giovedì 20 dicembre 2018

Ma è poi così vero che la storia la scrivono i vincitori?

Indotto dalla necessità (privata) di commemorare Bernardo Bertolucci, nei giorni scorsi ho voluto rivedere "Novecento", forse il suo vero capolavoro artistico e politico.
Nell'epopea di Olmo ed Alfredo c'è l'Italia. Quell'Italia la cui storia rischia, purtroppo, di venire immolata sull'altare dell'eterna dicotomia tra nostalgici e revisionisti. Categorie dove l'orientamento culturale prevale sulla necessità di analizzare i fatti. Voglio dire la mia sul tema secondo il quale "la storia viene scritta dai vincitori". 
È innegabile che in "Novecento" Bertolucci ponga sotto i riflettori la sua formazione politica di Sinistra. Personalmente, tuttavia, trovo che nella narrazione della splendida controversa complicità tra Olmo e Alfredo ci sia l'ardita riproposizione, ancorché in chiave utopica, di quella pacificazione sociale che, poi, ahimè, sfugge ad anagrafe e legati testamentari. 
Ma diamo pure per buona la tesi secondo cui la storia la scrivono i vincitori e che, di conseguenza, per questa ragione sostanziale la storia non sarebbe oggettiva. Una tesi che una certa Destra non dimentica mai di rivendicare.
Io sono curioso, però, di capire quale tipo di storia, restando per esempio a quella che per me è il faro della lotta partigiana, si sarebbe potuta raccontare se a scriverla fossero stati gli "sconfitti". Avrebbero potuto, per caso, raccontare che, prescindendo dalle Leggi razziali e dall'asse Roma-Berlino, il Fascismo non era poi stato così malvagio? Ma perché? È possibile prescindere da queste scelte in una valutazione storica oggettiva su quello che, comunque, è stato un regime dittatoriale? 
La storia l'avranno pure scritta i "vincitori", lo concedo. Ma io ricordo che tra chi voleva raccontarne una diversa c'erano anche i negazionisti della Shoah. Il punto vero è che la storia non si può analizzare con l'ascia. 
E il paragone tra fascisti e comunisti (in Italia) non regge, perché il Fascismo l'abbiamo avuto, mentre il Comunismo (inteso come regime stalinista) noi non lo abbiamo vissuto. E il PCI fece una scelta di Democrazia, contribuendo (insieme agli altri partiti democratici) a scrivere una Costituzione garantista, rispettosa di tutti gli orientamenti fondati sul rispetto reciproco, salvando con l'amnistia i reduci del regime appena sconfitto. 
E gli errori commessi sono stati messi in risalto, così come furono drammaticamente normali, in una guerra civile come quella che ci fu in Italia dopo l'8 settembre, gli abusi e le vergogne reciproche, come furono sicuramente le Foibe del maresciallo Tito. Vergogne che, tuttavia, non possono essere tirate in ballo però come un rilancio a Poker, a chi dimostra di avere dalla sua parte una tragedia più tragica di quella della parte opposta. 

domenica 2 dicembre 2018

I grandi sono umili: la mia esperienza rivelatrice con Piero Angela

Chi ritiene di saperla lunga ha sempre bisogno di dimostrarlo e, di conseguenza, è abituato a fare sfoggio di presunzione. Minimizzando l'entità delle rivelazioni altrui o, peggio, affermare di esserne già a conoscenza. Sembra una delle innumerevoli maschere che Luigi Pirandello aveva paventato quando ci avvisò che, nel nostro percorso di vita, avremmo avuto più a che fare con esse che con i volti umani. Una condizione rivelatrice di una natura sempre più teatrale (più che teatrante) della nostra vita. Recitiamo tutti, più o meno a soggetto, nel solco di consuetudini che, tutto sommato, continuano a caratterizzare i rapporti sociali. E questo aldilà di chi si dice nemico dell'ipocrisia compiacendosi, nel nome di tale avversità, di umiliare gli altri sull'altare di quella veritas tesa, piuttosto egoisticamente, bisogna dirlo, a "liberare" esclusivamente se stesso.
I grandi sono umili. I veri grandi non se la tirano. Sono consapevoli del loro talento, intendiamoci. E cercano legittimamente di ricavarne il massimo consentito. Ma i grandi sanno anche di non essere certo infallibili. E sono serenamente pronti a fare ammenda dei loro errori, se non addirittura a chiedere scusa senza problemi.
Mi è capitato, durante il mio cammino, di incontrare persone particolarmente note. Con alcune di queste il rapporto è stato assolutamente paritario, in qualche caso con mia somma sorpresa. generando a mia volta sorpresa nel "grande".
Uno di questi è stato il giornalista Piero Angela. Il notaio Franco Raso mi diede la straordinaria opportunità di incontrarlo. L'intervista la facemmo nel suo appartamento del Verdura Golf & Spa Resort, presso cui era ospite. Una persona disponibile, aperta, curiosissima. Quel giorno il mio staff era particolarmente nutrito. I tecnici di Rmk fecero letteralmente a gara per accompagnarmi. Non per la notorietà del personaggio, quanto per il suo nome. Piero Angela infatti viene considerato un maestro per tutti noi.
Ne venne fuori ciò che considero una delle interviste più importanti della mia vita (che ripropongo qui). Ma non tanto per quello che ci siamo detti al microfono, quanto per ciò che Piero Angela mi chiese prima di cominciare: "Preferisce che, mentre rispondo alle sue domande, mi rivolga a lei oppure alla telecamera"? L'ammirazione che già provavo per quest'uomo nobile e raffinato andò in centrifuga. Con quella domanda stava rivelando un rispetto assoluto nei nostri modesti confronti. Gli risposi così: "Lei, che è la storia stessa della televisione italiana, domanda a me dove deve guardare mentre risponde"? Mi regalò un sorriso paterno.
Dopo quell'intervista tornai sulla terra. Avevo un appuntamento con un sedicente artista de noàntri che, naturalmente, ancora oggi non conosce nessuno ma che pretendeva, in maniera arrogante, che i miei tecnici fossero attenti a riprenderlo dal suo profilo migliore.


Il carcere duro: perché il dibattito sul singolo caso Cospito si sta estendendo sulla norma nella sua interezza

Avere trasformato la singola questione riguardante lo sciopero della fame dell'anarchico Alfredo Cospito in un dibattito (con molte, tro...