domenica 29 marzo 2015

I dirigenti Pd che si sorprendono di quanto accaduto ad Agrigento fanno solo ridere



Ad Agrigento, la sconfessione di quel pasticcio che qualcuno ha avuto il coraggio di definito "Primarie" rischia di non servire a neutralizzare la ghigliottina politica che, ancora una volta, taglierà solo l'ennesima testa senza commuovere più di tanto gli elettori di sinistra, disincantati dalla mosca cieca che da sempre caratterizza l'azione politica dei suoi più importanti punti di riferimento a tutti i livelli, dal locale al nazionale.

Ma trovo ingiusto, oggi, dare la colpa di questa sconcertante debacle autolesionista al solo segretario provinciale del Pd Giuseppe Zambito. Oserei dire perfino che i leader del partito non potevano non sapere cosa bollisse in pentola. Perché se di "marmellata" si trattava, come la definiscono oggi quelli che si firmano "Area Renzi", qualcuno certo l'aveva ordinata. 

Ma tutto risiede nella politica di oggi. Quella che fa ricorso ad un personaggio in voga, che oggi si chiama Silvio Alessi, sperando di omologare alla candidatura a sindaco quell'entusiasmo calcistico rinverdito dai successi dell'Akragas. 

Che l'epilogo di queste Primarie sarebbe stato quello venuto fuori la settimana scorsa fa lo sapevano tutti. La "sorpresa" espressa in queste ore da parte dei leader (dalla Serracchiani a Raciti, passando per i renziani di casa nostra) a me fa solo sbellicare dalle risate. 

Ci sono volute le battute (magnifiche) di Crozza e i titoli dei grandi giornali a far capire che non poteva andare bene che uno di Forza Italia vincesse le primarie del Partito Democratico? Se la gente poi a votare non ci va non ha mica torto.
Massimo D'Antoni
@dantonisciacca

domenica 1 marzo 2015

Per sconfiggere i Salvinismi (e gli altri razzismi) occorre tornare ai Cineforum. Cari insegnanti: fate vedere "Selma" ai vostri studenti


Premessa: scusate se non aggiorno questo blog con la puntualità che vorreste (e che vorrei). Non sono solo gli impegni ad impedirmelo, ma anche il pudore di chi, sembrerà strano, se non ha niente da dire preferisce stare zitto piuttosto che dire la prima stronzata che gli capita. Capisco che nella fregola da social che spadroneggia questo possa sembrare strano. Chiedo scusa, e fine della premessa.
Stasera alla Multisala Badia Grande ho visto "Selma", il film che racconta (penso in modo esemplare, ma non sono un critico cinematografico) la battaglia condotta negli anni ’60 negli Stati Uniti d’America dal Movimento di Martin Luther King Jr. contro la segregazione razziale e volta ad ottenere il diritto di voto degli afroamericani.  Un film impegnato, che richiama alla necessità di spolverare un po’ di storia di questa umanità che, presa da mille problemi, rischia di non capire più niente.
È la mancanza di conoscenza e, ahimè, di cultura, quella che alimenta la preoccupante recrudescenza razzista che fomenta le politiche populiste che dalle nostre parti vengono interpretate da leader senza scrupoli come quello leghista Matteo Salvini.

E allora sarebbe utile tornare ai cari vecchi “cineforum”, quelli che un tempo aiutavano a dare un senso alle battaglie studentesche del passato, e non parlo solo di quelle sessantottine, ma anche di quelle un po’ più recenti. Alimentare la cultura e la conoscenza della storia significa educare alla libertà e alla tolleranza. “Selma” merita di essere proposto agli studenti. Così, anche solo per evitare che qualcuno di loro prima o poi dica: “Non sono leghista, ma quel Salvini non ha tutti i torti”. 

sabato 31 gennaio 2015

Mattarella al Quirinale: Costituzione invertita, con il Premier che nomina il Capo dello Stato (e non il contrario). Capolavoro di Renzi, leader ancora più forte

È la prima volta, al mio ricordo che, di fatto, un Premier (ancorché nella veste di segretario del più grande partito italiano), nomina il Presidente della Repubblica. È quello che è accaduto con l'approdo al Quirinale del prof. Sergio Mattarella. La Costituzione, come si sa, semmai sancisce un procedimento opposto. Eppure Matteo Renzi è riuscito a capovolgere perfino questa liturgia, trascinando verso le sue posizioni prima il suo partito, poi il suo principale alleato (mi riferisco ad Alfano, non a Berlusconi).
La si pensi pure come si vuole, ma è innegabile che la partita del Quirinale abbia consegnato alla storia un Renzi autentico leader. Con tre mosse l'ex sindaco di Firenze ha mostrato un'intelligenza politica fuori dal comune: ha bagnato le polveri dei suoi avversari interni al Pd avanzando un nome, quello di Mattarella, al quale non si poteva opporre alcun rifiuto; chiusa questa partita ha spostato la sua attenzione sui centristi, riuscendo a fargli capire che quella di Mattarella poteva essere anche la loro vittoria; ha costretto infine (e per l'ennesima volta) Silvio Berlusconi a non farla tanto lunga, ché già la scelta di Mattarella (e non, ad esempio, quella del più indigesto Romano Prodi) poteva confermare benissimo la validità del patto del Nazareno, con buona pace di chi in questi giorni, piuttosto frettolosamente, l'aveva dato per tradito. 
Certo, se il patto conteneva compiti "ad personam" da far esercitare al nuovo inquilino del Colle, tipo la cosiddetta "restituzione dell'agibilità politica a Berlusconi", è chiaro a tutti che solo Giuliano Amato avrebbe potuto avere la faccia tosta di agire in tal senso, è fuori da ogni logica che possa farlo uno come Sergio Mattarella.
Quello di Renzi è un capolavoro, insomma. Sul quale spicca il senso dell'unità da restituire ad un Partito Democratico che specialmente nell'ultimo periodo aveva offerto uno spettacolo a dir poco indecente.
Mattarella al Colle è una vittoria di Renzi, negarlo sarà complicato, anche se non soprattutto alla minoranza del Pd. L'essere riuscito a scongiurare al Paese uno scenario da scontro aperto rende Renzi un leader inattaccabile. Un Presidente del Consiglio che esce ancora più forte nel suo ruolo, avendo piazzato al Colle un personaggio che non ne intaccherà le posizioni, in degna continuazione con il lavoro svolto da Giorgio Napolitano.
So bene che questo ragionamento, a chi non conoscesse spessore culturale e moralità del professor Sergio Mattarella, potrebbe farlo apparire come un burattino nelle mani di Renzi. Naturalmente non sarà così, il Premier lo sa bene, ce ne accorgeremo tutti molto presto. Nessuno confonderà mai la mitezza di Mattarella con la sua determinazione. Con un costituzionalista del suo rango a garantire per la Costituzione sarà difficile ottenere la promulgazione di leggi che non si attengano rigidamente allo spirito della legge fondamentale del Paese.
Dopo il Quirinale, naturalmente, la legislatura non può interrompersi, e per diversi motivi. La luna di miele tra il Paese e il leader ha subito un rallentamento, questo lo sanno tutti. Ecco perché non è conveniente anticipare il ritorno alle urne. È uno dei motivi per i quali il patto del Nazareno rimarrà in piedi, perché la conseguenza opposta sarebbe il voto, e Forza Italia non può permetterselo.
L'atteggiamento degli altri partiti sul Quirinale non passerà alla storia. Una marmellata penosa l'intesa (contraddittoria nei termini) tra Fratelli d'Italia e Lega nord.
E il Movimento Cinquestelle? In questa vicenda passerà alla storia (sic!) solo per la drammatica (e ridicola) inversione a U di Grillo su Mattarella: ieri additato come quello che negò le conseguenze dell'uranio impoverito nella ex Jugoslavia, oggi definito persona perbene. Poche idee, ma confuse.
Movimento che intanto continua a perdere pezzi. I cortigiani di Grillo li definiranno "traditori", ma un problema esiste. Anche se i sondaggi continuano a riferire dati più che lusinghieri (circa il 20%). Ma se rimane nelle mani della Casaleggio & associati questo movimento, che doveva stravolgere il mondo ma che come è noto ha preferito non farlo, è destinato brevemente a sparire.
Come accadde all'Uomo qualunque e a tanti epigoni successivi.
Massimo D'Antoni
@dantonisciacca

venerdì 30 gennaio 2015

Ubriacati da Tsipras, dopo due giorni di profilo greco siamo subito tornati a quello italiano: il profilo basso


Alla fine l'ubriacatura ipocrita tutta greca nel cortiletto italico si è esaurita facilmente. Fin troppo facilmente. Hanno dovuto chiudere subito la bocca gli invidiosi della (bella) vittoria di Alexis Tsipras. Hanno dovuto farlo dopo che il loro idolo (ahimé, la realpolitik) ha dovuto accordarsi con la destra nazionale per poter formare un governo. 
Siamo così noi: ci esaltiamo quando non ce n'è bisogno, ci avviliamo quando la situazione richiederebbe magari di fare una cosa diversa e più responsabile. Ammaliati per qualche giorno dal profilo greco, abbiamo subito recuperato quello che più ci aggrada: il profilo basso. Viva l'Italia. 
Massimo D'Antoni
@dantonisciacca

mercoledì 14 gennaio 2015

Quirinale. Dopo Napolitano il nome giusto è quello di Romano Prodi. Se il Pd fosse un partito vero la partita sarebbe già chiusa


Dopo le dimissioni di Giorgio Napolitano è già scattato il "totonomi" per la sua successione. E, in vista dell'elezione del nuovo inquilino del Quirinale, sono già certo che il Parlamento italiano ci farà assistere a numeri da avanspettacolo di serie B.
Personalmente non ho mai condiviso i timori dei cosiddetti nomi "bruciati", tanto più che questa è una teoria che ubbidisce esclusivamente alla cialtroneria di chi quei nomi manda (consapevolmente) in pasto ai giornali. 
C'è un'ipocrisia insopportabile che aleggia nei palazzi del potere. E dire che si tratta della necessità di garantire al Paese un nuovo garante della Costituzione, ruolo che secondo me il Capo dello Stato uscente ha esercitato con senso della misura e della responsabilità, malgrado le ombre culminate con quella che personalmente ho trovato mortificante (oltreché assolutamente inutile) deposizione a cui Napolitano è stato costretto dai magistrati di Palermo nell'ambito del processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia.
Spero che il prossimo Presidente della Repubblica sia una personalità prestigiosa, certo, ma al tempo stesso esperta delle istituzioni, in grado quindi di esercitare alla perfezione quel ruolo che, nella fase che il Paese sta attraversando, è tutt'altro che notarile, tanto meno di rappresentanza.
Occorre un nome che sia realmente autorevole nel Paese e in Europa, che conosca e sappia gestire con sicurezza le dinamiche politiche interne e quelle internazionali, conferendo il giusto prestigio a un Paese affollato da cialtroni che (ottenendo successo, ahimè) proferiscono solenni stupidaggini, tipo il "No Euro" che ci farebbe passare solo dalla padella alla brace. 
L'identikit giusto del prossimo Capo dello Stato, secondo me, corrisponde al nome di Romano Prodi. Ora, se il Pd fosse un partito vero, i cui protagonisti non giocano sorridenti a poker impugnando la pistola sotto il tavolo, non ci sarebbero molti dubbi su un esito così naturale della partita del Quirinale. 
Prodi, oltretutto, è stato già ampiamente impallinato due anni fa da un centinaio di franchi tiratori.
Il punto è che tutto è subordinato ai contenuti del cosiddetto "Patto del Nazareno". 
I comuni mortali non conoscono gli ingredienti di quella che, se comprende pure un accordo sul Quirinale, rischia di essere solo una marmellata per diabetici. Di conseguenza il timore è che senza il "lasciapassare" di Berlusconi non si possa eleggere serenamente il nuovo Presidente della Repubblica. Una cosa francamente inaccettabile, anche perché il veto del Cavaliere al nome di Prodi sembra obbedire solo alla rabbia personale del quasi ottantenne capo di Forza Italia per essere stato sconfitto (due volte) dal professore bolognese. 
Spero vivamente che Matteo Renzi la smetta di ostentare una finta indifferenza sul tema del prossimo inquilino del Quirinale e dimostri all'Europa di essere realmente quel leader prestigioso che dice di essere. Nell'interesse dell'Italia, per dirla come lui.
Massimo D'Antoni
@dantonisciacca

giovedì 8 gennaio 2015

Dopo Parigi si rischia l'autocensura. E qualche politico emergente ne sta approfittando per fare campagna elettorale sulla pelle di 12 innocenti


Quello che è successo a Parigi è stato ampiamente discusso da commentatori ben più importanti di me. Nel mio spazio vorrei puntare l'attenzione su un pericolo, in particolare: l'autocensura. Una conseguenza inevitabile. Si tratta di quel meccanismo perverso, talvolta dall'origine inconsapevole, che tende a indurre chi esprime un'opinione ad evitare di farlo, per non urtare la suscettibilità di qualcuno. 
Un rischio che si corre tutti i giorni, intendiamoci, e per ragioni assai meno clamorose dell'attentato al "Charlie Hebdo", motivo per il quale ho trovato ridicoli alcuni dei commenti  di presunti illuminati esponenti della politica sul problema della libertà di stampa messa a repentaglio dai fatti di ieri.
Oggi ascoltando la radio una ascoltatrice, chiamata a dire la sua, nel condannare la violenza a prescindere ha comunque evidenziato che i vignettisti di Charlie Hebdo avrebbero dovuto stare più attenti a quello che pubblicavano, visti i tempi che corrono.
Inizialmente ho provato indignazione per questo commento, non posso negarlo. Subito dopo, però, ho cercato di analizzare la questione da un'altra prospettiva. E ammetto di essere stato assalito dai dubbi. Ma la conclusione è inevitabile: il mondo libero deve continuare ad andare avanti. Certo, sarebbe meglio evitare qualche provocazione eccessiva. Così come fa leggermente schifo la campagna elettorale che qualche politico emergente italiano sta portando avanti in queste ore, strumentalizzando la morte di 12 persone.
Massimo D'Antoni
@dantonisciacca

Il carcere duro: perché il dibattito sul singolo caso Cospito si sta estendendo sulla norma nella sua interezza

Avere trasformato la singola questione riguardante lo sciopero della fame dell'anarchico Alfredo Cospito in un dibattito (con molte, tro...