giovedì 30 giugno 2016

La rivoluzione mancata di Crocetta e la rassegnazione della Sicilia

Chi negasse che Rosario Crocetta abbia rappresentato nel corso del tempo un simbolo antimafia e del riscatto sociale e culturale della Sicilia sarebbe, quanto meno, intellettualmente disonesto. Personalmente sotto questo profilo gli riconosco ogni merito possibile e, dunque, consegno sinceramente a Cesare quel che è di Cesare. Dopo quasi quattro anni di governo della Regione, tuttavia, è possibile affermare che l'assimilazione che "Saro" nel 2012 ha voluto propinare ai siciliani tra le sue battaglie contro Cosa nostra e il buongoverno della Sicilia non ha funzionato. L'assioma secondo il quale "siccome combatto la mafia ergo sono il miglior Governatore possibile" è fallito. È fallito sia sul piano amministrativo, sia su quello politico. Così come è fallita quella "rivoluzione" che ha caratterizzato un programma politico ricco di promesse che, manco a dirlo, si sono scontrate contro la dura realtà dell'economia, della burocrazia, dei privilegi e del numero più alto di dipendenti regionali (ben 18.000, cinque volte di più quelli della Lombardia). Condizione generale figlia del clientelismo, naturalmente, ma al tempo stesso uno status quo difficilmente sovvertibile senza affondare in tensioni sociali che sarebbero ingestibili. Tensioni che, peraltro, Crocetta non è neanche riuscito ad evitare dal tutto (a partire dalla discussa Formazione professionale ai tanto criticati lavoratori Forestali, dalla Sanità ai Consorzi di bonifica). 

Nessuna "rivoluzione, d'altronde, avrebbe potuto aprire una breccia in un contesto di ordine generale nel quale si sono ripetute le tanto contestate pratiche del passato: nomine di sottogoverno e ricatti parlamentari per mantenere i pupilli dei singoli deputati di maggioranza nei posti che contano. E ancora: le sostituzioni in corsa degli assessori (come un Raffale Lombardo qualsiasi) e la presenza, in giunta, di una sorta di "tutore": quell'assessore all'Economia Baccei imposto da Roma che ha condizionato e non poco quelle poche scelte che Crocetta avrebbe potuto fare. Con buona pace di quella Sinistra che avrebbe dovuto (e potuto) caratterizzare un'azione di governo che, tuttavia, di Sinistra non ha lasciato alcuna traccia. Difficile individuare le ragioni. Immaginiamo che nella migliore delle ipotesi la predetta azione di governo sia rimasta imbrigliata nell'adagio tipico: "vorrei ma non posso"; nella peggiore delle ipotesi tale fallimento potrebbe essere stato causato solo da un'indolenza senza precedenti, una colpevole pigrizia alimentata dalla rassegnazione che, tanto, alla fine della fiera nulla in terra di Sicilia può essere cambiato. La Sinistra siciliana esce a pezzi da questa esperienza di governo, e se consegnerà il governo della Regione al Movimento Cinquestelle può sin da adesso fare pubblica ammenda. Perché in definitiva il siciliano ha perso ogni speranza. E, sempre che vada a votare, difficilmente ripeterà gli errori del passato o si lascerà convincere dalla proposta che verrà dall'altro schieramento tradizionale. Perché se Crocetta doveva aggiustare le cose in terra di Sicilia, non solo non l'ha fatto, ma ha perso anche l'aura dell'uomo nuovo, il rivoluzionario che avrebbe dato vita ad una politica nuova, chiudendo le porte a ogni possibile new deal. Con la conseguenza che siamo punto e a capo. E alla fine, lo dico con amarezza, Saro non si è rivelato un Presidente della Regione migliore degli altri che lo hanno preceduto. E la Sicilia oggi non è più neanche arrabbiata. No, oggi è solo rassegnata. Il che è ancora più grave. 
Massimo D'Antoni

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