venerdì 24 agosto 2018

Cinquant'anni dopo il pugno chiuso di Smith e Carlos i diritti umani sono ancora all'anno zero

La vita intera è una contraddizione digeribile. Questa frase del poeta tedesco Friederich Hebbel si attaglia all'attuale dibattito sull'emergenza della nave Diciotti e sui migranti tenuti sostanzialmente in ostaggio da Matteo Salvini, con la compiacenza di colui che sarebbe il ministro competente sui porti (Danilo Toninelli) e nel silenzio imbarazzato di un premier (Giuseppe Conte) troppo preoccupato di venire smentito dai suoi padroncini per potere agire come si addice ad un uomo di Stato. Quando l'ha fatto è stato su sollecitazione del presidente della Repubblica.
Questa vicenda conferma che per Salvini la questione è politica e di consenso. Una questione che ne alimenta l'aura di leader che sta interpretando l'insoddisfazione latente di chi attribuisce ai migranti la responsabilità dei propri problemi. A costo di non vedere i dati reali, quelli che nel corso degli ultimi anni hanno visto ridursi vertiginosamente gli sbarchi sul territorio nazionale. Superfluo indugiare sugli aspetti umanitari che, stando ad un recente sondaggio, stanno facendo perdere popolarità perfino a Papa Francesco. 
Che società siamo diventati, quindi? C'è chi dice che la gente è più cattiva. Non lo penso. In realtà il salvinismo ha solo fatto venire fuori quell'anima un po' intollerante del popolo italico che dopo il Fascismo si è sforzata di rimanere latente, più o meno timorosa di essere additata come razzista ma, in fondo, convintamente suprematista, in barba al catechismo. Matteo Salvini, però, ha commesso un grave errore politico. Ha autorizzato lo sbarco dei minori non accompagnati a bordo solo dopo che lo aveva detto il presidente della Camera Roberto Fico. Mostrando al tempo stesso un grande nervosismo, a cui ha accompagnato la minaccia di dimettersi (e, giocoforza, aprire la crisi di governo) nel caso in cui Sergio Mattarella tornasse a permettersi l'ardire di ordinare al presidente del Consiglio di sostituirsi al suo ministro. Un ministro che non sa dove abiti di casa la sobrietà, visto che da buon populista comunica con i suoi ammiratori attraverso le dirette Facebook. Faccio 
Lo ammetto: alla fin fine criticare Salvini rischia di essere solo un esercizio di stile, che si inquadra in un dibattito immaturo, dove la polemica politica è inquinata da una raffica di frasi fatte e di considerazioni dietrologiche che dimostrano un ritardo culturale spaventoso. Così come spaventosa mi sembra la risposta di Luigi Di Maio, che "minaccia" l'Unione Europea di non erogare più i 20 miliardi di finanziamento che spettano all'Italia. Non capendo (ma no, lo capisce benissimo) che il suo è solo l'atteggiamento di chi dopo aver collocato la mina antiuomo ci cammina sopra.
Ma oggi voglio rendere omaggio alla battaglia antirazzista di due grandi sportivi, gli atleti americani Tommie Smith e John Carlos. A Città del Messico, alle Olimpiadi del 1968, arrivarono rispettivamente primo e terzo. Entrambi colored, all'inno nazionale degli USA alzarono il pugno guantato, simbolo della battaglia dell'Olympic Project for Human Rights. Battaglia di un popolo, quello afroamericano, applaudito per vincere le medaglie ma poi irriso ed emarginato nella società americana. 
I fatti odierni, purtroppo, dimostrano che non abbiamo imparato ancora nulla.

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