giovedì 20 dicembre 2018

Ma è poi così vero che la storia la scrivono i vincitori?

Indotto dalla necessità (privata) di commemorare Bernardo Bertolucci, nei giorni scorsi ho voluto rivedere "Novecento", forse il suo vero capolavoro artistico e politico.
Nell'epopea di Olmo ed Alfredo c'è l'Italia. Quell'Italia la cui storia rischia, purtroppo, di venire immolata sull'altare dell'eterna dicotomia tra nostalgici e revisionisti. Categorie dove l'orientamento culturale prevale sulla necessità di analizzare i fatti. Voglio dire la mia sul tema secondo il quale "la storia viene scritta dai vincitori". 
È innegabile che in "Novecento" Bertolucci ponga sotto i riflettori la sua formazione politica di Sinistra. Personalmente, tuttavia, trovo che nella narrazione della splendida controversa complicità tra Olmo e Alfredo ci sia l'ardita riproposizione, ancorché in chiave utopica, di quella pacificazione sociale che, poi, ahimè, sfugge ad anagrafe e legati testamentari. 
Ma diamo pure per buona la tesi secondo cui la storia la scrivono i vincitori e che, di conseguenza, per questa ragione sostanziale la storia non sarebbe oggettiva. Una tesi che una certa Destra non dimentica mai di rivendicare.
Io sono curioso, però, di capire quale tipo di storia, restando per esempio a quella che per me è il faro della lotta partigiana, si sarebbe potuta raccontare se a scriverla fossero stati gli "sconfitti". Avrebbero potuto, per caso, raccontare che, prescindendo dalle Leggi razziali e dall'asse Roma-Berlino, il Fascismo non era poi stato così malvagio? Ma perché? È possibile prescindere da queste scelte in una valutazione storica oggettiva su quello che, comunque, è stato un regime dittatoriale? 
La storia l'avranno pure scritta i "vincitori", lo concedo. Ma io ricordo che tra chi voleva raccontarne una diversa c'erano anche i negazionisti della Shoah. Il punto vero è che la storia non si può analizzare con l'ascia. 
E il paragone tra fascisti e comunisti (in Italia) non regge, perché il Fascismo l'abbiamo avuto, mentre il Comunismo (inteso come regime stalinista) noi non lo abbiamo vissuto. E il PCI fece una scelta di Democrazia, contribuendo (insieme agli altri partiti democratici) a scrivere una Costituzione garantista, rispettosa di tutti gli orientamenti fondati sul rispetto reciproco, salvando con l'amnistia i reduci del regime appena sconfitto. 
E gli errori commessi sono stati messi in risalto, così come furono drammaticamente normali, in una guerra civile come quella che ci fu in Italia dopo l'8 settembre, gli abusi e le vergogne reciproche, come furono sicuramente le Foibe del maresciallo Tito. Vergogne che, tuttavia, non possono essere tirate in ballo però come un rilancio a Poker, a chi dimostra di avere dalla sua parte una tragedia più tragica di quella della parte opposta. 

domenica 2 dicembre 2018

I grandi sono umili: la mia esperienza rivelatrice con Piero Angela

Chi ritiene di saperla lunga ha sempre bisogno di dimostrarlo e, di conseguenza, è abituato a fare sfoggio di presunzione. Minimizzando l'entità delle rivelazioni altrui o, peggio, affermare di esserne già a conoscenza. Sembra una delle innumerevoli maschere che Luigi Pirandello aveva paventato quando ci avvisò che, nel nostro percorso di vita, avremmo avuto più a che fare con esse che con i volti umani. Una condizione rivelatrice di una natura sempre più teatrale (più che teatrante) della nostra vita. Recitiamo tutti, più o meno a soggetto, nel solco di consuetudini che, tutto sommato, continuano a caratterizzare i rapporti sociali. E questo aldilà di chi si dice nemico dell'ipocrisia compiacendosi, nel nome di tale avversità, di umiliare gli altri sull'altare di quella veritas tesa, piuttosto egoisticamente, bisogna dirlo, a "liberare" esclusivamente se stesso.
I grandi sono umili. I veri grandi non se la tirano. Sono consapevoli del loro talento, intendiamoci. E cercano legittimamente di ricavarne il massimo consentito. Ma i grandi sanno anche di non essere certo infallibili. E sono serenamente pronti a fare ammenda dei loro errori, se non addirittura a chiedere scusa senza problemi.
Mi è capitato, durante il mio cammino, di incontrare persone particolarmente note. Con alcune di queste il rapporto è stato assolutamente paritario, in qualche caso con mia somma sorpresa. generando a mia volta sorpresa nel "grande".
Uno di questi è stato il giornalista Piero Angela. Il notaio Franco Raso mi diede la straordinaria opportunità di incontrarlo. L'intervista la facemmo nel suo appartamento del Verdura Golf & Spa Resort, presso cui era ospite. Una persona disponibile, aperta, curiosissima. Quel giorno il mio staff era particolarmente nutrito. I tecnici di Rmk fecero letteralmente a gara per accompagnarmi. Non per la notorietà del personaggio, quanto per il suo nome. Piero Angela infatti viene considerato un maestro per tutti noi.
Ne venne fuori ciò che considero una delle interviste più importanti della mia vita (che ripropongo qui). Ma non tanto per quello che ci siamo detti al microfono, quanto per ciò che Piero Angela mi chiese prima di cominciare: "Preferisce che, mentre rispondo alle sue domande, mi rivolga a lei oppure alla telecamera"? L'ammirazione che già provavo per quest'uomo nobile e raffinato andò in centrifuga. Con quella domanda stava rivelando un rispetto assoluto nei nostri modesti confronti. Gli risposi così: "Lei, che è la storia stessa della televisione italiana, domanda a me dove deve guardare mentre risponde"? Mi regalò un sorriso paterno.
Dopo quell'intervista tornai sulla terra. Avevo un appuntamento con un sedicente artista de noàntri che, naturalmente, ancora oggi non conosce nessuno ma che pretendeva, in maniera arrogante, che i miei tecnici fossero attenti a riprenderlo dal suo profilo migliore.


giovedì 8 novembre 2018

Dell'imparzialità e della ragione: Brecht come simbolo di chi è minoranza

"Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati". L'attualità del celebre aforisma di Bertolt Brecht dice molto di una società che, più che all'inizio del ventesimo secolo, rifiuta di analizzare i fatti, preferendo liquidarli con la pancia, più che con la testa. Talvolta vengo "rimproverato" di eccessiva partigianeria politica quando, invece, facendo il giornalista, dovrei essere - mi viene detto - "imparziale". Vorrei soffermarmi su questo fatto.Se, di norma, a invocare l'imparzialità è chi imparziale non è, è utile tuttavia cercare di fornire una chiave di lettura la più intellettualmente onesta possibile. L'imparzialità non risiede tanto nell'assenza di convincimenti, quanto nel provare a non trascurare alcuna delle voci dei protagonisti dell'agone politico. Quando si fa questo si fa tutto. Ecco, personalmente ritengo di avere sempre garantito l'ampiezza del dibattito, offrendo lo spazio a tutti, nell'interesse di un'informazione completa, ancorché non esente da possibili errori di valutazione (diffido da sempre dei sedicenti infallibili). L'ampia premessa è necessaria per evidenziare che, come molti di voi sapranno, non mi sento assolutamente in sintonia con le posizioni politiche della Lega, oggi il primo partito italiano, capeggiato dal ministro dell'Interno Matteo Salvini. Non mi sento in sintonia con questo partito per ragioni di orientamento politico e culturale, nonché di impostazione dell'attività di governo che, personalmente, considero di destra, se non in qualche caso di estrema destra. È innegabile, tuttavia, che dal punto di vista giornalistico questa forza oggi meriti tutta l'attenzione necessaria, dal macro al microcosmo. A Sciacca, alle elezioni politiche dei primi di marzo, per dire, il simbolo della Lega, senza nessuno che facesse campagna elettorale, ha ottenuto 700 voti. Da allora è iniziata l'inevitabile "rincorsa" dei dirigenti di questo partito nei confronti di possibili luogotenenti che potessero assumerne un ruolo di rappresentanza. Tutti sanno che il più corteggiato è stato l'ex sindaco Mario Turturici che, però, ad oggi ha preferito indugiare rispetto ad una discesa in campo che, con ogni probabilità, non sente nelle sue corde. L'indicazione di Vincenzo Catania a presidente del circolo è, comunque, un momento importante nella vita pubblica, che potrebbe aprire anche a possibili riposizionamenti politici all'interno del Consiglio comunale. Darò tutto lo spazio necessario a queste dinamiche, nel rispetto delle persone che credono in questa politica. Sarà questa la mia "imparzialità". Credo sia sufficiente a rispettarci vicendevolmente. Su Facebook (almeno là) esprimo opinioni personali.Dal giornalista non si deve pretendere asetticità, ma onestà intellettuale, nella necessaria separazione tra fatti e opinioni. E concludo così come ho iniziato: dall'aforisma di Bertolt Brecht. Che mi fa pensare che il successo straordinario della Lega sia l'ennesimo esempio, come lo fu il Pd di Renzi, della straordinaria voglia dell'italiano di salire tempestivamente sul carro del vincitore. 

mercoledì 24 ottobre 2018

Destra e Sinistra esistono ancora, se non nei partiti nei principi e nelle convinzioni di ciascuno di noi

Da qualche tempo mi capita di leggere, qua e là, considerazioni piuttosto critiche sul valore delle ideologie. "Destra e Sinistra non esistono più", si dice da anni. Critiche che, peraltro, nella loro impostazione, sono state "benzina sul fuoco" dell'escalation di consensi attorno al MoVimento 5 Stelle (non è una critica, ma una semplice constatazione). 
Eppure non sono convinto che Destra e Sinistra non esistano più. Esistono eccome. E questo, dal mio modesto punto di vista, esula dal problema di una semplice, ancorché non semplicistica, rappresentatività partitica. Questo passaggio è fondamentale, perché vuole tracciare, nel mio ragionamento, una linea di demarcazione netta tra l'ideologia politica e il suo contenitore di riferimento (il partito o il movimento). 
Scrive il filosofo della politica Norberto Bobbio, nella parte del suo libro "Destra e Sinistra" dedicata alla distinzione politica fondata su "Eguaglianza e Libertà", che il criterio più frequentemente adottato per distinguere la destra dalla sinistra è il diverso atteggiamento che gli uomini viventi in società assumono di fronte all’ideale dell’eguaglianza, che è, insieme a quello della libertà e a quello della pace, uno dei fini ultimi che si propongono di raggiungere e per i quali sono disposti a battersi. Aggiunge, poi, il prof. Bobbio, che a questo contrasto di scelte ultime si accompagna anche una diversa valutazione del rapporto tra eguaglianza-diseguaglianza naturale ed eguaglianza-diseguaglianza sociale. L’egualitario parte dalla convinzione che la maggior parte delle diseguaglianze che lo indignano, e vorrebbe far sparire, sono sociali e, in quanto tali, eliminabili; l’inegualitario, invece, parte dalla convinzione opposta, che siano naturali e, in quanto tali, ineliminabili.  
Sono considerazioni di tipo oggettivo, scevre da ogni giudizio. Tendono ad affermare il principio che i valori contenuti nelle ideologie appartengono alla sensibilità, ai principi etici e alle convinzioni  di ciascuno di noi. Idee che, naturalmente, non dovrebbero certo venir meno di fronte alla eventuale loro ridotta rappresentanza all'interno di questo o quel determinato partito. 
Ne consegue, dunque, che risulta oltremisura difficile, a fronte di una fisiologica delusione che può emergere quando non rileviamo una perfetta rispondenza tra le nostre aspettative e la linea politica di un partito che dovrebbe rappresentarci, beneficiare del nostro consenso elettorale un soggetto politico che persegue un'ideologia non tanto diversa della nostra, quanto totalmente antitetica. Non appare credibile, di conseguenza, aldilà di una larghezza di vedute sui generis, chi, pur rivendicando una discutibile appartenenza "alla Sinistra", consegna il suo consenso a partiti che perseguono (legittime, s'intende) politiche di Destra. Vale anche al contrario, naturalmente. 
Furbescamente, quando "scese in campo", Berlusconi si intestò una ideologia del Liberismo di destra. Quello che, per dire, oggi non ha più una grande rappresentanza, soprattutto a fronte di un'idea libertaria che, storicamente, promuove un'idea di libero mercato, taglio delle tasse ma, al tempo stesso, diminuzione della spesa pubblica, pareggio di bilancio (addirittura!) e calo delle prestazioni previste dallo stato sociale. Direi che la strada intrapresa dal governo tuttora in carica (dove la componente di Destra è particolarmente forte) vada in una direzione completamente opposta. 
Se è vero, dunque, che nell'immaginario collettivo "Destra e Sinistra non esistono più", è anche vero (secondo me) che viviamo in un'epoca in cui a prevalere è la marmellata ideologica, quella che contamina le antiche distinzioni oggi in campo con spruzzate di idee reazionarie de noàntri nella Sinistra, e zaffate di dittatura del proletariato all'amatriciana nella Destra. 
È il segno dei tempi, si dirà. Anche perché, per fortuna, le Elezioni sono fatte per stabilire chi debba andare a governare, e il risultato scaturisce dall'adesione della maggioranza degli elettori a questo o a quel programma. Non tutti i cittadini, legittimamente, possiedono convinzioni ideologiche così chiare e nette, ed è giusto che la società sia così. 
Ma se affermiamo, o premettiamo, di avere nella nostra testa idee politiche ben definite, allora è bizzarro farle aderire a programmi di opposta natura. Se è, il nostro, un voto di protesta (non ci trovo nulla di male), si abbia almeno il coraggio di dirlo, senza arzigogoli lessicali che sembrano far emergere solo un certo pudore. Del tipo: "Sono di sinistra, ma basta con tutti questi migranti". No, se affronti il problema (è innegabile che lo sia) in questo modo, tutto sei fuorché "di sinistra".
Massimo D'Antoni

sabato 13 ottobre 2018

Esegesi (in salsa privata) dell'accidia come lavacro della propria coscienza

A tutti sarà capitato, la prima volta che ci furono elencati i sette vizi capitali, domandarsi: "Che cos'è l'accidia"? E a molti sarà occorso, pur avendone poi conosciuti i connotati, dimenticarsi, più o meno puntualmente, di cosa si trattasse. E allora il promemoria è d'obbligo: l'accidia (dal greco "senza cura") è il simbolo dell'indolenza, della noia, dell'inerzia. Una parola che racchiude in sé concetti diversi: malinconia, apatia, pigrizia. Ma non è la versione "religiosa" dell'accidia che oggi voglio trattare. Anche se, sul piano squisitamente filosofico, lo stesso legame tra la visione mistica e quella terrena potrebbe essere elemento di discussione piuttosto stimolante. 

C'è un fenomeno che, più degli altri, considero preoccupante. Sto parlando dell'accidia contagiosa. Di quel processo, cioè, che trascina anche i più volenterosi nella direzione della nullafacenza, come una specie di piccola onda anomala affatto intensa. Nel senso che se solo lo si volesse gli si potrebbe resistere serenamente. C'è, per dire, un tipo di accidioso che non tollera chi rifugge dalla pigrizia. Trova, così, un'energia inopinata, prodiga di consigli non richiesti.

Attualizzando, trovo che risenta di un certo carattere accidioso anche il dibattito sociale e politico, soprattutto nella parte che impera sui social. Il sentimento prevalente sembra essere quello vendicativo, quello cioè di chi, identificandosi in un certo pensiero dominante, riesce a lavarsi la coscienza col sangue degli sconfitti. Il tutto sull'altare di un moralismo che, talvolta, ha la coda di paglia. Dove non sono pochi coloro che inneggiando alla gloria purificatrice hanno, comunque, uno scheletro piuttosto ingombrante dentro l'armadio della propria memoria. 

E così, tra frequentatori di segreterie politiche e in qualche caso notissimi beneficiari di raccomandazioni nei posti che contano della pubblica (e privata) amministrazione, la discussione che ne scaturisce non può che essere viziata, se non contaminata, dal dubbio che la rabbia odierna sia solo il lavacro interiore per tentare affrancarsi e rifarsi una verginità. Sembra strano, eppure non so esprimendo un giudizio. "Mondo è stato e mondo sarà", come si diceva una volta. Mi piacerebbe, tuttavia, che certi privilegiati smettessero i panni dei "reverendi fustigatori di costumi". 

giovedì 27 settembre 2018

Menfi, 1985: una storia di due vite perdute devastate dalla droga e dalla violenza

Maria Celeste aveva appena 24 anni il giorno in cui fu uccisa. Febbraio era agli albori, non erano certamente giornate tiepide quelle che si stavano vivendo a Menfi agli inizi di quel dannato 1985. Purtroppo aveva un grave problema, Maria Celeste: era una tossicodipendente. E lo era anche il marito Giovanni. Anche lui ventiquattrenne. Due ragazzini diventati adulti troppo presto. Bruciando le tappe, concludendo anzitempo la parabola della loro giovanissima esistenza. Sì, perché anche Giovanni fu ucciso. Fu un agguato feroce, spaventoso. Ne scaturì un autentico massacro. 
Maria Celeste e Giovanni erano andati insieme in contrada Magaggiaro, nei pressi di quel bosco che è uno dei polmoni verdi che garantisce ossigeno a questo splendido scorcio di Sicilia. La Fiat 128 dei due giovani si fermò vicino una vecchia cava. Era lì che, probabilmente, avevano un appuntamento, evidentemente il più lontano possibile da occhi indiscreti, con degli spacciatori. Forse i due ragazzi dovevano rifornirsi di stupefacenti, in parte per se stessi, in parte da destinare a loro volta al piccolo spaccio sul territorio. Pratica inevitabile per potere reggere la propria condizione di assoluta debolezza e bisogno. Ma qualcosa andò storto. Oppure, chissà, era proprio così che dovevano andare le cose, questo non lo si appurò mai. Forse gli accordi furono disattesi, oppure il negoziato prese una direzione sbagliata, oppure ancora Maria Celeste e Giovanni udirono o videro cosse che non avrebbero dovuto né sentire né tanto meno osservare. Anche se ciò che accadde appare ancora oggi assolutamente sproporzionato. Fatto sta che mentre il corpo della povera Maria Celeste veniva raggiunto da una successione impressionante di colpi di pistola, il marito tentava di mettersi in salvo. Si mise a correre, Giovanni. Ma non poté macinare che poche centinaia di metri. Fu raggiunto vicino ai primi pini della macchia, cadendo anche lui sotto i colpi di calibro 38 che lo centrarono alla schiena. Fatale, probabilmente, quello che lo raggiunse alla testa. Maria Celeste era stata ferita alla spalla. Avrebbero potuto darle il colpo di grazia, evitandole ulteriori sofferenze. E invece no. Il corpo della giovane fu dato alle fiamme. Era ancora viva mentre il fuoco le devastava il corpo. Morì così, Maria Celeste. Una vita perduta, immolata sull'altare della violenza e della droga, come dimostrarono i resti delle siringhe carbonizzate ritrovate nella tasca del suo cappotto. Vite perdute non solo quelle di Maria Celeste e Giovanni. No. Quel giorno in contrada Magaggiaro di vita si spezzò anche quella del piccolo che la ragazza portava in grembo. Una pagina di violenza inaudita che la nostra storia purtroppo ha dimenticato troppo presto.

domenica 16 settembre 2018

Purtroppo non saranno pochi quelli che dilapideranno il loro reddito di cittadinanza in videopoker e gratta e vinci

Essendo il reddito di cittadinanza "la promessa delle promesse elettorali" del Movimento 5 Stelle, sarà inevitabile arrivarci, prima o poi. Non condivido lo spirito di questa operazione. Lo condividono, però, tanti italiani che hanno votato per i grillini. È di questo che voglio parlare.A livello di ammortizzatori sociali l'Italia è tra i paesi europei che hanno fatto scuola: dall'indennità di disoccupazione agli assegni familiari.

Il reddito di cittadinanza è una cosa leggermente diversa. Io la considero una forma di assistenzialismo che, pur con tutti i correttivi che si stanno studiando, non fornisce prospettive incoraggianti. Di Maio continua a dire che al terzo lavoro rifiutato dal beneficiario il sostegno verrà revocato. Mi sembra una visione semplicistica e preoccupante.

Per dire: se ci fosse tutto questo lavoro da offrire, come mai ci sono così tanti disoccupati? Non sarà forse che sarà possibile "offrire" i soliti lavori da sfruttamento e calpestamento della dignità? Cosa funziona sul piano politico? Creare condizioni di sviluppo o dare un sostegno economico? La domanda, naturalmente, è retorica. Tanto più che, proprio in riferimento alla platea di chi potrà accedere al reddito di cittadinanza, ci saranno soggetti che non esiteranno a dilapidarlo in videopoker e gratta e vinci.

Il ministro dell'Economia Tria (scelto da chi governa, non certo da me) continua a predicare prudenza, perché soldi non ce n'è, e se si vuole evitare la bancarotta bisogna toglierli altrove per finanziare questo provvedimento. Non è un tema facile, ma viene considerato un elemento irrinunciabile né negoziabile, nel senso che il governo potrebbe perfino cadere. Dubbi, infatti, ne ha a iosa Matteo Salvini che, pure, a "gioco d'azzardo" politico può fare scuola, visto che anche le sue proposte sono dei salti nel vuoto (flat-tax e abolizione della Legge Fornero su tutte).

martedì 11 settembre 2018

Dopo quel giorno nulla fu più lo stesso. Non a caso, ad ogni successivo attentato in varie parti del mondo, i capi di stato hanno commentato: "È questo il nostro 11 settembre". Le successive teorie complottiste hanno solo cercato di rendere tragicomica quello che era "solo" un dramma immane. Furono ben altri i complotti orditi dagli Stati Uniti. Per esempio quello dell'11 settembre di ventotto anni prima, che attraverso il generale Pinochet, "burattino" di Nixon e Kissinger, devastò Santiago del Cile, attentando alla Democrazia, provocando la morte, prima della destituzione, del presidente socialista Salvador Allende, oltre a quella di altri sessantamila cittadini inermi. Due pagine vergognose della nostra storia che non vanno dimenticate.

sabato 8 settembre 2018

Se perfino in Svezia "chiagnono e fottono" allora è vero che il mondo è più malato che mai


"Chiagni e fotti" è un'interpretazione seria della vita che solo i napoletani potevano dare. Tende a dare l'idea di chi, piangendosi addosso, di fatto sta assai meglio di quanto non si immagini. È uno dei temi che manifestano l'ipocrisia al livello più alto. A rendere figurata questa immagine in anni recenti furono sicuramente le lacrime della professoressa Elsa Fornero quando, presentando la sua discussa riforma pensionistica, non riuscì a trattenere il pianto. Il tutto illuminato dai flash dei fotografi. L'assunto, assolutamente arbitrario, s'intende, era che, nel concreto, del destino dei "classe '52" in realtà non gliene importasse un fico secco.

Ma dalla politica alla letteratura, passando per le narrazioni cinematografiche. l'abbinamento tra "piangere e fottere" permette di capire molto dell'uomo e delle sue frustrazioni. Come, ad esempio, del bisogno di dover dimostrare che i propri guai sono indubitabilmente più gravi di quelli degli altri. È facile trovare quelli che parlano, assai più complicato è riuscire a selezionare coloro che hanno la capacità di ascoltare. A meno che non lo facciano per mestiere, ma quelli sono "fuori concorso".
È una specie di deriva culturale quella nella quale stiamo andando a finire. Ed è in questo quadro che sto pensando alla Svezia, storicamente la più grande socialdemocrazia dell'Occidente. Una società che per secoli ha assistito il cittadino, dalla culla alla tomba, ma che oggi sembra essere pronta a svoltare a destra, quella dalle origini addirittura neonaziste. Perché, evidentemente, non è sufficiente fare tutto quanto è necessario per il proprio popolo se, poi, quel popolo che, pure, non è certo tra i più depressi del mondo dal punto di vista economico e da quello culturale, comincia a lamentarsi e a cambiare registro. Una reazione a cosa? Allo sviluppo? O, forse, più probabilmente, siamo solo di fronte all'ennesimo simbolo di una recrudescenza xenofoba che sta ammalando perfino i paesi più evoluti? Attenzione: è chiaro che occorra analizzare questi fenomeni sociologici in modo più serio che attraverso un banale blog. Ma l'idea che perfino a Stoccolma abbiano iniziato a piangere e fottere mi fa capire che il mondo è più malato di prima.

venerdì 24 agosto 2018

Cinquant'anni dopo il pugno chiuso di Smith e Carlos i diritti umani sono ancora all'anno zero

La vita intera è una contraddizione digeribile. Questa frase del poeta tedesco Friederich Hebbel si attaglia all'attuale dibattito sull'emergenza della nave Diciotti e sui migranti tenuti sostanzialmente in ostaggio da Matteo Salvini, con la compiacenza di colui che sarebbe il ministro competente sui porti (Danilo Toninelli) e nel silenzio imbarazzato di un premier (Giuseppe Conte) troppo preoccupato di venire smentito dai suoi padroncini per potere agire come si addice ad un uomo di Stato. Quando l'ha fatto è stato su sollecitazione del presidente della Repubblica.
Questa vicenda conferma che per Salvini la questione è politica e di consenso. Una questione che ne alimenta l'aura di leader che sta interpretando l'insoddisfazione latente di chi attribuisce ai migranti la responsabilità dei propri problemi. A costo di non vedere i dati reali, quelli che nel corso degli ultimi anni hanno visto ridursi vertiginosamente gli sbarchi sul territorio nazionale. Superfluo indugiare sugli aspetti umanitari che, stando ad un recente sondaggio, stanno facendo perdere popolarità perfino a Papa Francesco. 
Che società siamo diventati, quindi? C'è chi dice che la gente è più cattiva. Non lo penso. In realtà il salvinismo ha solo fatto venire fuori quell'anima un po' intollerante del popolo italico che dopo il Fascismo si è sforzata di rimanere latente, più o meno timorosa di essere additata come razzista ma, in fondo, convintamente suprematista, in barba al catechismo. Matteo Salvini, però, ha commesso un grave errore politico. Ha autorizzato lo sbarco dei minori non accompagnati a bordo solo dopo che lo aveva detto il presidente della Camera Roberto Fico. Mostrando al tempo stesso un grande nervosismo, a cui ha accompagnato la minaccia di dimettersi (e, giocoforza, aprire la crisi di governo) nel caso in cui Sergio Mattarella tornasse a permettersi l'ardire di ordinare al presidente del Consiglio di sostituirsi al suo ministro. Un ministro che non sa dove abiti di casa la sobrietà, visto che da buon populista comunica con i suoi ammiratori attraverso le dirette Facebook. Faccio 
Lo ammetto: alla fin fine criticare Salvini rischia di essere solo un esercizio di stile, che si inquadra in un dibattito immaturo, dove la polemica politica è inquinata da una raffica di frasi fatte e di considerazioni dietrologiche che dimostrano un ritardo culturale spaventoso. Così come spaventosa mi sembra la risposta di Luigi Di Maio, che "minaccia" l'Unione Europea di non erogare più i 20 miliardi di finanziamento che spettano all'Italia. Non capendo (ma no, lo capisce benissimo) che il suo è solo l'atteggiamento di chi dopo aver collocato la mina antiuomo ci cammina sopra.
Ma oggi voglio rendere omaggio alla battaglia antirazzista di due grandi sportivi, gli atleti americani Tommie Smith e John Carlos. A Città del Messico, alle Olimpiadi del 1968, arrivarono rispettivamente primo e terzo. Entrambi colored, all'inno nazionale degli USA alzarono il pugno guantato, simbolo della battaglia dell'Olympic Project for Human Rights. Battaglia di un popolo, quello afroamericano, applaudito per vincere le medaglie ma poi irriso ed emarginato nella società americana. 
I fatti odierni, purtroppo, dimostrano che non abbiamo imparato ancora nulla.

giovedì 9 agosto 2018

La filosofia del sospetto non risparmia nemmeno le associazioni di volontariato. Che tristezza!

È un tempo, quello che stiamo vivendo, nel quale la cultura del sospetto sta sempre più surclassando quelloa della coscienza. È un fatto umano, che probabilmente si inquadra nel bisogno dell'uomo di costruirsi una sua verità, oltre ogni razionalità, oltre perfino ogni dato empirico. Fu il francese Paul Ricoeur il primo a parlare di "Filosofia del sospetto". Lo fece dopo avere elaborato le scuole di pensiero di alcuni tra i più grandi pensatori del diciannovesimo secolo: Marx, Nietzsche e Freud. La sintesi consiste nel “sospetto che dietro ai fenomeni culturali e alle norme e idee morali, si nascondano meccanismi di altra natura, motivi diversi da quelli dichiarati, cioè interessi economici, desideri o pulsioni istintive". 
Forse esagero a scomodare i grandi pensatori per cercare di fornire una (mia) chiave di interpretazione dei fatti moderni. Ma il passato aiuta sempre a capire il presente. Oggi il sospetto, sempre più diffuso come sorta di chiave del pensiero moderno, rischia di trasformarsi in una autentica arma di distruzione di massa delle coscienze, del libero arbitrio, della valutazione oggettiva dei fatti. Una questione nella quale, naturalmente, sguazzano i politici, puntualmente alla ricerca di spiegazioni verosimili verso scenari che molto spesso sono solo immaginifici. Certo, talvolta il sospetto "ci azzecca", generando una vanagloria esagitata in chi, di fatto, alla fine della fiera si era limitato solo a tirare ad indovinare.
Tra le deviazioni più pericolose del "sospetto" (sicuramente di quello fine a se stesso, esercitato spesso da persone che hanno problemi di natura personale) c'è sicuramente quella che si suggella nella mancata accettazione della realtà. Di quella realtà (parlo di quella oggettiva) che non corrisponde a quella sospettata ma che, tuttavia, non verrà mai presa in considerazione. È uno degli scenari nei quali si inserisce quella che abbiamo imparato a conoscere come post-verità, quella generata dalle fake-news ma che, di fatto, è diventata non più smontabile. 
C'è una specie di primazia del sospetto che disegna una contemporaneità fagocitata da una realtà che fa della contrapposizione politica il suo pane quotidiano. Tocca alla cultura cercare di invertire questa tendenza. Ma è una lotta impari. Perché se il sospettoso pensa che dietro una critica giornalistica ci sia un complotto, o che dietro un'azione pacifica riguardante l'organizzazione di un'iniziativa ci sia una conventio ad excludendum, c'è poco da fare per convincerlo del contrario. Ci sono soggetti che contestano presunte cospirazioni ai loro danni additando soggetti che, nella realtà, non sapevano nemmeno dell'esistenza dei primi. 
L'ho fatta troppo lunga, e me ne scuso. La politica moderna ha reso il dibattito complicato. I protagonisti di ieri avevano le spalle molto più larghe. Quelli di oggi si considerano intoccabili, perfino quelli che, di fatto, sono solo il due di coppe nella briscola a spade. Ma a deludermi di più oggi non è la politica, ma l'attività sociale. Perfino nei sodalizi improntati sul volontariato e sulle battaglie civiche stanno proliferando protagonismi e sospetti. Ed è questa la deriva più grave che la Filosofia del sospetto ha preso. Che tristezza. (nella foto: Cary Grant nel capolavoro di Hitchcock "Il Sospetto")

martedì 24 luglio 2018

Il Parlamento sarà inutile? Pubblico alcuni dei commenti che ho ricevuto dopo il mio post

Pubblico molto volentieri alcuni dei commenti che ho ricevuto oggi dopo la pubblicazione del mio articolo sulle dichiarazioni di Casaleggio. 

Affiora nella superficiale prospettiva indicata da Casaleggio junior una povertà dottrinaria e una evidente carenza di cultura politico costituzionale. Siamo alla follia. Gli interpreti della intoccabilitaà del bicameralismo paritario oggi si presentano come le vestali di una democrazia zoppa e senza organi costituzionali ma con potere legislativo: e' la precondizione per un salto nel buio, e' la esaltazione di un preoccupante percorso verso l'autoritarismo. 
Nuccio Cusumano
ex sottosegretario di Stato

Mi viene da pensare una cosa: bicameralismo no; Italia senza Parlamento no. Ma quando ci fu il referendum per snellire il Parlamento e abolire il Senato, perché non è si raggiunse il quorum? Perché si pensó che fosse una riforma "renziana" e, quindi, tutti contro Renzi. Io non sono renziana, ma ho votato Sì per l'abolizione del Senato. Ma forse siamo vecchi, come dice don Fabrizio Corbera a Chevalley. Io sono di Santa Margherita, e non posso non citare il Gattopardo. 
                                                                                                                                       Teresa Giaccone
                                                                                                                                                  architetto

Credo che Casaleggio nella sua riflessione si riferisca a scenari futuristici. Tutti hanno in mente un progetto di società perfetta, anche Marx e gli ideologi del comunismo sognavano una società più equa. Purtroppo nessuno ha la facoltà di prevedere il futuro. Invito Massimo a dormire sonni tranquilli.
                                                                                                                                Salvatore Interrante
                                                                                                                                            imprenditore


Se in un'Italia 4.0 i fuori sede non riescono ad esercitare il loro diritto divoto perché una forma di voto online non si è ancora saputo/voluto realizzare... figuriamoci una forma di governo online!
Giuseppe Marciante
insegnante

Purtroppo gli adepti del Movimento 5 Stelle giustificano e accettano qualunque stupidaggine "pensata" dai loro guru. Casaleggio e Grillo saranno la rovina dell'Italia. 
Giovanna Quartararo
insegnante

Cosa la tecnologia possa determinare, nel rapporto fra chi gestisce il comando e chi lo subisce, è quesito posto all'rdine del giorno. La libertà di ognuno di noi oggi è limitata da ciò che in apparenza sembra aumentarne le possibilità di esercizio, ossia la rete di interconnessione. Occorre ripartire dalle fondamenta per verificare se la novità in realtà non sia la rovina. La capacità critica di ogni individuo è il punto di partenza di ogni sistema contrario alla dittatura. La sovranità di un popolo non sta nel decidere chi comanda, ma nel giudicare l operato del suo mandatario. Un popolo senza rappresentanti è sottoposto alla dittatura, non potendo più esercitare il suo potere di giudizio. In Italia vi è l'oligarchia da più di cinquant'anni, ed oggi i populisti non sono una risposta ma una conseguenza. 
Giuseppe Raso
avvocato

I veri "visionari" sono quelli che amano l'umanità fino al punto da immaginare utopie per cambiare il mondo. Non sono certo quelli che addestrano intere generazioni di giovani attraverso i social nell'odio verso gli altri, nella rabbia e nell'invidia nei confronti di chi ama e si nutre di cultura. I visionari hanno un progetto di mondo dove c'è posto per tutti dove  non esiste la diversità. Se il "pallone Rousseau" è la loro visione del mondo, dobbiamo augurarci che si sgonfi presto. La democrazia diretta è  realizzabile nelle piccole comunità come le poleis greche, e non certo dai sovranisti. Questo è il delirio dell'ignoranza che vuole dominare il mondo, che non sa cos'è la politeia, un termine troppo nobile e dotto che non esiste nel loro vocabolario. Sono convinti che le costituzioni per cui tanti hanno lottato e sono morti, siano carta per appunti utili al momento per opportunismo politico, e carta straccia dopo qualche tempo. Abbiano almeno la decenza di fondare una Università di apprendistato, possibilmente 5 Stelle, per studiare, e forse passerebbero alla Storia.
Angela Scandaliato
storica

Bisognerebbe ricordare a questa gente che ipotizza tali scenari, che la democrazia è mediazione, pluralismo e pluralità, convergenza, ascolto, ma anche conflitto, fatica, fallimento, errore, soprattutto responsabilità. In una parola: la democrazia è complessità. Gli strumenti istituzionali di cui gli italiani hanno potuto fruire fin qui l’hanno assicurata, nel bene e nel male, in mezzo a mille sbagli o a dietrofront ideologici. In un’epoca come la nostra, si dimentica che informazione pervasiva non è conditio sine qua non di comunicazione. Quest’ultima, infatti, implica reciprocità, responsabilità e bidirezionalità. L’informazione superficiale, che spesso interessa i webnauti, non è mai frutto di sedimentazione condivisa e compresa di significati. Questo è il vero fraintendimento che si nasconde dietro la tentazione di sostituire organi tecnici come il Parlamento con sondaggi online o pseudo-consultazioni telematiche.
Lilly Tortorici
insegnante


Il padrone del M5S immagina un'Italia senza Parlamento. Strano però che i grillini si siano battuti col coltello tra i denti contro la fine del bicameralismo perfetto

"Il Parlamento prima o poi diventerà inutile, sarà il web ad esprimere la vera democrazia rappresentativa". Così parlò Davide Casaleggio, padrone del Movimento 5 Stelle. Dichiarazioni fatte mentre la "creatura" del padre Gianroberto è al potere e che, proprio per questa ragione, non possono non suscitare più di qualche preoccupazione. Attenzione però: i tempi cambiano, e pensare che gli assetti istituzionali in materia di forma di stato e forma di governo siano da considerarsi intoccabili è sbagliato. Le eventuali modifiche, però, soprattutto su tale versante, richiedono un processo graduale. Un primo passo sarebbe stato, a mio avviso, l'abolizione del bicameralismo perfetto. Eppure il Movimento 5 Stelle, il cui padrone è così visionario al punto da immaginare una Repubblica senza Camere, è stato uno di quei soggetti politici che si è battuto con il coltello tra i denti contro questa prospettiva. Perché alla fine, come tutti, ha pensato solo alle prossime elezioni, non certo alle prossime generazioni.
Nel merito: senza voler scomodare Norberto Bobbio, assimilare Internet alla prospettiva della rappresentatività politica di un Popolo, non rivela una concezione futuristica, tutt'altro. L'idea di una società moderna organizzata e gestita secondo la visione sostanziale immaginata da George Orwell nel suo capolavoro "1984" altro non fa che confermare una concezione assolutamente oligarchica del potere, con l'aggravante di coprire l'assunto oligarchico con una finta rappresentatività totalizzante, espressione oltremodo "diretta" della volontà dei cittadini. Se la Democrazia non è rappresentativa all'interno delle istituzioni allora non è più Democrazia. Ma occorre anche evitare di prenderci in giro. In Italia, negli anni, il Parlamento per i governanti è stato sempre più un ingombro, come ha rivelato il ricorso diuturno alla decretazione d'urgenza. Da qui, però, ad immaginare di poterne fare a meno, sull'altare di un sistema che non può soppiantare i rapporti sociali, ce ne corre.

mercoledì 11 luglio 2018

La questione migranti come lavacro della coscienza degli italiani

Il capo del Governo Matteo Salvini (lui è) e il suo cameriere Danilo Toninelli stavolta hanno chiuso i porti non ad una nave qualsiasi, ma ad una imbarcazione della Marina, quindi dello Stato italiano da loro governato. Lo fanno sulla base di un principio per il quale bisognerà perseguire penalmente i responsabili delle presunte minacce all'equipaggio della Vos Thalassa. Io sono d'accordo con loro. Il punto è che sono 67 persone. E il signor ministro dell'Interno sta facendo credere ai suoi supporter che tutti e 67, dal numero 1 al numero 67, siano tutti dei facinorosi e dei malviventi. Non è statisticamente concepibile che si tratti di delinquenti dal primo all'ultimo. Perfino "il Giornale" ha scritto che i minacciatori sarebbero stati non più di un paio. Individuarli non dovrebbe essere difficili. Epperò dobbiamo tenere in ostaggio di Salvini una nave della Guardia Costiera della Repubblica in mezzo al mare in attesa che i prossimi sondaggi facciano schizzare la Lega al 60%. E allora non c'è alternativa: buttiamoli in mare, diamoli in pasto ai pescecani, come facevano i pirati. Oppure uccidiamoli questi 67 "delinquenti" che, peraltro, se non dimostrano di stare scappando da almeno una guerra non hanno diritto di provare a migliorare la loro esistenza. Facciamo andare la Lega al 60%. E così il Popolo italiano che potrà tornare a dormire con le porte aperte, i disoccupati potranno tornare a trovare quel lavoro che i migranti hanno loro tolto. Torneremo tutti a poter pagare le bollette, a poter tornare in pizzeria senza quel rompiscatole che vuole a tutti i costi venderci la rosa, o senza che quello sporco magrebino, che magari è un fisico nucleare che parla 7 lingue (una in più di Conte) vuole per forza venderci un accendino. La verità è che i migranti sono il lavacro delle coscienze degli italiani sedicenti perbene. Quelli che pagano (tutti, of course) le tasse o che non fanno il doppio lavoro o che non sfruttano benefici che non gli spettano (ISEE e robe varie) togliendoli a chi ne ha veramente bisogno. Ok, ho generalizzato, lo ammetto. Ma è la stessa cosa che, al contrario, fate voi "antibuonisti".

martedì 10 luglio 2018

Traffico chiuso sì, traffico chiuso no: il paradigma della Sciacca che si divide


Traffico chiuso sì, traffico chiuso no. È uno di quei temi su cui è in corso un decennale dibattito cittadino. Forse il paradigma di quella Sciacca che si divide, in un'apoteosi insuperabile dell'eterna italica dicotomia tra favorevoli e contrari. Con, sullo sfondo, le sottocategorie dei buoni e dei cattivi. È l'anima di Sciacca. "E tu non puoi farci proprio niente", per parafrasare Humphrey Bogart. L'anima civica dove la politica è niente di più e niente di meno che la sua proiezione, avanzando stancamente sul sentiero impervio che conduce alle scelte (o, meglio, alle "non scelte") volte a fare tutti contenti. Ma, si sa, la matematica non è un'opinione, e non è possibile fare tutti contenti.

E così ogni anno puntualmente ci si confronta sugli orari, sui bus navetta, sui commercianti pro, su quelli contro, tra chi chiede tolleranza per permettere alle auto di potersi fermare davanti il proprio negozio, e tra chi considera necessario valorizzare il centro storico attraverso un'interdizione alle auto senza se e senza ma. E poi: i parcheggi, i servizi, e chi più ne ha più ne metta. Anche se in tanti dimenticano il viziaccio antropologicamente recente di molti saccensi di pensare di fare la "passeggiata" stando comodamente seduti in automobile, oscillando tra la prima e la seconda marcia.
Quest'anno, nel dibattito tra "pro" e "contro" si è inserito un altro problema, e riguarda l'irrigidimento della Polizia municipale rispetto alla sua indispensabile collaborazione alla gestione della ZTL. Gli agenti non sono "precettabili", essendo tenuti a garantire solo dei turni di servizio che culminino entro la mezzanotte. Slittamenti oltre quell'orario vanno concordati, ma in ogni caso prevedono un'adesione che sia su base volontaria da parte della P.M.
Ma è un principio, quello della volontarietà, che è stato sempre garantito. Qual è, dunque, quest'anno il problema? Stando a quanto ci risulta, l'assessore Paolo Mandracchia starebbe cercando di rimediare ad un malcontento degli agenti scaturito dal presunto mancato rispetto di taluni impegni riguardante la gestione della ZTL dell'estate del 2017. Fondi per gli straordinari inizialmente regolarmente assegnati ma, poi, improvvisamente revocati. Sarebbe questo il motivo principale che ha irrigidito la P.M. Una questione che al momento impedisce alle iniziative estive di potersi svolgere in un ambito accettabile, con tanto di vetture che transitano tra ali di folla plaudente il concerto. 

sabato 7 luglio 2018

Renzi la smetta con le sfide interne: il Paese ha bisogno di un PD unito e ragionevole


Il Paese ha bisogno di un'area di centrosinistra organizzata, con un PD che torni a parlare alle masse e, soprattutto, a capirne i bisogni. È necessario, però, lavorare su base unitaria, superando questo insopportabile clima da resa dei conti, mettendo una pietra sul passato, evitando di provocare da una parte, di raccogliere le provocazioni dall'altra. Insomma: occorre tornare a ragionare sui temi. Non sono ragionevoli i fischi, meno che meno le risposte infantili e piccate. Reagendo alle contestazioni (sbagliate anch'esse), sfidando la minoranza a vincere il prossimo congresso, Matteo Renzi sembra continuare a non capire che un leader moderno e forte deve sapere costruire, perché distruggere non ci vuole poi molto. Che c'entrava, per dire, andare a rinvangare la storia delle ormai preistoriche dimissioni di Ignazio Marino da sindaco di Roma? Spero si ritrovi il senso di comunità di partito, perché non esistono onde infinite, prima o poi la battigia arriva, perfino per l'asse Lega-M5S. E allora il Partito Democratico deve mettere da parte i gigli magici, deve sapere apprezzare anche le opinioni di chi si permette l'ardire di pensarla diversamente, perché così si cresce. Altrimenti non abbiamo ancora imparato la lezione.

lunedì 2 luglio 2018

Quel bambino morto è il simbolo dell'umanità che ha perduto ogni senso della misura

C'è un momento in cui la propaganda trascende, e si trasforma nella più vergognosa delle speculazioni. Mi riferisco alla recente "fake della fake", la denuncia di un fotomontaggio che, dicono i nuovi disumani, sarebbe stato organizzato ad arte dalle ONG per, diciamo così, tirare acqua al proprio mulino. Sì, sto parlando di quella foto drammatica dell'approdo sulla terraferma di due soldati con, in braccio, il cadavere di un bambino. 
Ma in che razza di società ci siamo ridotti a vivere? In quale tempo ci troviamo? In che mondo? Quello caratterizzato da questa triste rincorsa a dimostrare la propria verità arrivando a modificare la realtà, vivisezionandola e ricostruendola a proprio piacimento. Cos'è? Si ha il timore che la gente di buonsenso possa impietosirsi? Quel bambino morto in realtà è il simbolo della fine dell'umanità. E chi cerca i veri responsabili non ha capito niente. I libici, gli italiani o i marziani: che cosa importa? Cosa cerchiamo? Un'autoassoluzione? Non salirò sul carro degli speculatori che accusano le politiche alla Salvini per questa tragedia. Oggi parlo dell'uomo. Quello senza nome, che ha perso contatto con i valori veri, che non guarda nemmeno i propri figli, preso dai mille problemi dell'apparire che prevale sull'essere, del possedere che prevale sul sentire. Tra le braccia di quei soldati c'è ciascuno di noi, il decadimento della nostra anima, l'esaltazione dell'egoismo sul rispetto, anche di quei cristiani che mentre si battono la mano sul petto adorano forme di governo totalitarie. Dietro gli occhi chiusi per sempre di quel bambino che non crescerà mai c'è questo mondo di oggi, che ha perduto ogni senso della misura.

mercoledì 27 giugno 2018

E allora il PD? Stavolta sono io a farmi la domanda. Il rilancio passa dalla rielaborazione delle priorità

E allora, il PD? Stavolta sono io a domandarmelo. E lo faccio con lo spirito di chi ritiene che il partito fondato da Walter Veltroni sia assolutamente necessario nell'architettura della Democrazia in Italia. Eppure oggi stiamo commemorando la sostanziale marginalizzazione dei DEM nella realtà politica. L'affermazione della Destra di Salvini, a cui il Movimento 5 Stelle al momento non riesce minimamente a garantire un opportuno controbilanciamento, sta apparendo come una reazione intrisa di rabbia nei confronti di quello che viene considerato il malgoverno degli ultimi cinque anni. Cerco di dire come la penso in merito. 

Il Partito Democratico Italiano non poteva rimanere indenne rispetto alla crisi della Sinistra in tutta Europa. I principi di tolleranza e solidarietà, propri del progressismo, si scontrano con una realtà nella quale il cittadino, sempre più vessato da austerity e tassazione, non accetta più che le scelte strategiche del proprio governo non riescano mai a privilegiare seriamente la lotta contro le povertà diffuse e politiche di sviluppo più concrete. Se sono state le classi sociali meno abbienti a voltare le spalle alla Sinistra, figuriamoci se non lo abbia fatto quel ceto medio che, più o meno illuminato, aveva dato credito alle politiche del PD.

È innegabile che la questione politica a Sinistra si sia ridotta da anni solo ed esclusivamente alle diaspore sul tema della leadership, mettendo da parte gli argomenti che rendono un partito vivo: proposta politica, elaborazione progettuale, analisi condivisione del sentire comune. Un partito che, invece, è diventato un centro di potere fine a se stesso. Sì, so già che chi legge trarrà la più semplice delle conclusioni: Matteo Renzi e il Giglio magico hanno degradato un progetto politico avvilendo le speranze di milioni di persone. Non sono d'accordo. Perché è chiaro che la verità ha diverse facce. 

Non è corretto considerare Renzi alla stregua dell'uomo nero. Ha commesso numerosi errori, dimostrando ahimè che la storia non ha insegnato nemmeno a lui a prendere la direzione più ragionevole. Quante volte ci siamo accorti che in un Paese come il nostro la politica leaderistica e accentratrice non ha mai prodotto niente di buono? Eppure non ritengo che Renzi abbia sbagliato tutto. Ha sbagliato ad isolarsi, ad alimentare senza fare il benché minimo passo indietro un percorso sfociato in una scissione (quella dei LeU) che, secondo me, era evitabilissima. Ma Renzi ha anche tentato di modernizzare la Sinistra italiana, soprattutto quella tuttora ancorata ad una iconografia romantica che stride con un'epoca multimediale in una realtà che galoppa. 

Ha cercato di capire il Paese, ha dato una visione da anni Duemila, ha programmato un sistema che, col sì al referendum costituzionale, avrebbe inciso una linea di demarcazione netta tra passato e futuro. Non c'è riuscito, in parte per colpa del suo ego smisurato, in parte per la paura dei suoi competitor che si prendesse troppi giri di vantaggio su tutti gli altri. Ne è scaturita una battaglia personalizzata che, in piccolo, mi ha ricordato molto quella del 2003, quando al referendum per Sciacca Terme si scatenò l'inferno affinché quel nuovo nome non fosse la vittoria politica di Ignazio Cucchiara.

Sulle scelte strategiche non credo che Renzi abbia sbagliato tutto. Per esempio: chi l'ha detto che un leader di Sinistra non debba interloquire con Confindustria? Se Confindustria ottiene dal governo migliori condizioni per dare più posti di lavoro, non è questa una politica "di Sinistra"? Oggi, però, va rinnovato il decalogo delle priorità del PD. Se Renzi vuol farsi un altro partito composto esclusivamente da fedelissimi adoranti, faccia pure. Non lo seguirò. Ho letto che vuol fare un programma televisivo. E qui si ripropone il tema di sempre: chi vuol dimostrare di avere troppi talenti poi non riesce a valorizzarne nemmeno uno. 

Il Partito Democratico deve tornare a privilegiare l'ascolto della gente e le sue necessità. Può ripartire con un progetto che metta al primo posto le necessità delle classi meno abbienti, cercando di capire perché proprio loro siano oggi le avanguardie di quel fascioleghismo che sta alimentando egoismo e cattiveria.

martedì 26 giugno 2018

Commenti. Angela Scandaliato: "Le vere priorità in questo Paese sono mafia, corruzione ed evasione fiscale, non i migranti"

Lusingato per la sua attenzione, ricevo e pubblico molto volentieri il commento della stimata prof.ssa Angela Scandaliato, storica medievista.

Non sono su Facebook, e non amo il glamour. Sono furibonda e anche sconfortata per la brutalità  e  la  colossale ignoranza del "bullo" che, come Bossi, vuole  dirci che ce l'ha duro e anche contro il "fighetto" Di Maio. Sono anche contro l'analfabetismo del popolo dei social, che non sa distinguere una notizia  vera da una falsa, che ha l'arroganza di chi "si informa" su internet e crede sempre di poterti smentire anche  quando  pensi di macinare cultura quotidianamente in modo scientifico. Lo so a mie spese. Ho sempre incontrato un massone che, nel suo delirio di onnipotenza, cerca di smentirti.
Le vere priorità di questo Paese sono mafia corruzione ed evasione fiscale, non i migranti. Ma Salvini questo si guarda bene dal dirlo, perché la mafia gli fa  "le palle a piattelli".
Un buon giornalismo dovrebbe istruire  la gente parlando di storia, colonialismo, neocolonialismo, imperialismo, Africa , globalizzazione, era post-cristiana. Il papa, "vox clamans", che subisce insulti dal popolo dei social, i cristiani sono una razza  in via di estinzione. I giornalisti  dovrebbero fare quello che i professori, sempre più minacciati da alunni e genitori, non sanno fare più. Non esisteranno destra e  sinistra, ma esistono ancora progressisti e conservatori, pacifisti e guerrafondai. Diogene cercava l'uomo, noi lo abbiamo perduto definitivamente. Ma qualcosa contro i nazifascisti bisognerà pur fare, e non certo con i piagnistei sui social. Immagino una grande manifestazione come quelle di una volta (ma parlo forse di un'altra epoca) sotto il Viminale, che non farebbe male al pigro popolo dei social. 
Angela Scandaliato

domenica 24 giugno 2018

Matteo Salvini è il vendicatore pro-tempore dell'italiano medio

Non nascondiamocelo: da generazioni l'italiano medio ha un debole per l'uomo solo al comando. Adora il decisionismo, la spregiudicatezza, ama alla follia perfino una certa "cattiveria" di fondo. Tutte doti che, naturalmente, essendo "medio" questo tipo di italiano non possiede. Perché in fondo è quello che oggi definisce un "buonista". E allora le predette doti le cerca in qualcun altro. Perché, di fatto, l'italiano medio adora essere suddito, ma è anche molto vendicativo. Intendiamoci: non ha il coraggio di farla pagare a nessuno, ma ha bisogno di qualcuno che lo faccia al posto suo.

Per ora il vendicatore dell'italiano medio è Matteo Salvini. Che batte il ferro finché è caldo. Perché sa bene che la realtà di oggi prima o poi cambierà. Perché morto un vendicatore se ne farà un altro. L'italiano medio è lo stesso che prima si spella le mani in applausi a piazza Venezia ma dopo non esita a prendere a pedate il cadavere del Duce appeso a testa in giù a piazzale Loreto. Oggi l'italiano medio adora Salvini, ma ieri non gli dispiaceva Beppe Grillo. L'altro ieri adorò Matteo Renzi. E, a ritroso, ha stravisto per Berlusconi, prima ancora ha ammirato Bossi, Andreotti, Bettino Craxi. Dalle nostre parti amava alla follia Calogero Mannino.

L'italiano medio oggi esalta, ma domani calpesta. Ma sa bene che la politica vendicativa fa perdere di vista il lume della ragione. Perché la storia si ripete: chi ha problemi ne crea agli altri. E pur conoscendo la storia, la folla continuerà a chiedere la liberazione di Barabba. Allo stesso modo continua a votare di pancia. All'italiano medio non interessa alcunché dei programmi, delle coperture finanziarie, degli accordi internazionali, delle politiche dello sviluppo o della coerenza politica. A parole non gliene frega niente della Destra e della Sinistra. Eppure è la Destra ad affascinarlo di più.

Ma la luna di miele tra il Popolo e Salvini, che rischia di ridimensionare il grillismo, non durerà a lungo. Perché tra poco l'italiano medio si accorgerà che i suoi problemi personali non sono stati risolti nemmeno da questo vendicatore. E inizierà la ricerca del prossimo. Ma la politica è un'altra cosa. E Salvini è solo un vendicatore pro-tempore.

Massimo D'Antoni

P.S. Questo articolo vuole essere una modesta elaborazione culturale senza alcuna pretesa di essere imposta o condivisa. Pertanto, ogni riferimento a persone che, in qualche maniera, tendessero ad identificarsi nel cosiddetto "italiano medio" è da considerarsi puramente casuale. 

martedì 19 giugno 2018

Commenti. Andreea Cucchiara: "Tutti noi siamo zingari, solo che a differenza di loro abbiamo fissa dimora".

 Pubblico molto volentieri il commento di Andreea Cucchiara, avvocato di Sciacca, pubblicato sulla sua pagina Facebook, circa i fatti al centro dell'attualità di questi giorni.

Il concetto che sto cercando di esprimere è leggermente sottile per cui il rischio di non farmi capire non bussa alla porta soltanto perché la trova già aperta.
Per diversi fatti di cronaca, ho sentito molti coetanei e non, parlare male dei rumeni. Spesso con cattiveria e disinformazione, alla Salvini insomma.
Spesso non sapendo che magari quel singolo individuo coinvolto nel fatto di cronaca “X” fosse in verità un soggetto appartenente al popolo Rom.
Questi ultimi noi "volgarmente li chiamiamo zingari, prendendo in prestito il termine da Erodoto che li chiamava “zinganoi”. Era un popolo che veniva dal sud est asiatico, dall’India, che parlava una strana lingua che poi si è scoperto essere il sanscrito. Diceva Erodoto che questi zinganoi facevano come mestiere -se mestiere lo si può considerare- quello del mago e dell’indovino. Si tratta di un popolo che tuttora gira il Mondo da più di due mila anni, afflitto (o affetto, io non so come meglio dire ma forse semplicemente affetto) da quella che gli psicologi chiamano “dromomania”. Cioè la mania dello spostamento continuo, del viaggiare, del non fermarsi mai in un posto. E’ un popolo che per il fatto stesso che gira il mondo appunto da circa due mila anni -senza armi- meriterebbe il premio Nobel per la pace in quanto popolo. Purtroppo i nostri storici, e non soltanto i nostri, preferiscono considerare i popoli non soltanto in quanto tali ma in quanto organizzati in nazioni se non addirittura in stato (popolo+territorio+governo).
E si sa che i Rom, non possedendo territorio, non possono considerarsi né una nazione né uno stato. Ciò spiega la ragione per cui è errato dire che i Rom sono Romeni, molti però probabilmente indotti da una facile assonanza, cadono in questa gaffe.
Mi direte che gli zingari rubano, è vero hanno rubato anche in casa di un mio parente.
Si accontentano però dell’oro e delle palanche, l’argento per esempio non lo toccano perché secondo loro porte male (lascia il nero). Quindi ci si accorge facilmente se si è stati derubati da degli zingari. Certo questo non ci solleva. D’altra parte però loro si difendono come possono. Si sa bene infatti che decenni fa l’industria ha fatto chiudere diversi mercati artigianali. Buona parte dei rom erano (e alcuni lo sono ancora) artigiani, lavoratori dei metalli, in special modo del rame, addestratori di cavalli, giocolieri, circensi e giostrai (tutti mestieri che purtroppo sono caduti in disuso). Gli zingari rubano, è vero. Però non ho mai sentito dire né ho mai visto scritto da alcuna parte che gli zingari rubano o hanno rubato, ad esempio, tramite banca" o tramite finanziamenti europei alle regioni o tramite azioni o che ricoprano un posto nel mercato della droga, delle armi, della tratta di esseri umani, dello sfruttamento della prostituzione).
Allora io credo, dal mio stupido punto di vista, che se gli zingari sono “zingari” per come si intende nel senso più comune del temine, allora tutti noi siamo zinganoi con la particolare eccezione di avere fissa dimora.
Tutti noi quindi andremmo censiti e schedati.
Passando a Rumeni in senso stretto, spesso mi sono vergognata Nell’ascoltare fatti di cronaca molto pesanti, dal giro di prostituzione, alla droga, agli omicidi, alla tratta di schiavi. Questi sono negozi di certo non unilaterali.
Sappiamo tutti, benissimo, che il miglior contraente è europeo in senso storico, non istituzionale, del termine.
Sono parole sprecate queste con te che stai ancora leggendomi, perché lo so benissimo che tu non hai certamente bisogno di leggere queste 4 parole messe in fila così lapalissiane d se lo stai facendo è perché condividi già questo pensiero.
In breve, penso che se un Salvini o un qualunque suo seguace fosse nato e cresciuto in una famiglia medio povera della Romania, difficilmente non sarebbe entrato in qualche losco giro, o se non lui, qualche suo figlio, padre o fratello, o addirittura moglie o madre.
Così come io se ci fossi rimasta.
Eppure io che meriti ho (e non smetterò mai di dirlo a gran voce) se oggi sono quella che sono e non quella che avrei rischiato di essere? Se ho potuto studiare ecc? Nessuno merito, ho avuto occasioni Vitali. Ma non le ho create io. Non me le sono andata a cercare.
Lo stesso vale per tutti voi.
Quello che mi fa ancora piangere di tanto in tanto è che popoli deboli come quello rumeno e Rom ma anche tanti altri ancora , non hanno mai avuto un’occasione di riscatto. Quello rumeno addirittura neppure quando la Romania è entrata a far parte dell’UE.
A volte penso che l’Africa sia destinata a rimanere per sempre Africa. La Romania, Romania. L’America, America. La Russia, Russia.
Della serie: cu nasci tunnu un po’ moriri Simmenthal.
Io sono nata rumena e morirò italiana o forse, tedesca o Australiana, o perché no, di nuovo rumena.
Ché magari una bella pedata in culo ed una bella leccata al cervello di tanti rumeni potrebbe essere un piccolo passo verso un lento riscatto.
Ci sono tante donne, e tanti uomini rumeni, congolesi, albanesi, tunisini, egiziani, indiani ecc , che sono delle menti brillanti in campo medico, artistico, letterario, chimico, giuridico e che agli splendidi europei fanno un culo a panaro. Ma questo lo sapete, lo sappiamo già. Eppure siamo sempre là: fatti la (brutta/bella) fama e va cucati.
https://facebook.com/100000405914145/posts/1170159689674217/
Andreea Cucchiara

La storia è andata più avanti di noi, la cultura del dalli al capro espiatorio non potrà mai vincere

Io ho rispetto per chi la pensa diversamente da me. Ma penso, facendo un'analisi la più possibile obiettiva, che viviamo una fase storica in cui l'uomo cerca solo un capro espiatorio per le sue crisi, ora economiche, ora civili: il migrante, il rom, il musulmano, il gay, e così via. 
L'uomo oggi cerca qualcuno a cui dare la colpa, accecato dalla rabbia, incolpando gli innocenti per i problemi personali e per quelli della società, dichiarando di volere difendere la comunità autoctona. Ma è una pretesa che arriva fuori tempo massimo. La storia è andata troppo avanti rispetto alle visioni di qualcuno, rimaste ancorate ad un concetto di società che escludeva, mentre l'umanità è inclusiva. 
E, state tranquilli, nemmeno Salvini ce la farà a fermare il cammino dell'umanità. Salvini queste cose le sa meglio di me, e ne sta solo approfittando politicamente, per essere più potente. Sa bene che prima o poi questo suo progetto di pulizia etnica si schianterà contro i percorsi e i processi naturali. Perché il mondo non è diviso in buonisti e cattivisti. Il mondo è diviso in ricchi e poveri. E non è fermando l'immigrazione o prendendosela con i rom che i poveri diventeranno ricchi. No, la redistribuzione della ricchezza nel mondo richiede percorsi molto diversi. Ecco perché non resisteremo a lungo a fare i forti con i deboli e i deboli coi Salvini.

venerdì 15 giugno 2018

Non è vero che Destra e Sinistra non esistono più. Ma al primo posto restano le sensibilità e i valori personali

Attorno al concetto di "verità" si sono affermate, nel corso dei secoli, teorie di tipo diverso: ora filosofiche, ora teologiche. Soggetto e oggetto si sono rivelati, e continuano a rivelarsi, fattori talvolta contrapposti, difficilmente coesistenti all'interno di un unico contesto. Ne consegue che si fa ancora troppa confusione nel considerare "verità" quello che, invece, è soltanto un punto di vista o, peggio, una "fake news" che, fagocitata dal sistema mediatico, talvolta diventa quella che abbiamo imparato a conoscere con la definizione di "post-verità". 
Rischia di essere considerata tale, per esempio, l'affermazione secondo la quale "Destra e Sinistra" non esistono più e che non abbiano rappresentanza politica. Io contesto apertamente queste affermazioni, soprattutto la prima. Non credo affatto, infatti, che "Destra e Sinistra" non esistano più. Esistono ancora, eccome. Sostenere il contrario significa solo interpretare la serpeggiante delusione della gente, e facendolo attraverso quello che è a tutti noto con un sostantivo specifico: populismo. Ma se il politico spregiudicato approfitta di questo disorientamento popolare (che lo condurrà prima o poi a scontrarsi con scenari diversi), una riflessione meno caustica la merita sicuramente la seconda affermazione da me messa in discussione, ossia l'ipotesi secondo la quale i valori della Sinistra oggi non siano degnamente rappresentati all'interno dei partiti politici. 
Esistono sensibilità personali e modi di guardare ai problemi della società che prescindono dalla presenza o, peggio, dalla presunta inadeguatezza sulla scena politica, di uno o più partiti di riferimento. Esistono anche orientamenti che si fondano su una passione civile (singola o collettiva) più disinteressata, che non si preoccupa più di tanto di essere o meno maggioritaria, figuriamoci se si preoccupi di potere esercitare un potere più o meno governativo. Ecco perché nella asprissima polemica sulle politiche riguardanti l'immigrazione, mi trovo sempre più a disagio ad aprire dibattiti "nel merito" delle singole questioni, posto che sempre più spesso le mie opinioni vengono trascinate sul della più becera tifoseria calcistica, che francamente non mi appassiona. Ed è una lotta a dir poco impari quella che si rischia di sostenere contro le post-verità amplificate dal tam-tam del consenso sui social e dei toni più o meno aggressivi. Post-verità è, per esempio, quella che considera le ONG niente più che associazioni a delinquere dedite al business. Una vicenda su cui perfino un uomo dello Stato, ossia il procuratore di Catania Zuccaro, inciampò clamorosamente. 
Concludo coi partiti. Oggi chi cerca gli interpreti dei valori della Sinistra non ha grandi possibilità di scelta. La Sinistra è in crisi, i partiti più di essa. Ma qual è l'alternativa? Per quanto mi riguarda non certo quella di votare per partiti senza identità o per partiti di destra. Perché se l'idea di punire chi si ritiene ci abbia rappresentati male è democraticamente ineccepibile (è quella che sancisce l'alternanza al potere, per fortuna), l'impostazione sui valori di fondo assume, per quanto mi riguarda almeno, un valore leggermente diverso. E su questo non transigo, anche se la Democrazia è il valore assoluto, di fronte al quale mi inchino. 

martedì 12 giugno 2018

Noi in diretta per cinque ore a Menfi? Lo abbiamo fatto anche per senso di riconoscenza

L'altra sera siamo stati in diretta per cinque ore consecutive, per conoscere insieme il nome del nuovo sindaco di Menfi. Qualcuno mi ha chiesto "perché"? Domanda lecita, se si pensa che oggi qualsiasi iniziativa debba, in qualche maniera, essere immolata ad un introito economico, soprattutto se un'azienda televisiva rende operativi tutti i suoi (pochi) effettivi per l'evento.

No, non abbiamo avuto sponsor commerciali per la diretta dell'altra sera. Abbiamo ricevuto, quella sì, tanta stima e amicizia da parte di chi ci ha seguito. A partire dai cittadini di Menfi. Non abbiamo incassato un centesimo per quella diretta. Diciamo che abbiamo fatto un investimento culturale e di sensibilità civile. Perché se non facciamo questo, che ci stiamo a fare?

Ma c'è anche un'altra ragione che ci ha indotto a fare quello che abbiamo fatto, a prestare attenzione ad un appuntamento, quello elettorale, che è di grande importanza in una comunità. Il comune di Menfi è uno degli ultimi che continua a riconoscere importanza alle emittenti televisive locali, a cui quasi sempre commissiona le dirette del Consiglio comunale. Per questo ringraziamo le amministrazioni che si sono succedute, così come gli stessi consiglieri, anche quelli di opposizione, che non hanno mai rinunciato a questa forma di trasparenza dell'attività politica. Volontà che, per quanto ci riguarda, si è tradotta anche in un sostegno a Tele Monte Kronio e Tele Radio Sciacca, chiamate a svolgere un servizio pubblico.

Abbiamo raccontato in diretta le elezioni a Menfi anche come segno di riconoscenza nei confronti di una comunità che continua a valorizzare le aziende come la nostra. Perché in altri comuni la diretta tv dei consigli comunali non è una priorità.

domenica 10 giugno 2018

Il ministro dell'Interno viola su Facebook la norma sul silenzio elettorale e invita a votare Lega. Che ne pensano le sentinelle della legalità che citano Pertini?

Oggi si vota in 700 comuni italiani. Ce lo ricorda anche lo stesso ministro dell'Interno Matteo Salvini, in un lungo post su Facebook. Post che si conclude con l'invito, non solo sotto forma di hashtag, a votare per la Lega. La forma è sostanza, e a me ha fatto venire i brividi che sia stato lo stesso responsabile del Viminale oggi ad aver violato la legge sul silenzio elettorale. Nessuno, a urne aperte, può farlo. Ma se a farlo è il vice presidente del Consiglio in persona, il segnale è inquietante. Come a dire: l'etat c'est moi, nell'accezione più penosa possibile della citazione di Luigi XIV. 
E stavolta non c'entrano il rosicamento, il Maalox e la depressione post elettorale. A preoccuparmi, oggi, è che il signor Salvini sapeva benissimo che questa sua iniziativa avrebbe generato qualche discussione. Il populista, però, ha dalla sua parte il suo "popolo". Sa bene che qualsiasi iniziativa che divenga oggetto di aspre critiche da una parte, genererà in ogni caso un contraltare di strenui sostenitori, più o meno ammaestrati a fare ricorso al benaltrismo di maniera, da una parte ricordando che la presunta illegalità commessa da Salvini e ben poca cosa rispetto agli assassinii commessi dai governanti del passato, dall'altra evidenziando che qualcuno non si è ancora rassegnato alla sconfitta. Parlo per me. Non ho votato per questa coalizione di governo (anche perché non si era presentata alle elezioni). Ma non spero che il Governo Conte fallisca. Oggi però Salvini l'ha fatta grossa. Ed è paradossale che lo abbia fatto nello stesso giorno in cui una squadraccia di Mussolini uccise il leader socialista Giacomo Matteotti. Corsi e ricorsi storici, direbbe Vico. Mussolini si assunse la responsabilità morale di quell'omicidio. Basta che stasera Salvini si assuma quella di aver violato una legge dello Stato (da ministro dell'Interno) e avremo fatto il paio. Mi auguro che le sedicenti sentinelle della legalità e della giustizia, alcune delle quali spesso citano Sandro Pertini, stavolta dicano qualcosa di diverso dagli inviti a prendere un antiacido. Personalmente sono preoccupato. Perché Salvini, più o meno provocatoriamente, ci ha sbattuto in faccia un messaggio chiaro: io faccio quello che mi pare. E chi lo applaude non ha idea di cosa stiamo andando incontro. Se a violare la legge fosse stato un leader della vecchia politica, oggi le sentinelle della legalità avrebbero già occupato le piazze. Ma, si sa, ormai viviamo nell'era del giustificazionismo.

Il carcere duro: perché il dibattito sul singolo caso Cospito si sta estendendo sulla norma nella sua interezza

Avere trasformato la singola questione riguardante lo sciopero della fame dell'anarchico Alfredo Cospito in un dibattito (con molte, tro...