La parabola umana di Mia Martini è, ahimè, simbolica di quella porzione di degrado morale causato dalla superstizione e dalla cattiveria. Degrado da cui scaturisce anche la violenza, forse non fisica, ma non per questo meno rilevante. Un'artista facilmente emarginata dallo showbiz a seguito di assurde dicerie sul suo conto. "Porta sfortuna". Chissà chi fu il primo "genio" a sostenerlo. Sta di fatto che da quel momento in poi iniziò la discesa verso l'inferno. Il Sanremo 1989 fu lo spartiacque della sua vita. Con "Almeno tu nell'universo" ricordò a tutti il suo straordinario talento. Ma il danno d'immagine subito era stato devastante. Morirà nel 1995.
La Rai le rende omaggio con una fiction. È un tributo postumo, tardivo quanto si voglia, ma le è dovuto. Ma, come si può capire, dall'inquisizione in poi, le conseguenze di credenze assurde, quelle di chi ancora oggi crede al malocchio, hanno rovinato la vita di questa donna. Una credenza si diffonde in maniera capziosa e pericolosa. Eppure, pur sapendo che la superstizione è un'azione in contrasto con la scienza, perfino le menti più razionali cadono nel tranello, lasciandosi andare a scongiuri e alla scuola di pensiero introdotta da Peppino De Filippo: "Non è vero ma ci credo". Nella vita di tutti i giorni una maldicenza del genere è pericolosa. Nel mondo dello spettacolo può essere la fine.
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