce, significandomi che il mio dubbio è legittimo ma che, evidentemente, la strada che percorre un procedimento come quello fallimentare non è tenuta ad osservare altri scenari se non quello di riconoscere il diritto dei creditori ad ottenere il massimo possibile dall'impresa fallita. </div><p></p><p style="text-align: justify;">Quando la società fallita è quella che gestisce il servizio idrico integrato (nelle more di una transizione che se non ci fossero stati sindaci così capricciosi sarebbe sicuramente in una fase più avanzata) i dubbi aumentano. Infatti: può la giustizia dei cavilli e dell'applicazione pedissequa degli articoli del codice disinteressarsi delle conseguenze del proprio agire nei confronti della comunità? Può, un giudice delegato, occuparsi del percorso formale di un procedimento senza preoccuparsi delle conseguenze che quel percorso produce nei confronti della comunità? </p><p style="text-align: justify;">Non mi sarei attardato più di tanto in questa riflessione se uno ben più esperto di me (l'avvocato Giuseppe Massimo Dell'Aira) non fosse arrivato alla decisione di dimettersi dalla carica delicatissima di commissario prefettizio della Girgenti Acque già dopo la nomina di un incaricato dal tribunale delle imprese che (di fatto) sovrintendesse sulla gestione (economica, sic!) della società di Marco Campione. Contestò, Dell'Aira, proprio "il commissariamento dei commissari prefettizi". E tolse il disturbo.</p><p style="text-align: justify;">Oggi che quello che rimane della Girgenti Acque deve pagare i debiti (tra i creditori più importanti c'è lo stesso Campione, ma questa è un'altra storia), i curatori fallimentari battono cassa. E sembra poco importargli se i soldi che il povero commissario prefettizio superstite Gervasio Venuti deve versare loro derivino dalle bollette idriche pagate dagli utenti o dagli stipendi dei lavoratori (uno dei motivi per i quali rischiano il licenziamento). Lo spauracchio conseguente di questo scenario drammatico, a fronte di tale realtà, è che materialmente improvvisamente non ci sia più nessuno che possa fare funzionare gli impianti idrici, che dunque possa aprire i rubinetti. Una preoccupazione non certo solo mia (che faccio il giornalista) ma anche di chi ha la responsabilità di garantire quello che possiamo definire "il servizio dei servizi": quello dell'acqua. Venuti è preoccupato, la presidente dell'Ati Valenti è preoccupatissima.</p><p style="text-align: justify;">In punta di piedi faccio osservare che la fase di transizione tra la gestione (fallimentare, e non solo tecnicamente) da Girgenti Acque alla nuova società consortile (che si è costituita di recente) non credo che si possa completare in quattro e quattr'otto. Le cose, dunque, sono assai più complicate di quanto certe campagne politiche (ho sempre pensato che il mestiere più bello del mondo sia quello del politico di opposizione) tendano a dimostrare. </p><p style="text-align: justify;">E allora non può non essere chiaro che ci troviamo di fronte ad un vulnus nei confronti della comunità. Perché il tribunale fallimentare deve fare il suo mestiere, ma la gente ha pure il diritto di avere l'acqua, su questo non ci piove (mai metafora fu più azzeccata). Come è possibile che anche un giudice non si faccia queste mie stesse domande? È davvero così inevitabile che non ci si ponga questo dubbio? Alla luce della situazione oggettiva la risposta a queste domande è negativa. E, francamente, non mi può pace. Perché il fallimento riguarda una società, mentre nel modo in cui si sta agendo, le conseguenze vengono affibbiate ai cittadini che di quella società sono, in estrema sintesi, niente più che "ostaggi". </p>Massimo D'Antonihttp://www.blogger.com/profile/13705239958023548687noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4675199503678072005.post-1766036113626473642021-07-13T04:21:00.002-07:002021-07-13T04:21:24.772-07:00Perché è solo la Nazionale quella che ci fa ritrovare il senso della comunità?<div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-uvIMp_146Wc/YO13BFS1hxI/AAAAAAAADWM/6F83q2pszUsaxSHQU-NyO3g2MtAJLbUxACLcBGAsYHQ/s630/5cc21d672400005400e506ca.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="315" data-original-width="630" src="https://1.bp.blogspot.com/-uvIMp_146Wc/YO13BFS1hxI/AAAAAAAADWM/6F83q2pszUsaxSHQU-NyO3g2MtAJLbUxACLcBGAsYHQ/s320/5cc21d672400005400e506ca.jpeg" width="320" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">So bene che il mondo potrebbe benissimo fare a meno del mio commento sulla recente vittoria della Nazionale degli Europei di calcio. Per cui prometto che sarò breve.</div></div><div style="text-align: justify;">Considero socialmente significativo il senso della comunità che la conquista della coppa (e ancora prima la superiorità espressa in campo dai nostri giocatori sin dalla prima partita con la Turchia) ha generato in un Paese oggi profondamente lacerato, con una distanza tra le classi sociali (se questa classificazione ha ancora un senso) che, ahimè, il covid ha pesantemente accentuato. Un Paese nel quale quella che fino a un anno fa poteva considerarsi la nostra "middle class" oggi si sforza faticosamente di galleggiare tra le acque agitate di quelle che gli esperti definiscono "nuove povertà". Differenze su cui, piuttosto che lavorare sulle soluzioni, i nostri politici orchestrano ogni giorno nuovi e sempre più violenti scontri, perfettamente e consapevolmente inutili, "buoni" solo a galvanizzare le proprie corti. </div><div style="text-align: justify;">Nell'era dei social non c'è stato leader che non abbia celebrato sulle proprie pagine la grande conquista sportiva, evidentemente timoroso che una eventuale dimenticanza avvantaggiasse il proprio concorrente<br /> più attento ad una cosa così importante, o palesasse addirittura una lontananza inaccettabile da un tema così sentito. </div><div style="text-align: justify;">Il senso della comunità è quello su cui da tempo cerco di battere, nei limiti del mio agire, s'intende. Il nostro essere italiani, il nostro orgoglio di "appartenere" a questa Nazione, dovrebbe essere un concetto fondante, nel rispetto di una Costituzione che (noto) nei piani alti ci si affretta ogni giorno che passa a modificare. Dovrebbe essere, ma non è. E non è "benaltrismo" riflettere su quello che significhi oggi il senso di appartenenza. I tempi sono cambiati, è ovvio, ma al tifo per l'Italia calcistica dovrebbe associarsi quello per l'Italia dei diritti civili, del lavoro (è l'epoca in cui più di 400 operai toscani vengono licenziati via email), della crescita economica e della tutela delle fasce più deboli. Vale per gli italiani, vale anche per i siciliani, per gli agrigentini, per i saccensi. </div><div style="text-align: justify;">Il periodo che stiamo attraversando è drammaticamente disancorato dai problemi veri di un Paese che, per dire, nel suo ceto politico, registra leader che mettono in discussione perfino l'appartenenza stessa all'Europa, all'inseguimento di teorie xenofobe e omofobe, forse buone per vincere le elezioni. Il che, nella loro testa, è tutto quello che importa. </div><div style="text-align: justify;">Un Paese che si appassiona alle sorti sportive di una Nazionale (malgrado la faticosissima adesione culturale e assai più che simbolica alla campagna Blacks lives matter) ci restituisce l'immagine di una nazione orgogliosa della sua storia e della sua identità. Ma non basta. Bisognerebbe trasformare l'orgoglio derivante dall'affermazione sportiva in uno spunto per affermare un senso di comunità diuturno, dove l'essere "di destra" o "di sinistra" diventi un fatto di importanza quasi secondaria di fronte alle sorti (inevitabilmente unificate) di tutto il Paese. Chiedo troppo, lo so, perché una cosa così apparentemente semplice si può concretizzare solo tra i popoli che non siano sempre perennemente schiavi di una campagna elettorale infinita. </div>Massimo D'Antonihttp://www.blogger.com/profile/13705239958023548687noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4675199503678072005.post-87159060270242925312021-03-22T12:11:00.002-07:002021-03-22T12:11:26.726-07:00L'oblio, da dimensione dell'angoscia a esercizio di un diritto non sempre legittimo<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-UE7BckZ2OK4/YFjr0ZNeLbI/AAAAAAAADRA/5fyjLM5GHE0BV7sFtYVHrFriBDwpSFY8ACLcBGAsYHQ/s290/download%2B%25283%2529.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="174" data-original-width="290" src="https://1.bp.blogspot.com/-UE7BckZ2OK4/YFjr0ZNeLbI/AAAAAAAADRA/5fyjLM5GHE0BV7sFtYVHrFriBDwpSFY8ACLcBGAsYHQ/s0/download%2B%25283%2529.jpg" /></a></div><br /><div><br /></div><div style="text-align: justify;">L'oblio è quella dimensione che più di ogni altra suggella un'idea quasi filosofica di angoscia, sintetizzabile nella celebre metafora dei "titoli di coda" che, come in un film dal finale più o meno malinconico, scorrono ineluttabilmente sullo schermo della nostra vita, componendo uno struggente "The End". A meno che l'oblio non sopraggiunga con il nostro trapasso, è a quel punto che ci rendiamo conto di come sia la memoria il patrimonio più importante che ciascuno di noi può continuare a custodire. Anzi: spesso l'oblio è perfino una necessità di sopravvivenza. D'altra parte Balzac diceva che "i ricordi rendono la vita più bella, dimenticare la rende più sopportabile". È anche vero però che nell'oblio trova terreno fertile inevitabilmente la trasformazione talvolta drammatica della considerazione dell'essere di ciascuno: stranieri in terra straniera, sconosciuti tra gli sconosciuti. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Nel giornalismo l'oblio non ha nulla di metafisico. Anzi, è un argomento di grande importanza, al punto tale che è anche un diritto riconosciuto all'interno della legislazione vigente oltre che dal punto di vista delle norme del nostro codice deontologico. Siamo chiamati, noi giornalisti, a rispettare la dignità di qualcuno che è stato al centro della cronaca nel passato, non annoverandolo più nell'attualità, non tirandolo più in ballo, soprattutto se questo processo scaturisce da narrazioni forzate, che vanno a tirare in ballo in maniera perfettamente inutile esperienze passate. Il giornalista è chiamato ad evitare di parlare di persone e fatti accaduti in passato, e se lo fa l'interessato può invocare il diritto all'oblio.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">È evidente che stiamo parlando però di un diritto <i>borderline</i>, perché rievocare un fatto del passato da parte del giornalista non sempre è un'operazione inutile, soprattutto se si parla (per dire) di un soggetto che torna a commettere un reato che aveva già commesso vent'anni prima. Che si fa in questi casi? Non si può ricordare che l'autore del reato è un recidivo. In un caso del genere non solo non si può invocare un <i>diritto all'oblio</i>, ma è anzi necessario rievocare il fatto accaduto anni prima.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La comunicazione giornalistica è chiamata ad osservare regole che, tuttavia, talvolta sono obiettivamente difficili da fare rispettare. Tipo il diritto all'oblio. Però le norme sono norme, e bisogna sforzarsi di rispettarle. Ma è una regola complicatissima. Non sempre è superfluo fare riferimento a fatti del passato. Rimane dunque pacifico che una regola è una regola, ma poi la sua applicazione va inevitabilmente esaminata caso per caso. </div>Massimo D'Antonihttp://www.blogger.com/profile/13705239958023548687noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-4675199503678072005.post-49023628192099997552021-03-13T10:12:00.007-08:002021-03-13T10:18:49.486-08:00L'onestà intellettuale, questa sconosciuta<p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-jm9jGq25mec/YE0AgsQNUgI/AAAAAAAADQo/6RDOGfTtrNIt_JKGU0DreM8jUarBn5WgACLcBGAsYHQ/s749/rene_magritte-la_trahison_des_images-1300px-2.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="523" data-original-width="749" src="https://1.bp.blogspot.com/-jm9jGq25mec/YE0AgsQNUgI/AAAAAAAADQo/6RDOGfTtrNIt_JKGU0DreM8jUarBn5WgACLcBGAsYHQ/s320/rene_magritte-la_trahison_des_images-1300px-2.jpg" width="320" /></a></div><br /><div style="text-align: justify;">Sempre più spesso, nei dibattiti e nelle contrapposizioni, le parti in causa invocano un ricorso più o meno vicendevole a quella che tutti abbiamo imparato a conoscere come "onestà intellettuale". Trovo che sia una delle definizioni concettualmente più interessanti che l'italiano abbia permesso di introdurre all'interno del linguaggio corrente, e che possiamo attagliare perfettamente ad ogni tipo di analisi, e non solo in quelle di connotazione strettamente politica. È di tutta evidenza, per esempio, che è l'onestà intellettuale quella che consente ad un tifoso della Juventus di non potere negare che Romelo Lukaku (che gioca nell'Inter, squadra acerrima nemica dei bianconeri) sia un grande calciatore. Chi non lo ammette è semplicemente accecato dal tifo e, di conseguenza, non sa cosa sia l'onestà intellettuale. </div><p></p><p style="text-align: justify;">Di esempi se ne possono fare a bizzeffe, e il mio ricorso ad un'analogia stretta col tifo sportivo non è casuale, giacché l'impostazione diffusa, anche nell'arena politica, rifugge sempre di più dal ragionamento (anche da quello contrapposto) per scadere puntualmente nel sostegno (fine a se stesso) al proprio partito e nel disprezzo (fine a se stesso anzichenò, sic!) del partito avversario. Il confronto tra idee è stato ormai sostituito dalle grida da Curva sud, i protagonisti della vita pubblica non si rispettano, tendendo più a sminuire il pensiero dell'avversario piuttosto che ad argomentare il proprio. <br /></p><p style="text-align: justify;">Il noto virologo Andrea Crisanti, nel corso della trasmissione "La Confessione" condotta da Peter Gomez, si è rivolto al presidente della Regione Veneto Luca Zaia dicendogli: "Io non la penso come te (chiaramente il riferimento è alle idee politiche, n.d.a.), ma insieme abbiamo lavorato bene. Poi i nostri rapporti si sono interrotti, e questo perché hai preferito circondarti di collaboratori che non ti facessero mai notare che stavi sbagliando". Crisanti per un po' aveva svolto il ruolo di consulente tecnico del governatore. Per poi avere il benservito. Il contenuto del suo messaggio a Zaia denota una indubitabile onestà intellettuale. Per una personalità forte, ci vuole una personalità forte e mezza.</p><p style="text-align: justify;">E così le analisi politiche più autentiche sono quelle che non risentono di alcun condizionamento diretto o indiretto dalla situazione oggetto dell'approfondimento contingente. E qui entra in gioco anche il ruolo del giornalista. Ammetto di sentirmi (sempre più spesso) "tirato per la giacca" da chi ritiene che, all'interno di una contesa, dovrei "prendere le parti" di un protagonista o di una fazione, nell'altrui certezza che io non possa che condividere quella impostazione. </p><p style="text-align: justify;">Succede spesso che la manifestazione di un'opinione, perfino quando questa è completamente scevra da interessi diretti o indiretti, susciti negli interlocutori dubbi e perplessità. Per la serie: "Come mai la pensi così? Forse perché sei di sinistra (o di destra)"? E questo sarebbe il minimo. Molto più frequenti sono ben altre le congetture: "La pensi così perché hai ottenuto un favore o perché ritieni di doverlo chiedere e, dunque, agisci solo per accattivarti delle simpatie". Se un avversario politico o un concorrente nel lavoro dice o fa una cosa che è la stessa che avremmo fatto noi, perché non riconoscerlo? Per non dargli soddisfazione? Chi lo fa viene quasi considerato con disprezzo, o considerato un consociativo, quando non ritenuto un colluso.</p><p style="text-align: justify;">Insomma la tendenza diffusa è volta ad escludere, all'interno del dibattito, che la natura realmente di un commento o di un giudizio possa essere niente più che disinteressata. In una parola: non si crede nell'onestà intellettuale. Io invece ci credo. Ed è uno dei motivi per i quali il mio amato papà non ebbe mai la soddisfazione di vedermi scendere di persona all'interno della contesa politica. Perché credo che le idee libere siano quelle che permettano di manifestare un minimo di stima nei confronti di colui che la mattina ci guarda dallo specchio. </p><p style="text-align: justify;"><br /></p>Massimo D'Antonihttp://www.blogger.com/profile/13705239958023548687noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4675199503678072005.post-39988371395942841852021-01-14T10:16:00.011-08:002021-01-15T00:49:18.544-08:00Della "zia dell'America" e dei palloncini a forma di coniglio di quel Ferragosto del 1975<p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-rx7ighUUzd4/YACJoSrWj7I/AAAAAAAADPs/US3FJ7GeeVwJ9HTXlBtSaiEbgF0WKrNAwCLcBGAsYHQ/s1025/Fanny.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1025" data-original-width="1010" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-rx7ighUUzd4/YACJoSrWj7I/AAAAAAAADPs/US3FJ7GeeVwJ9HTXlBtSaiEbgF0WKrNAwCLcBGAsYHQ/s320/Fanny.jpg" /></a></div><i>Non deve essere difficile intuirlo, ma quello con quell'improbabile camicia gialla e, soprattutto, con la faccia da "morto di sonno" sono io. </i></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">La prima volta che "la zia dell'America" tornò a Sciacca correva l'anno 1975. Se n'era andata a Brooklyn che c'era ancora la guerra. Trascorsero 30 anni (e 3 figli) prima che tornasse a toccare il suolo sciacchitano. Tornava a riabbracciare sua madre, mia nonna. Rispetto ad oggi le transoceaniche aeree erano piuttosto rare. E, soprattutto, costose. Era già estate, sono sicuro che fosse fine giugno, di pomeriggio. La 127 rossa "Giannini" invocò disperata e sbuffante la prima marcia quando zio Agostino che la guidava curvò sulla ripida di via Mori. </div><p></p><p style="text-align: justify;">Già, via Mori. Che, francamente, non ho mai capito a quali "Mori" fosse stata intitolata. Dubito che si trattasse dei "quattro mori" della bandiera sarda, gli stessi che in qualche maniera, orgogliosi, avevano dettato legge dal petto di Gigi Riva; dubito anche che fosse un omaggio al paesino di Mori, nella lontana provincia trentina. Poteva essere stato un omaggio ai gelsi, frutti della "Morus"? No, le denominazioni botaniche delle strade sarebbero arrivate più avanti. Ho da sempre il sospetto che quella via fosse solo uno dei retaggi superstiti del Ventennio. C'erano ancora podestà e camicie nere quando Cesare Mori, il celebre "prefetto di ferro", era passato a miglior vita. Assai più probabile però che l'onore di una via fosse stato riservato ai berberi (o forse ai saraceni?), tra i tanti dominatori della millenaria storia siciliana. </p><p style="text-align: justify;"><a data-ved="2ahUKEwjeqqi265buAhUD3KQKHaz7BCUQFjAAegQIBBAC" href="https://it.wikipedia.org/wiki/Promoveatur_ut_amoveatur" ping="/url?sa=t&source=web&rct=j&url=https://it.wikipedia.org/wiki/Promoveatur_ut_amoveatur&ved=2ahUKEwjeqqi265buAhUD3KQKHaz7BCUQFjAAegQIBBAC" style="-webkit-tap-highlight-color: rgba(0, 0, 0, 0.1); background-color: white; color: #660099; font-family: arial, sans-serif;"></a>Ma sto divagando. La 127 "Giannini" di zio Agostino, dicevo. Era stanca, povera macchina. Andare e tornare da Punta Raisi non era mica uno scherzo. Oltretutto i passeggeri caricati a Punta Raisi non erano proprio dei pesi piuma. C'era la zia Peppina, e con lei c'erano anche 2 dei 3 cugini a noi tutti sconosciuti: Fanny e Louis. Già, Louis, variante inglese del (bellissimo) nome del nonno materno. Che però si chiamava Luigi. Almeno Louis era una traduzione più rispettosa della storia delle storpiature nostrane. Sì, perché compreso mio fratello, dalla stessa ramificazione di Luigi ne ho conosciuti ben 9. Altri 2 e avremmo potuto fare una squadra di calcio. Tutti Luigi, ma con varianti diverse (ma mica tanto): da Gino a Ginetto. Insomma: manco un Luigi. O meglio: tutti Luigi. Ma solo all'anagrafe. Si fosse trattato delle monete del re di Francia non avremmo potuto comprarci niente. Nella mia famiglia tutte le strade portavano al medesimo fonte battesimale. Ma nessuno di loro è cresciuto rispondendo al corretto nome di battesimo. D'altronde mio nonno stesso, poverino, veniva chiamato "Mastro Luviggi". Con la V. </p><p style="text-align: justify;">C'era già l'ombra sul balcone della casa dove sono nato. Il calore del marmo del pavimento era tollerabile. Dubito che se non lo fosse stato avrei capito che non era il caso di stare fuori. Ho detto che sono certo che fosse la fine di giugno perché anche su quella strada regnavano gli archi illuminati, gli stessi che ogni anno addobbavano la zona del porto in occasione della festa del patrono dei pescatori. Uno di questi archi corrispondeva esattamente col balcone di casa mia. Avevo il technicolor davanti ai miei occhi, un privilegio assoluto.<i> "Fazzi chi tocchi? Pigghi la corrente e mori"</i>. Precetto chiarissimo, fin troppo, quasi come uno dei racconti dell'orrore che Maria, la mia dirimpettaia, amava raccontarmi per spaventarmi a morte. Ma non avrei mai potuto toccarlo l'arco di luci, non ci sarei potuto arrivare. Però ne avevo lo stesso timore. Come se l'elettricità si spostasse dai cavi migrando sulle mie manine. Mi bastava guardarlo pensando che di lì a poco (forse un'ora, forse due) quelle lucette si sarebbero accese, facendomi perfino sentire importante, una specie di privilegiato, di custode di quell'arco di San Pietro.</p><p style="text-align: justify;">I coloratissimi ospiti scesero dalla 127 "Giannini". L'auto era più esausta di loro, addirittura dalla griglia del radiatore era visibile una nuvoletta di fumo e io stesso, dal mio "piano alto", percepivo un acre olezzo di bruciato. La macchina sembrò perfino sospirare quando, alzato il freno a mano, zio Agostino finalmente la spense. Non ricordo se poi sarebbe regolarmente ripartita. Ne dubito. Gli occupanti appena scesi erano tutti accaldati. Non certo la zia, ma i cugini erano stupiti. Erano nati negli States, non erano abituati a quell'accoglienza, a quell'invadenza, a quel calore così esuberante, tra baci, abbracci, ascelle sudate e odori di gioia più o meno esagitata. Stupito, osservavo la scena da dietro le sbarre della mia prigione a cielo aperto, da quel balcone che era il mio primo luogo di giochi, quello dove giocavo cantando indegnamente "a cappella" le canzoni della hit parade: da Wess e Dori Ghezzi a Drupi. Costui, quanto meno, mi avvicinava al blues. A me cinquenne piaceva quella cosa di "cantare". Meno male che, a tal proposito, non ho mai avuto alcuna velleità.</p><p style="text-align: justify;"></p><div style="text-align: justify;">Ma torniamo all'approdo degli zii in terra siciliana. Scesi giù anche io e, curioso, mi unii alla ressa gioiosa di quella singolare cerimonia d'accoglienza, anche se piccolo com'ero faticavo a trovare lo spazio necessario per partecipare di persona. Fu la zia Peppina ad accorgersi di me. Era la prima volta che ci incontravamo. Quella bella signora burrosa con gli occhiali più grandi della faccia aprì la sua borsa gigantesca, dove infilò il suo braccione in profondità. Mi aspettavo che, come Mary Poppins (o anche Eta Beta) tirasse fuori come minimo un attaccapanni. Invece prese un pacchetto di Spearmint, le gomme da masticare americane, quelle che avevano il bordo della carta argentata a coprirle col taglio dentato. La zia dell'America mi aveva già conquistato. Non sapeva, naturalmente, che "cu l'acciunchi li renti ti fannu mali". </div><p></p><p style="text-align: justify;">Una sera, a Ferragosto, sedemmo tutti al caffè Scandaglia, per mangiare il gelato. Louis, adolescente, era uscito con i cugini. Fanny invece rimase con me, a farmi compagnia, insieme alla zia e ai miei genitori. C'erano anche gli zii di Porto Empedocle, che lo strano fotografo di quella sera ha impietosamente trasformato in margini dello scatto. </p><p style="text-align: justify;">Esuberante "all'americana", già diciottenne, mia cugina Fanny pretese il palloncino a elio, quello che aveva la forma di un coniglio, quelli che per non farli volare via si legavano al braccio. Il problema non fu che lo pretese per sé. No, ottenne che anche al mio polso volasse lo stesso palloncino. Con le orecchie lunghe. Mi vergognai come un ladro, ma poi mi attrasse l'idea che quella notte il mio coniglietto restasse attaccato al soffitto della mia cameretta. Ma l'indomani mattina l'elio si era già stancato, e mi svegliai ritrovandomi quel coniglietto spossato davanti ai miei occhi.</p><p><span><span><span><span></span></span></span></span></p>Massimo D'Antonihttp://www.blogger.com/profile/13705239958023548687noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-4675199503678072005.post-58271137826899117172020-11-18T03:12:00.004-08:002020-11-18T03:12:53.133-08:00Scuola. Ritardi nei pagamenti dei docenti a "contratto Covid". La protesta di un giovane insegnante saccense<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: Segoe UI Historic, Segoe UI, Helvetica, Arial, sans-serif;"><span style="background-color: #e4e6eb; font-size: 15px; white-space: pre-wrap;"></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><span style="font-family: Segoe UI Historic, Segoe UI, Helvetica, Arial, sans-serif;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-wiVFFIP_fi0/X7UBbkNwCfI/AAAAAAAADPA/lpgCs_78WaQJx9i6lkRuYVT8PoaTbS8FwCLcBGAsYHQ/s959/13592673_1037459672974756_8096551832346727392_n.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="959" data-original-width="956" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-wiVFFIP_fi0/X7UBbkNwCfI/AAAAAAAADPA/lpgCs_78WaQJx9i6lkRuYVT8PoaTbS8FwCLcBGAsYHQ/s320/13592673_1037459672974756_8096551832346727392_n.jpg" /></a></span></div><span style="font-family: Segoe UI Historic, Segoe UI, Helvetica, Arial, sans-serif;">Se tutti i docenti con contratti covid o supplenze brevi si comportassero come si comporta lo Stato, seguendo logicamente il trattamento che stanno ricevendo, dovrebbero arrivare in ritardo ogni giorno, o meglio, prendere servizio e iniziare a lavorare due o tre mesi dopo. </span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="background-color: #e4e6eb; font-family: "Segoe UI Historic", "Segoe UI", Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: 15px; white-space: pre-wrap;">I ritardi sui pagamenti dei “contratti Covid”, come anche quelli per le supplenze brevi, sono due esempi di come costantemente i diritti dei lavoratori vengano calpestati. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="background-color: #e4e6eb; font-family: "Segoe UI Historic", "Segoe UI", Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: 15px; white-space: pre-wrap;">Questo gioco perverso sfinisce, toglie energie, ma soprattutto, mortifica lentamente, giorno dopo giorno la dignità dei lavoratori.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: Segoe UI Historic, Segoe UI, Helvetica, Arial, sans-serif;"><span style="background-color: #e4e6eb; font-size: 15px; white-space: pre-wrap;">Il primo inganno è il meccanismo dello “scaricabarile”, che consiste in un continuo rimpallo di responsabilità che, in modo contraddittorio, assolve tutti: la segreteria dice che i fondi non ci sono, la Ragioneria di Stato che aspetta indicazioni dal Miur, il Miur che aspetta indicazioni dal Ministro e così via. </span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: Segoe UI Historic, Segoe UI, Helvetica, Arial, sans-serif;"><span style="background-color: #e4e6eb; font-size: 15px; white-space: pre-wrap;">La perversione si muove su due inganni che portano ad uno stallo esasperante; un labirinto senza via d’uscita. </span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: Segoe UI Historic, Segoe UI, Helvetica, Arial, sans-serif;"><span style="background-color: #e4e6eb; font-size: 15px; white-space: pre-wrap;">Insomma, si delinea un panorama in stile “Fiera dell’est”, come cantava Branduardi: una fiera dell’assurdo; il secondo inganno, a mio avviso il più pericoloso, è quello di parole vuote che si instillano come veleno nella mente di ognuno: “pazienza” , “gavetta”, tanto per fare due esempi. </span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: Segoe UI Historic, Segoe UI, Helvetica, Arial, sans-serif;"><span style="background-color: #e4e6eb; font-size: 15px; white-space: pre-wrap;">Se riflettiamo attentamente, ci rendiamo conto di come queste due parole non solo non abbiano nulla a che fare con i ritardi sui pagamenti, ma come rappresentino dei veri e propri meccanismi di difesa, o peggio di negazione, i quali si radicano nel nostro cervello per costringerci ad accettare una realtà disarmante.</span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: Segoe UI Historic, Segoe UI, Helvetica, Arial, sans-serif;"><span style="background-color: #e4e6eb; font-size: 15px; white-space: pre-wrap;">Accettare passivamente significa piegarsi ad una fallacia che rischia di trasformarci in schiavi legati ad un catena, che continuano a vedere le ombre proiettate su un muro: le ombre della “pazienza” della “gavetta”, e del“ è sempre stato così”.</span></span></p><p style="text-align: right;"><span style="font-family: Segoe UI Historic, Segoe UI, Helvetica, Arial, sans-serif;"><span style="background-color: #e4e6eb; font-size: 15px; white-space: pre-wrap;"><b>Lorenzo Marciante</b><br /></span></span></p>Massimo D'Antonihttp://www.blogger.com/profile/13705239958023548687noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4675199503678072005.post-17019245287591893232020-11-15T11:27:00.005-08:002020-11-15T11:27:39.833-08:00L'uomo di oggi e la sua necessità di riversare i propri problemi sugli altri, innocenti compresi<p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-7Tk1buegpPE/X7GAw3p5c5I/AAAAAAAADOw/2MWLX8MQzOgDfYf17O9gl8wMrOCjNIO7wCLcBGAsYHQ/s679/guerra-tra-poveri-vincono-i-ricchi.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="449" data-original-width="679" src="https://1.bp.blogspot.com/-7Tk1buegpPE/X7GAw3p5c5I/AAAAAAAADOw/2MWLX8MQzOgDfYf17O9gl8wMrOCjNIO7wCLcBGAsYHQ/s320/guerra-tra-poveri-vincono-i-ricchi.jpg" width="320" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">Indifferenza ed egoismo sono probabilmente (e da molto tempo) i simboli di una società moderna che, con l'avvento del Covid, sembrano essersi drammaticamente rafforzati. Non a caso non passa giorno che Papa Francesco non provi ad attirare l'attenzione sui temi centrali di un Umanesimo che, ormai, appare sempre più inafferrabile, dove la civiltà dell'immagine è sempre più padrona del mondo, in un ambito nel quale l'apparire, più che sull'essere, predomina sul senso stesso della vita. </div><p></p><p style="text-align: justify;">Il diritto alla Felicità (principio dai contenuti addirittura "giuridici" se si pensa che è uno tra quelli espressamente contemplati all'interno della stessa Costituzione degli Stati Uniti), si è trasformato così nella più folle delle corse, al centro di un'interpretazione diffusa in massima parte improntata esclusivamente sul soddisfacimento di un interesse privato, oltrepassando impietosamente così ogni concezione di "diritto", suggellando la necessità di ottenere ciò che "ci spetta", e questo anche a costo di calpestare i bisogni altrui. </p><p style="text-align: justify;">L'uomo oggi non è mai pago di ciò che possiede, ha bisogno di aumentare a dismisura il senso del possesso, e se non può farlo è pronto a tirare fuori gli istinti più bestiali, riversando la propria rabbia contro gli altri, soprattutto se deboli o "diversi". Un sentire che, tuttavia, non appartiene soltanto alla società opulenta, ma anche a quella che vive di stenti, insoddisfatta di una condizione, la propria, nella quale hanno un'incidenza variabili diverse tra loro: mancanza di lavoro e problemi economici, ma anche crisi familiari, malattie, mancanza di rapporti sociali e così via. </p><p style="text-align: justify;">Tutto questo alimenta rabbia, reprime la necessità di sfogare i propri istinti e, di conseguenza, induce a prendersela con i più fragili, con quelli che sono addirittura più deboli di noi. E questo malgrado non siano loro i "colpevoli" dei nostri problemi. Così, nel tritacarne di questa rabbia sono finiti i migranti, dei quali in pochi si domandano perché stiano scappando dal loro paese ma dei quali, se proprio non si riesce a dare per scontato il passato, si "garantisce" sul loro futuro di criminali o di "ladri di lavoro". È in questa crisi di valori che una certa politica si è buttata a capofitto, cavalcando la crisi morale ed esistenziale dell'uomo, assecondando dunque gli istinti più beceri con il solo obiettivo di guadagnare voti alle prossime elezioni. </p><p style="text-align: justify;">Tra i più deboli oggi ci sono soprattutto gli anziani. I nostri predecessori ai quali, grazie (anche, ma non solo) ad una certa impostazione "negazionista" del Covid, è stato perfino assegnato il compito di sacrificarsi "per noi", di andarsene all'altro mondo perché, tanto, non "fanno più parte del tessuto produttivo", soprattutto se avevano "malattie pregresse" rispetto al Coronavirus. </p><p style="text-align: justify;">Quello che viene fuori, come mi ha insegnato un mio maestro, è che "chi ha problemi tende a crearne agli altri". Non è forse vero che chi ha un problema personale sente la necessità di riversarlo su chi può stare peggio di lui? Non amo generalizzare, e non penso che tutta la società di oggi abbia questa impostazione mentale. Certo, non nascondo di credere che ad averla sia quanto meno la percentuale di chi vota per un certo partito. In fondo, però, sono solo preoccupato. Forse perché "egoisticamente" comincio a rendermi conto di avere un'età che, a breve, potrà venire considerata "non più produttiva". Che tristezza. <br /></p>Massimo D'Antonihttp://www.blogger.com/profile/13705239958023548687noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4675199503678072005.post-56183668492264093612020-08-25T10:11:00.001-07:002020-08-25T10:11:12.425-07:00Il nostro giornalismo forse scontenta le tifoserie: ma tanto a noi i tifosi non piacciono<p style="text-align: left;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-cEHmYYd2ci8/X0VEpRfKqmI/AAAAAAAADN8/xHWsLeIpOAgUvGR3QVvt6iWTXfKb1pu2wCLcBGAsYHQ/s938/Biagi.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="551" data-original-width="938" src="https://1.bp.blogspot.com/-cEHmYYd2ci8/X0VEpRfKqmI/AAAAAAAADN8/xHWsLeIpOAgUvGR3QVvt6iWTXfKb1pu2wCLcBGAsYHQ/s640/Biagi.jpg" width="640" /></a> <span style="text-align: justify;">"Lei è liberissimo di dare tutte le risposte che vuole, io faccio tutte le domande che credo". Furono queste le parole che Enzo Biagi comunicò per telefono a Michele Sindona nel 1977, poco prima dell'intervista al discusso banchiere e faccendiere.</span></p><p style="text-align: justify;">Premetto subito che non intendo avvicinarmi (ma neanche lontanamente) alla grandezza di Enzo Biagi, ma questo ricorso storico mi è necessario per cercare di mettere in risalto il ruolo che (naturalmente dal mio punto di vista) il giornalista è chiamato a svolgere, in un'epoca nella quale le tifoserie in campo lo tirano continuamente per la giacca, pretendendo che agisca "in nome e per conto" o, peggio, nella qualità di "braccio armato" di una lotta politica della quale siamo e vogliamo continuare ad essere spettatori. </p><p style="text-align: justify;">Forse il mio difetto è che ho una faccia che qualcuno considera poco aggressiva (non è una cosa che mi interessa, francamente), o che mentre faccio le interviste non brandisca un manganello per colpire sulla faccia l'ospite di turno, così come vorrebbero alcuni telespettatori-tifosi assetati di sangue. La mia "fortuna" è, però, che ogni giorno (e da almeno trent'anni), il mio lavoro scontenta contemporaneamente i tifosi (più o meno politicizzati) di una squadra così come, allo stesso modo, quelli della squadra avversaria. </p><p style="text-align: justify;">Un Telegiornale cittadino non fa politica. Secondo noi deve essere testimone dei fatti. Noi di Tele Monte Kronio non temiamo di prendere posizione sui temi più spinosi, ma al tempo stesso non temiamo di fare i conti con la verità, perché è il nostro unico punto di riferimento, a differenza di chi è "tifoso", che con la verità ha un rapporto assolutamente partigiano, ritenendo che la "sua verità" sia l'unica possibile e immaginabile.</p><p style="text-align: justify;">La funzione primaria del nostro Telegiornale (e sfido chiunque a dimostrare il contrario) è quello di garantire ogni giorno il dibattito. Per riuscire nell'intento concediamo lo spazio necessario a tutte le rappresentanze politiche, sociali e culturali più o meno democraticamente accreditate. </p><p style="text-align: justify;">Per qualcuno, evidentemente, questo non è un fatto positivo. Ebbene: per noi lo è. Ed è su questa strada che continueremo a lavorare, nel tentativo di tenere alto lo spirito di un confronto che sia democratico, in un solco nel quale continueremo ad interpretare le istanze dei cittadini (ogni giorno protagonisti con la rubrica delle "Vostre segnalazioni), ma nel quale non esiteremo a fornire anche chiavi di lettura condivisibili o meno, ma sicuramente oneste, che forse non saranno accompagnate da standing ovation popolari. Ma a noi le standing ovation non interessano. Non facciamo show o, peggio, non offriamo gare di boxe. Noi facciamo una cosa un po' più seria: facciamo informazione. Con tutti i limiti che questo genera.</p><p style="text-align: justify;">Parliamo con tutti, accogliamo le istanze di tutti e valorizziamo un dibattito tentando di improntarlo sulla serietà professionale e sul rispetto di tutte le opinioni. Ma non siamo "parte in causa", e tanto meno ci interessa arruffianarci nei confronti dell'una o dell'altra "parte". </p>Massimo D'Antonihttp://www.blogger.com/profile/13705239958023548687noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4675199503678072005.post-56000202830001310722020-06-03T08:43:00.002-07:002020-06-03T09:01:05.920-07:00Dal Coronavirus alla spazzatura: quando lisciare il pelo della rabbia non è sempre saggio<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-z1lZYV_-Sqc/XtfFAkfeeGI/AAAAAAAADMQ/aQfnhBMWEpAz8au3vCUSuK_RX3ze9oxYwCLcBGAsYHQ/s1600/Gatto.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="186" data-original-width="271" src="https://1.bp.blogspot.com/-z1lZYV_-Sqc/XtfFAkfeeGI/AAAAAAAADMQ/aQfnhBMWEpAz8au3vCUSuK_RX3ze9oxYwCLcBGAsYHQ/s1600/Gatto.jpg" /></a></div>
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Occupandomi per lavoro della vicenda Coronavirus, ho sentito più volte il bisogno di ribadire come nessuno di noi fosse preparato a questa situazione, come non ci fossero precedenti nella storia recente e, di conseguenza, come non ci fossero possibili paragoni con situazioni similari del passato e da nessun osservatorio: né quello scientifico, né quello economico, né quello politico. Una elucubrazione necessaria, la mia, nella fase storica in cui "tutti sanno tutto", e il proprio "pensiero" trova spazio nel fertilissimo cortile di Facebook nel quale, piuttosto facilmente, se non si è autentici <i>haters, </i>spesso si rischia di rasentare ugualmente l'insolenza, pretendendo come minimo di saperla comunque più lunga di luminari e premi Nobel.</div>
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La mia premessa è obbligatoria per cercare di interpretare il più possibile il rigore che il giornalista dovrebbe osservare nel raccontare un fatto, conferendo alla eventuale legittima parallela critica, una dimensione che sia la più possibile rispettosa non solo del problema, ma anche del detentore (pro tempore) del potere di risolverlo nonché dell'effettiva valenza delle competenze di chi quel problema è stato chiamato a gestire. Si è rivelata a dir poco presuntuosa, per dire, la gestione giornalistica dell'emergenza Coronavirus che ha visto colleghi lasciarsi andare addirittura a valutazioni cliniche. Molti giornalisti preferiscono lisciare il pelo al lettore più incattivito, con l'obiettivo evidente di acquisire l'immagine del cronista d'assalto, di colui che non le manda a dire, che grida, che "smaschera" soprusi. Alcuni, mica tutti (parlo dei soprusi). </div>
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Il tentativo è chiaro: imbattersi nell'insoddisfazione generale, quella di chi ritiene che solo il lavacro del sangue (naturalmente quello altrui) possa purificare il mondo (anche nell'accezione più laica possibile). L'arte del puntare il dito cancella così l'arte del ragionamento, del confronto, della possibilità (anche critica) di capire e soprattutto di farsi capire. E così tutto diventa politica, tutto si scioglie nell'acciaio fuso delle chiavi d'interpretazione contro il potere (ma, fatalmente, a favore dell'opposizione). E viceversa. E ad imperare alla fine è il relativismo. </div>
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Prendiamo ad esempio la questione dei rifiuti. L'aumento della raccolta differenziata, da fatto positivo che era si è trasformato in un problema. Il centro di compostaggio dove conferire i rifiuti umidi, infatti, non ce la fa a ricevere tutto il quantitativo di spazzatura raccolta in diciassette comuni, quelli dell'ex Ato (oggi Srr).</div>
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Da un po' di tempo saltano regolarmente i turni di ritiro dell'organico. Con conseguenti (ripetitivi) improperi dell'opinione pubblica sui social, a cui si associa la solita politica che gioca a rimpiattino. Come se non sapessimo che noi siamo solo il microcosmo di un universo ben più vasto, dove la gestione della spazzatura sconta decenni di ritardi regionali (e italiani), come se non sapessimo che il centro di compostaggio di Sciacca è solo uno degli ingranaggi di una macchina gigantesca, come se non sapessimo che non si può tirare all'infinito la coperta troppo corta di una questione, quella dei rifiuti, che senza inceneritori mica possono essere sempre mandati in Germania (dove, si presume, a differenza di noi che siamo intelligenti loro sono stupidi). </div>
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Ma fa comodo far finta di non sapere niente di tutto questo. Fa comodo alla politica di opposizione (che liscia il pelo della rabbia della gente), fa comodo alla politica di maggioranza (che ricorda come il problema abbia dimensioni regionali). Il tutto in una discussione infinita, dove le parti sono state (e torneranno ad essere) invertite. E dove alla fine il giornalista che liscia il pelo dell'opinione pubblica effettivamente non ama dire come stanno davvero i fatti, ma ha solo bisogno di dare la colpa a qualcuno. Non è così che dovrebbe funzionare. </div>
Massimo D'Antonihttp://www.blogger.com/profile/13705239958023548687noreply@blogger.com0