sabato 13 ottobre 2018

Esegesi (in salsa privata) dell'accidia come lavacro della propria coscienza

A tutti sarà capitato, la prima volta che ci furono elencati i sette vizi capitali, domandarsi: "Che cos'è l'accidia"? E a molti sarà occorso, pur avendone poi conosciuti i connotati, dimenticarsi, più o meno puntualmente, di cosa si trattasse. E allora il promemoria è d'obbligo: l'accidia (dal greco "senza cura") è il simbolo dell'indolenza, della noia, dell'inerzia. Una parola che racchiude in sé concetti diversi: malinconia, apatia, pigrizia. Ma non è la versione "religiosa" dell'accidia che oggi voglio trattare. Anche se, sul piano squisitamente filosofico, lo stesso legame tra la visione mistica e quella terrena potrebbe essere elemento di discussione piuttosto stimolante. 

C'è un fenomeno che, più degli altri, considero preoccupante. Sto parlando dell'accidia contagiosa. Di quel processo, cioè, che trascina anche i più volenterosi nella direzione della nullafacenza, come una specie di piccola onda anomala affatto intensa. Nel senso che se solo lo si volesse gli si potrebbe resistere serenamente. C'è, per dire, un tipo di accidioso che non tollera chi rifugge dalla pigrizia. Trova, così, un'energia inopinata, prodiga di consigli non richiesti.

Attualizzando, trovo che risenta di un certo carattere accidioso anche il dibattito sociale e politico, soprattutto nella parte che impera sui social. Il sentimento prevalente sembra essere quello vendicativo, quello cioè di chi, identificandosi in un certo pensiero dominante, riesce a lavarsi la coscienza col sangue degli sconfitti. Il tutto sull'altare di un moralismo che, talvolta, ha la coda di paglia. Dove non sono pochi coloro che inneggiando alla gloria purificatrice hanno, comunque, uno scheletro piuttosto ingombrante dentro l'armadio della propria memoria. 

E così, tra frequentatori di segreterie politiche e in qualche caso notissimi beneficiari di raccomandazioni nei posti che contano della pubblica (e privata) amministrazione, la discussione che ne scaturisce non può che essere viziata, se non contaminata, dal dubbio che la rabbia odierna sia solo il lavacro interiore per tentare affrancarsi e rifarsi una verginità. Sembra strano, eppure non so esprimendo un giudizio. "Mondo è stato e mondo sarà", come si diceva una volta. Mi piacerebbe, tuttavia, che certi privilegiati smettessero i panni dei "reverendi fustigatori di costumi". 

1 commento:

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