venerdì 28 novembre 2014

Lo "stanchino" Beppe Grillo nomina un direttorio. Uno non vale più uno, dunque. Ma c'è un futuro per il Movimento Cinquestelle?


La si pensi come si vuole ma il "quintetto" prescelto da Grillo e Casaleggio, "apprezzato" dal 91% della rete pentastellata, pone fine al proverbiale "uno vale uno", espressione che ha letteralmente frantumato gli zebedei, dal primo "vaffa" in piazza a Bologna in avanti. Adesso è "plastico" che uno non vale più uno: ci sono cinque fedelissimi che dirigeranno l'azione politica. 
A Vesper 2.0 (in onda da domani su Rmk) il deputato regionale grillino Matteo Mangiacavallo sostiene che i recenti insuccessi elettorali del Movimento Cinquestelle scaturiscono dalla campagna denigratoria che la grande stampa avrebbe "organizzato" nei confronti del grillismo. 
Ammettendo (pur non concedendo del tutto) che la campagna denigratoria ci sia, trovo riduttivo (e l'ho detto in trasmissione) attribuire solo a questa il calo di consensi di Grillo. Che non a caso si è detto "stanchino". 

Forse perché Beppe non si aspettava certo di finire (perfino lui) al centro di contestazioni clamorose, tra cui quella genovese dopo l'alluvione, quella che sicuramente più delle altre gli ha fatto male, a sancire drammaticamente che proprio nessuno è profeta patria. 
Ciò detto, negare che il grillismo abbia costretto tutti gli altri protagonisti della vita pubblica a scoprire la bellezza della democrazia (e dello streaming) sarebbe disonesto. Ma alla fine il Movimento Cinquestelle ha mostrato grossi limiti di proposta. La politica dei no "a prescindere" evidentemente non ha pagato. "Grillo non è il Movimento", dice con sincerità sempre a Vesper 2.0 Matteo Mangiacavallo. Grillo non sarà il Movimento ma ne sceglie il direttorio, si potrebbe rispondere. 
La domanda è: c'è un futuro per il Movimento Cinquestelle? Se continuano a soffiare i venti di scissione temo di no. Dinamiche tipiche, all'italiana. Nasceranno due movimenti da due stelle e mezzo ciascuno? I grillini più ortodossi dovrebbero forse ragionare su un tema: chi in passato ha votato per il Movimento non ha cambiato direzione, ma forse ha solo preferito restare a casa. 
Il primo obiettivo del cosiddetto "direttorio" (che brutta terminologia per chi voleva rivoluzionare anche il linguaggio) potrebbe essere quello di convincere queste persone a tornare alle urne. Magari facendo un po' di sana autocritica, non limitandosi ad incolpare il destino cinico e baro.
Massimo D'Antoni
@dantonisciacca

mercoledì 26 novembre 2014

Berlusconi pronto a "perdonare" Alfano: l'ultimo colpo di scena di uno a cui la politica italiana non interessa più nulla



Nella migliore delle tradizioni mistificatorie Silvio Berlusconi ieri si è detto disponibile a "perdonare" Angelino Alfano. Ma perdonarlo da che cosa? Evidentemente dalla decisione dello scorso anno assunta dall'ex delfino, che improvvisamente decise di colmare il "gap" che gli mancava opponendosi, piuttosto coraggiosamente, va ammesso, ad una rinascita di Forza Italia più dettata dalla rabbia del capo per la sua condanna definitiva subita sulla questione dei diritti tv Mediaset che per ragioni politicamente alte e nobili.
Non risulta che qualcuno abbia chiesto perdono a Berlusconi. Ma lui vuole apparire sempre come il Giulio Cesare tradito da Bruto. Perché lui continua a ritenersi infallibile, pur sapendo che la storia ha sancito che infallibile non era (e non è). Tanto più che oggi Alfano potrebbe perfino contrattaccare, dicendo che non è certo lui colui che deve chiedere perdono, e che la sua scelta di non arroccarsi sulle posizioni estremiste (suicide) imposte da un certo "brunettismo" in definitiva è stata vincente. 
Ma  Angelino Alfano conosce troppo bene Berlusconi. Il quale dal canto suo sa bene che il Centrodestra non gli appartiene più, così come fatica ad esistere ancora. Il capo è ormai costretto a tentare qualunque strada per convincere che la politica italiana continui ad interessargli qualcosa. Un po' come il Milan, diciamolo pure. 
Il patto del Nazareno è per lui intoccabile. La sensazione è che lo sia non tanto per i risvolti riguardanti le possibili riforme istituzionali, quanto per gli impegni che Matteo Renzi sta prendendo ancora una volta per salvare il suo impero televisivo (maxisconto già accordato dall'Agcom sui canoni per le frequenze tv sia a Rai sia a Mediaset è un segreto di Pulcinella per non essere annoverato tra le intese inconfessabili).
Ma prima del ritiro Berlusconi vuole lasciare l'eredità politica, sapendo bene (compiaciuto) che c'è un sacco di gente che continua a pendere dalle sue labbra. Un'eredità sotto forma di un Centrodestra costretto però a rincorrere, su posizioni che definire oltranziste è un eufemismo, il leader leghista Matteo Salvini. 

E alla fine il "perdono" annunciato da Berlusconi ad Alfano (spero che il Ministro non faccia l'errore di assecondarlo) secondo me è solo il foglio di via definitivo a Raffaele Fitto. Come dire: io a te il partito non lo darò mai. A costo di organizzare improbabili casting per scegliere i dirigenti del futuro, a costo (perfino) di far tornare all'ovile la pecorella smarrita Angelino Alfano.
Massimo D'Antoni
@dantonisciacca

martedì 25 novembre 2014

Gli applausi (ipocriti e blasfemi) di Bruxelles a Papa Francesco dicono che dal 2015 non possiamo aspettarci niente di buono


Tra poco più di un mese arriverà il 2015. Quello vero. Che non è certo quello che Robert Zemeckis e Steven Spielberg ci fecero immaginare trent'anni fa in "Ritorno al futuro II": niente auto volanti, niente skateboard sospesi, niente giacche che si asciugano automaticamente né "autolacci" per non farci scomodare ad abbassarci per sistemarci le scarpe. Niente doppie cravatte come quelle (improbabili) indossate dal Marty McFly del futuro.
No. Questo 2015 è tutt'altro che simbolo della modernità. Che gli autori di quella magnifica saga cinematografica avrebbero anche potuto immaginare perfettamente se solo avessero disegnato e trasposto sul grande schermo una raffica di cloni (che é è questo ciò che siamo diventati) tutti con la testa china sulla tastiera del telefonino o del tablet. 
In realtà il mondo del 2015 (quello reale) è il simbolo del degrado culturale, sociale, politico e (ahimé) economico, che ci trasciniamo ormai da anni. Quella deriva che ha allargato in maniera sempre più preoccupante il divario tra ricchezza e povertà, tra chi ha perso perfino la dignità e chi invece sguazza nell'oro. Perché il problema non è la mancanza di assunzioni, ma la necessità di avere leggi che permettano di licenziare chi lavora. 

È un mondo drammaticamente squilibrato quello nel quale viviamo. Quello dell'austerità rigida (per l'interesse di pochi) che ha mortificato la crescita e aumentato la miseria. Papa Francesco, che proprio oggi a Bruxelles ha invitato i capi europei a ricordarsi di restituire dignità al lavoro, si è visto tributare una marea di applausi. 
Delle due l'una: o non hanno capito cosa ha detto il Pontefice oppure, battendogli le mani, hanno esercitato la più blasfema delle ipocrisie.
Massimo D'Antoni
@dantonisciacca

lunedì 24 novembre 2014

Dal Berlusconismo al Salvinismo: diventa sempre più preoccupante l'identikit della Destra italiana


"Bossi chi"? Possono ben domandarselo ormai i nuovi dirigenti della Lega nord, che alle ultime regionali ha "doppiato" Forza Italia. Un dato che fornisce indicazioni significative circa lo "stato di salute" del Centrodestra italiano. La scelta del leader di Forza Italia di selezionare attraverso un vero e proprio "casting" di giovani leve la nuova classe dirigente del suo partito apre scenari completamente inopinati, a partire dalla sostanziale inadeguatezza che Silvio Berlusconi riconosce nei confronti di chi dovrebbe prenderne il posto (immortalità o meno prima o poi accadrà). Con buona pace di uno come Raffaele Fitto, che dopo l'addio di Angelino Alfano pensava che finalmente toccasse a lui, costretto però a non potere capacitarsi del fatto che ad una sostanziosa clientela elettorale non corrisponde un possibile efficace esercizio della leadership. 
Ma quello che fa riflettere è che sul piano della strategia politica ormai i moderati italiani "inseguono" Matteo Salvini. È lui il vero leader della Destra. Ora, i puristi mi perdoneranno, il passaggio dal Berlusconismo al Salvinismo è indicativo di una deriva decisamente preoccupante. Cercare l'intesa con Salvini, che come tutti i vincenti in questo momento non fa altro che alzare il prezzo, obbedisce solo ad una logica numerica, non certo di proposta politica. Tanto più che Salvini è colui che ha già fatto un accordo politico con Marine Le Pen, erede di Jean Marie e, non a caso, di quella destra (qui lo scrivo minuscolo) più xenofoba e razzista che ci sia, quella che si sta diffondendo in Europa. 

Si dirà: chi vota Lega in massima parte è chi ha colto il messaggio più semplice, il "No Euro" che ha già permesso all'altro Matteo di interpretare quei bisogni di cambiamento che il Movimento Cinquestelle ormai ha dimostrato di non sapere più interpretare. Sullo sfondo però rimane un problema di credibilità anche a livello internazionale.
A Matteo Salvini tutto questo ovviamente non interessa. Perché alla fine "carta canta", e i risultati elettorali gli danno ragione. E se il Partito Democratico non litigasse così tanto potrebbe approfittarne ancora di più. Perché come il 41% delle Europee fu un segnale di fiducia a Matteo Renzi, il dato dell'astensionismo (anche se tradizionalmente si astiene l'elettorato moderato) è un segnale di insofferenza verso una politica sempre più parolaia, che pensa di risolvere i problemi della ripresa economica ad esempio aumentando l'IVA. 
Massimo D'Antoni
Twitter: @dantonisciacca

venerdì 21 novembre 2014

Landini accusa chi sostiene Renzi di non essere onesto. Poi si scusa. Meno male

Bisogna riconoscere a Maurizio Landini di non essersi arrampicato sugli specchi: ha riconosciuto di aver detto una cavolata senza invocare il contesto o, peggio, senza accusare gli altri di averlo frainteso. Ciò premesso, la sua dichiarazione secondo la quale il Premier Matteo Renzi non avrebbe il sostegno delle persone oneste rientra, tutto sommato, nel solito viziaccio di una certa Sinistra. Idee di questo tipo sono piuttosto diffuse, soprattutto in certi salotti radical-chic, anche se questi nulla hanno a che fare con il leader della Fiom. 
L'idea di base detenuta a denti stretti è che chi non la pensa in una certa maniera o è culturalmente limitato oppure è in malafede. Non si scappa. Ho sempre tentato di ribellarmi a questa impostazione. Con scarsi successi, lo ammetto. Un'impostazione generale che induce a giudicare malamente perfino gli stessi gusti artistici. Un'elaborazione del "pensiero unico" all'amatriciana. 
Più che il conflitto sociale questo scivolone di Landini fa tornare alla ribalta una certa intolleranza di chi pensa di essere il detentore della verità. Lo chiamano complesso di superiorità.
Massimo D'Antoni
@dantonisciacca

giovedì 20 novembre 2014

Sindaci sempre più (unici) parafulmine del malcontento della gente. Spesso loro malgrado


Un tempo venivano solo fischiati o contestati in maniera tutto sommato civile, entro i canoni della buona creanza. Sempre più spesso oggi invece vengono aggrediti, perfino malmenati. Sto parlando dei sindaci e degli amministratori in genere. Il catanese Enzo Bianco è una delle vittime più recenti, mentre qualche giorno fa se i primi cittadini di Genova e Carrara non fossero stati protetti dalle forze dell'ordine chissà cosa sarebbe successo. Vogliamo parlare del primo cittadino di Roma Ignazio Marino?
Si dirà: è l'evoluzione del "piove governo ladro", anche se un celebre comico milanese anni fa faceva notare che "il governo comunque è ladro anche se non piove". Il problema oggi è che la situazione è diventata complicata. La gente ha fame (letteralmente) e con qualcuno se la deve pur prendere. La violenza ovviamente era e rimane ingiustificata. Ma non sottovaluterei le ragioni del cittadino comune, quello che non capisce più il teatrino della politica, con questi protagonisti che litigano impunemente non capendo che l'interesse collettivo chiede ben altro.

È indubitabile, in ogni caso, che ai sindaci si attribuiscono troppe responsabilità, più di quelle che effettivamente hanno. Sono loro i primi, i secondi e i terzi punti di riferimento della gente. E sono loro quelli che rischiano di pagarne le conseguenze più serie. 
Questo non è giusto. C'è un senso della misura che rischia giornalmente di sfuggire non (sempre) per colpa degli amministratori ma loro malgrado. 

mercoledì 19 novembre 2014

Non solo trattativa: "l'altra" lotta alla mafia continua a produrre risultati


Se questo famoso "cerchio" attorno a Matteo Messina Denaro si fosse ristretto davvero così tanto, come dicono tutti, il superboss probabilmente non avrebbe lo spazio neanche per andare in bagno. Purtroppo così non è. E forse non è certo solo il bagno il posto che il capo oggi riesce a frequentare più o meno liberamente. Oggi possiamo "solo" apprezzare l'ennesima raffica di arresti di personaggi che, pare, fanno parte del suo clan. Non è poco, intendiamoci. Buon lavoro ai magistrati antimafia, che continuano a cercare di riscattare questa terra, malgrado molti indigeni e altrettanti rappresentanti politici ne siano sostanzialmente infastiditi.

Di Matteo Messina Denaro in ogni caso continua a non esserci alcuna traccia. Almeno fino a questo momento la terra bruciata attorno al capo dei capi, se c'è, evidentemente si rinnova in quattro e quattr'otto, e per ogni fiancheggiatore che finisce in carcere ce n'è subito un altro pronto a prendere il suo posto. Il suo esercito continua a sopravvivere, la sua cattura invece è rinviata. Evidentemente a data da destinarsi.
Gli arresti di oggi però dicono molto. Dimostrano, tanto per fare un esempio non secondario, che nella lotta alla mafia la magistratura (per fortuna) lavora su fronti diversi, anche se sotto i riflettori di giornali, telegiornali e talk show ci finiscono solo ed esclusivamente i processi sulla trattativa Stato-mafia. Trattativa che c'è stata, e la morte di Paolo Borsellino da questo punto di vista grida vendetta. Ma non faccio né il pm né il giudice, non conosco gli atti  processuali, anche se mi permetto rispettosamente di pensare che l'audizione del Presidente della Repubblica mi ha dato la profonda impressione di essere stata solo una inutile perdita di tempo, come d'altra parte ampiamente prevedibile.
C'è anche una lotta alla mafia che procede sui binari della dura quotidianità. Ed è davanti a questa che, oggi, mi tolgo il cappello.
Massimo D'Antoni
@dantonisciacca  

lunedì 17 novembre 2014

Razzisti? Si può esserlo, ma solo nei confronti dei cretini. I quali, come sanno tutti, non hanno passaporto

«Non siamo noi che siamo razzisti, sono loro che sono napoletani».Così gli "onorevoli" Rotunno e Gramaglia (Covatta e Paolantoni) ai primi anni '90 arringavano, da un'improbabile Tribuna politica su Odeon Tv, sfottendo in modo straordinario l'avanzata leghista. C'era ben poco da ridere già allora, e loro lo sapevano bene, malgrado le risate registrate in stile sit-com.
In massima parte i razzisti si arrabbiano se li si accusa di esserlo. E precisano di non essere razzisti, ma che i problemi da loro sollevati non possono essere più sottovalutati. Ora, premesso che è vero che spesso si rischia di liquidare ogni questione sollevata, anche la più ragionevole, come l'espressione di un razzismo (anche quando questo non c'è), è anche vero che "sotto sotto" il più delle volte è solo ed esclusivamente razzismo, al di là di patetici tentativi di travestirli da altro.

Parliamo del fenomeno migratorio. Molti non capiscono che Lampedusa è davvero la porta d'Europa. Chi sospetta che chi approda qui viene a "toglierci il lavoro" (per dirla con uno dei tanti slogan fasulli) non sa che di fatto chi approda qui in realtà poi si disperde per ricongiungersi con i propri cari. I quali sono disseminati ovunque: Svezia, Olanda, Germania, Gran Bretagna, Francia. Anche Italia, naturalmente. In Italia ci rimane però una piccola parte. Sempre che questo possa rappresentare un problema in un mondo, quello di oggi, profondamente cambiato. 
Ma il razzismo latente è quello che induce a sospetti, dubbi, paure. Facendo dimenticare perfino che la criminalità indotta fisiologicamente dai fenomeni migratori (bandiera della Destra, non solo di quella estrema) alla fine non è peggiore né migliore di quella "nazionale". Ci fa trascurare il dato reale che ci sono molti delinquenti  italiani, i quali non è che siccome sono nostri concittadini sono più "affidabili" di quelli stranieri. 
Se c'è un problema questo va affrontato, ma senza pregiudizi. Perché alla fine razzisti si può e si deve esserlo, ma solo nei confronti dei cretini. E i cretini, come sanno perfino le pietre, non hanno passaporto.
Massimo D'Antoni
@dantonisciacca 

venerdì 14 novembre 2014

Rassegniamoci pure: le prospezioni petrolifere ci saranno, la battaglia è perduta, meglio occuparsi d'altro


Folgorato sulla via del petrolio, perfino Rosario Crocetta attribuisce all'approdo delle trivelle nel canale di Sicilia un'importanza straordinaria. Parla di "royalties" che saneranno i bilanci degli enti pubblici e di posti di lavoro a iosa che le prospezioni petrolifere garantiranno ai siciliani. 
Questa vicenda, in generale, suscita diverse riflessioni. Se da un lato non può sfuggire il "pericolo" che la nostra terra, abituata a piangersi addosso per la mancanza conclamata di opportunità di sviluppo, quando ne ha una come questa chieda in buona sostanza di farne a meno, dall'altro si può osservare che le ricerche di idrocarburi nel mare siciliano obbediscono ad una scelta di sviluppo economico ormai conclamata. E questo anche se si tratta di una scelta che contraddice nettamente l'idea di un territorio così amato da chi lo visita soprattutto per le sue più importanti risorse naturali: il paesaggio e il mare. 

Sono stati giudicati trascurabili, ad oggi, gli aspetti sismici e vulcanologici che caratterizzano i fondali per centinaia di chilometri e che hanno visto gli esperti lanciare allarmi concreti, rimasti tuttavia inascoltati. 
Dopo che Renzi ha detto che non intende sottostare alle battaglie dei comitati locali (si riferiva alla Sicilia, alla Calabria e alla Basilicata) la sensazione piuttosto netta è che occorra rassegnarsi. 
Sì perché il Governo una decisione l'ha presa, ed è quella di consegnare il canale di Sicilia (e non solo questo) alle industrie petrolifere. L'ha fatto obbligando anche la maggioranza parlamentare ad approvare, a sacco d'ossa, il decreto sblocca Italia. L'ha fatto malgrado gli ordini del giorno (inchiostro miseramente sprecato) presentati dall'Ncd contro le trivellazioni. 

Insomma: non è per pessimismo, ma forse sarebbe meglio accettare la sconfitta e cominciare ad occuparci d'altro.
Massimo D'Antoni
@dantonisciacca

giovedì 13 novembre 2014

Tv locali abbandonate dallo Stato. 70mila posti di lavoro a rischio in Italia


Settantamila posti di lavoro. È questo il numero degli addetti delle emittenti locali che, per colpe non certo addebitabili a loro, rischiano di finire in mezzo alla strada. Il problema scaturisce dall'introduzione del digitale terrestre (giugno 2012). Lo Stato a suo tempo ha assegnato delle frequenze, obbligando le aziende ad adeguamenti tecnologici che, di fatto, le hanno dissanguate.
Nel frattempo l'Unione Europea ha aperto una procedura d'infrazione contro l'Italia perché alcune di quelle frequenze "disturbano" segnali Tv di altri paesi (Malta, Francia, Croazia). Soluzione trovata dall'Ue: il ritiro delle frequenze. E i soggetti Tv all'epoca riconosciuti "operatori di rete"? Addio, possono chiudere. Con buona pace delle belle parole sullo sblocca Italia e sulla ripresa economica dietro l'angolo. A meno che le predette emittenti non trovino la possibilità di farsi ospitare da altri operatori di rete che non disturbano nessuno. Operazione tutt'altro che gratuita, s'intende.
Lo Stato italiano, molto attento negli ultimi anni a risolvere problemi dei grossi gruppi editoriali (e di conseguenza politici, ogni riferimento è puramente intenzionale) si sta assolutamente disinteressando del destino di tantissimi lavoratori che dal primo gennaio prossimo rischiano di finire in mezzo alla strada. Il punto è che se le frequenze che lo Stato aveva deciso di assegnare non andavano bene, che colpa ne hanno le emittenti? La soluzione sarebbe stata quella di assegnarne altre che non disturbassero nessuno. E invece niente. Per i 15 mila lavoratori di Alitalia una soluzione è stata trovata. Per 70 mila operatori delle emittenti locali la soluzione è un ristoro economico per le emittenti interessate. E i lavoratori? Il loro destino a questa classe dirigente non interessa. E il dubbio che si vogliano soltanto "zittire" tante voci libere è dietro l'angolo. 
Succede anche in Sicilia, l'unica regione d'Italia (Governo Lombardo ma anche quello attuale) che non ha aiutato le emittenti locali costrette ad adeguarsi all'introduzione del digitale terrestre. Tutto questo avviene in un silenzio assordante, in un clima di manifesta inutilità di una classe parlamentare per la quale le Tv locali sono importanti solo se e in quanto forniscono un microfono.
Massimo D'Antoni
twitter: @dantonisciacca

mercoledì 12 novembre 2014

Il Teatro Samonà e l'accidia di un popolo che troppo spesso dimostra di sapere soltanto puntare il dito

Che le cose vadano male è assodato. Così come lo è, però, il compiacimento generalizzato di fronte a questa triste realtà. C'è una soddisfazione che trovo insopportabile da parte della mia gente di fronte al fatto che il Teatro Samonà forse non aprirà mai, e registro sghignazzi irritanti di fronte all'oggettiva contraddizione della avvenuta recente collocazione delle poltrone per il pubblico quando il proscenio ad oggi è solo un muro di cartongesso. Siamo contenti di poter dire che il Teatro è un pugno nell'occhio, un'opera inutile, simbolo della megalomania e bla, bla, bla. Abbiamo innalzato (credo correttamente) questo impianto a simbolo di un certo malcostume. Ma è giusto affrontare la questione sempre e solo con la testa rivolta all'indietro? A questa domanda rispondo di no.


Anni fa sul mio precedente blog commentai l'idea del grande regista Werner Herzog, che parlando del Teatro Samonà immaginò il ciak di un suo film con la cinepresa che impietosamente ne riprendesse l'implosione fisica con un bel po' di cariche di dinamite che lo stesso Herzog si sarebbe premurato di piazzare. Osservai che la provocazione di Herzog fosse culturalmente interessante, ma che alla fin fine, visto che ormai c'era forse era meglio che il Teatro ce lo tenessimo (anche perché demolirlo non sarebbe un'impresa gratuita), sperando in una soluzione per la sua apertura e gestione. 

Registrai a quel mio commento opinioni di genere diverso. Ma come si fa a negare che da allora ad oggi molte cose sono cambiate? Un po' di lavori in questo Teatro (dopo vent'anni in cui non si faceva più nulla) sono stati fatti. Difficile pensare che un domani questo potrà essere il Teatro che Giuseppe Samonà avrebbe voluto, ma tant'è. Qualcosa probabilmente potremo ricavare da questo gigante di cemento, dopo 40 anni dalla posa della prima pietra e altrettanti caratterizzati da strali e improperi lanciati dai saccensi a chi ha voluto questa struttura.

Ma il teatro Samonà non è solo il simbolo del degrado e del malcostume. No, è anche il simbolo dell'accidia del mio popolo. Che spesso dimostra di saper fare solo una cosa: puntare il dito. Denunciare e lamentarsi. Con, sullo sfondo, quello strano e culturalmente devastante compiacimento. 

Massimo D'Antoni
twitter: @dantonisciacca

martedì 11 novembre 2014

Gazebi e incoerenze nell'infinito teatrino della politica


La Costituzione stabilisce che il referendum, strumento di democrazia diretta, non possa essere promosso per chiedere alla gente di esprimersi su un tema come le tasse. Una premessa inevitabilmente seria per parlare ancora una volta di quel pantano che oggi è il teatrino della politica. Dove chi è all'opposizione dice furbescamente che chi sta governando mette le mani nelle tasche dei cittadini. Salvo poi ripensarci quando è lui ad andare a governare, e a definire "demagogiche" quelle invocazioni da egli fatte fino a poco tempo prima.  
Succede così dalle mie parti che il partito di Forza Italia sia pronto ad organizzare dei gazebi per raccogliere firme contro le tasse, soprattutto contro quelle sulla casa. Iniziativa interessante, intendiamoci. Ma Forza Italia a Sciacca è partito "di punta" dell'Amministrazione comunale tuttora in carica, rappresentato ai vertici non da un assessore qualunque, bensì dal Vice sindaco Silvio Caracappa. Il quale che fa? Protesta contro se stesso? Lui spiega di no, precisando che la protesta è contro il Governo centrale che obbliga il Comune a infliggere nuove tasse ai cittadini.
Dall'opposizione Paolo Mandracchia (Sel) però attacca: "Questo si chiama strabismo politico". L'accusa è che, imposizione dal livello centrale o meno, non si può con una mano approvare misure tributarie e con l'altra mano protestare contro quell'approvazione. 

Il punto che ogni questione va ricondotta all'alveo istituzionale. Una autentica "mission impossible". È sullo stesso piano concettuale che c'è qualcosa che non quadra. Tu la mattina approvi delle tasse e il pomeriggio vai a protestare contro quelle misure tributarie? Un problema si pone. Tanto più che anche lo stesso attacco al Governo centrale non funziona. Perché il Vice Premier è quell'Angelino Alfano che qui a Sciacca è il punto di riferimento sia del Sindaco sia della sua compagine politica. A Forza Italia questo potrà pure non interessare, ma al resto della coalizione sì. L'imbarazzo politico è dietro l'angolo. Lo si chiami pure strabismo, ma i gazebi contro le tasse confermano che tra il dire e il fare c'è un senso di responsabilità che non può essere accantonato. 


Che poi il Governo stia lasciando soli i comuni è un dato di fatto. Renzi è solo l'ultimo di una lunga serie di esecutivi che l'hanno fatto, a partire da quelli presieduti da Silvio Berlusconi, che ora fa giocare i suoi con i gazebi. Renzi ha meno scusanti perché ha un passato da sindaco. Ma questa è un'altra storia.
Massimo D'Antoni
twitter: @dantonisciacca

lunedì 10 novembre 2014

Rischio scissione nel PD? Ecco perché non conviene a nessuno


Leggo, onestamente senza stupore alcuno, che sulla base di un sondaggio commissionato dal Corriere della Sera, l'eventuale nascita di un nuovo partito "a sinistra" del Pd non incasserebbe un risultato elettorale degno di nota. Dubito, conoscendo un po' della storia della Sinistra, che questo fatto possa fungere da deterrente per un'eventuale scissione che sembra avvicinarsi all'orizzonte. 
Criticabile quanto si vuole, non si può certo negare che Matteo Renzi non abbia le idee chiare. E questo anche se su un tema delicato come quello del lavoro forse ha ecceduto, soprattutto nei toni, ricercando un conflitto sindacale apparentemente evitabile, ché di conflitti sociali non abbiamo certamente bisogno. Ma forse in realtà tutto questo è stato scientificamente preparato. 
Mi domando se realmente la sinistra del Pd abbia intenzione di arrivare ad una scissione. In realtà ne dubito. Perché un partito che sfonda il 40% (mi dispiace trasformare la poesia in prosa) conviene a tutti. Anche a chi è andato a marciare al (rispettabilissimo) sciopero della CGIL, anche a chi non perde occasione per contestare la linea del proprio segretario e Premier. Perché se l'onda è davvero lunga, la rielezione dei dissidenti può definirsi certa solo in quel Pd che si minaccia di rompere. Altrove non la si può escludere, ma sarà senz'altro più complicato. Anche perché il sondaggio riferisce che un altro partito antagonista avrebbe più successo più tra gli anziani che tra i lavoratori. Tra i disoccupati rischia di non averne affatto. E poi avrai voglia andare alle manifestazioni contro il Governo se non sarai più nessuno non ti ascolterà più nessuno. 
Mi piace il dibattito interno al Partito Democratico. Mi piace molto meno la rincorsa a chi dimostra di essere il più critico verso la leadership. Così come Renzi dovrebbe rispettare di più le sensibilità diverse dalle sue. Non rimpiango il Centralismo democratico del vecchio Pci. Sarebbe meglio che ci fosse una via di mezzo tra quella realtà e il partito "casinaro" di adesso al quale, tuttavia e malgrado tutto, verrebbe da dire, i cittadini stanno affidando il futuro del Paese. Ecco, se Cuperlo, Bersani, Civati e (perfino) D'Alema dessero priorità alla fiducia della gente verso questo Pd, anche se non è il loro partito ideale, farebbero un grande passo avanti. Perché i Labour o i Democrats non è che sono famiglie così unite. Però stilano un elenco di priorità politiche. E tra queste non c'è MAI alcun progetto di scissione.
Massimo D'Antoni
Twitter: @dantonisciacca


domenica 9 novembre 2014

25 anni fa la caduta del muro di Berlino. Da allora il mondo è cambiato. In peggio, purtroppo.


Venticinque anni fa la Storia punì se stessa. Lo fece piuttosto impietosamente. Il muro di Berlino fu abbattuto. Si disse addio a quel folle esempio di divisione del mondo che era passato per la separazione forzata tra uomini e donne di una stessa Città. La porta di Brandeburgo tornò libera al transito. Senza filo spinato, senza più soldati col mitra spianato per impedire ai "malintenzionati" di oltrepassare lo sbarramento o, di contro, senza più altri soldati che, perfino loro, si ribellassero a quell'assurdità, disertando clamorosamente, scappando da Berlino Est, non esitando a farlo perfino davanti ad una cinepresa.

Ora, al di là della simbologia che "The wall" ha rappresentato nella politica, nella società ma anche in musica, cinema e letteratura, la caduta del muro di Berlino ha rappresentato senz'altro un riscatto della storia nei confronti della follia del nazifascismo e dei retaggi che questo, probabilmente giocoforza, aveva creato nell'ambito di una ricostruzione necessaria dalle macerie culturali, non solo di quelle fisiche.
La costruzione del muro (1961) fu una svolta storica, che fornì tuttavia una linfa che definirei mortale alla "Guerra fredda". La sua demolizione (1989) fu un'altra svolta storica. Oggi però mi domando: è un mondo migliore quello che è nato dopo l'89? Per la Germania unita lo è stato sicuramente. Un grande Paese, che ha fatto i conti con la storia, con le generazioni post-belliche che non hanno più alcun senso di colpa per l'invasione della Polonia del 1939 e per ciò che da quel momento sarebbe accaduto.

Con coraggio e determinazione, con lungimiranza politica e atteggiamento vincente da parte del suo Popolo, la Germania ha superato brillantemente e in pochi anni anche la crisi economica che l'unificazione tra Est e Ovest aveva determinato, restituendo a se stessa dignità e voglia di farcela. Paradossalmente la caduta del muro di Berlino ha creato un sacco di problemi agli altri paesi. 
Sul piano politico ne ha creati tantissimi soprattutto in Italia. Per quasi trent'anni quel muro era stato il parafulmine della politica italiana, l'ombrello sotto il quale ripararsi e a giocare alla dietrologia più spiccia sugli equilibri interni e su quelli internazionali. Finita quell'era siamo entrati in crisi. Ma come? Non doveva essere la Germania ad accusare il contraccolpo più violento? No, siamo stato noi. Il Pci si dissolse, i partiti tradizionali furono costretti a fare i conti con una nuova realtà, nella quale nel giro di alcuni anni si inserirà anche Tangentopoli, spartiacque italiano che ha ridisegnato il quadro politico italiano (anche se, ahimè, la corruzione non è mai cessata).

Ma il mondo del post-muro è un mondo migliore? Credo di no. Le divisioni non solo non sono mai cessate, ma si sono acuite. E alle guerre già note si sono aggravate quelle di religione, lo scontro tra civiltà ha raggiunto livelli sempre più preoccupanti. In questo quadro si è aggravata anche la differenza tra nord e sud del mondo, con una povertà che è aumentata in modo sempre più preoccupante e una distribuzione dei redditi che continua a privilegiare chi possiede di più. Niente nostalgie, il muro di Berlino era un'offesa alla Democrazia e alla civiltà. Ma dopo l'addio al muro le cose sono andate sempre peggio. 
Massimo D'Antoni
@dantonisciacca

sabato 8 novembre 2014

Gli chiudono l'acqua, utente moroso muore d'infarto

Ritorno al blog. Elogio del cerchiobottismo

Lo ammetto: sono un "cerchiobottista" convinto. Sì, lo so: è complicato esserlo nella società di oggi. Spero, dunque, sia apprezzata almeno la mia sincerità. 

Sono consapevole che ci sia tanta diffidenza verso chi ammette di essere un cerchiobottista. Trovo che esserlo significhi sforzarsi di analizzare liberamente i fatti, e dire pane al pane, vino al vino. 

La società di oggi è la stessa che pretende che tutti siano perfettamente schierati a prescindere, da una parte o dall'altra. Come una partita di calcio, autentica rovina culturale di questo Paese, che assimila tutto fagocitandolo e tritandolo a uso e consumo di un conformismo di maniera. Eppure ciascuno di noi sa bene che la verità dei fatti ha certamente più di una sfumatura, uno o più aspetti meritevoli dell'opportuno approfondimento, così da permetterci di ragionare e di non schierarci a prescindere.

Il problema è che il cerchiobottismo ha un solo, grande incommensurabile difetto: viene confuso con l'imparzialità. Errore. Sì perché, almeno parlo per me, pur essendo cerchiobottista mi ritengo tutt'altro che imparziale. 

Penso, piuttosto, che l'imparzialità non esista, e che nessuno possa dirsi realmente imparziale. Ognuno ha le sue idee di fondo, e non vorrei scomodare Voltaire per affermare la libertà di esprimerle. Trovate che il mio ragionamento sia contraddittorio? Sì, so bene che i detrattori dei cerchiobottisti dicono che chi vuol guardare ai fatti da più prospettive lo fa solo per mettersi la coscienza a posto. Ma è proprio per una questione di coscienza che la penso diversamente.Mi piace, infatti, l'onestà intellettuale. Che è poi quella che permette di capire, senza per forza tifare per uno dei due contendenti. Perché, diciamocelo francamente, oggi la vita pubblica viene rappresentata come una competizione, sovente fine a se stessa. Per fare questo non occorre spaccare il capello in quattro, intendiamoci. Ma è la strada migliore per capire e, se necessario, criticare. E torno a dare vita a questa tribuna virtuale proprio allo scopo di fornire un contributo al ragionamento.Speriamo di riuscirci. Grazie a chi mi seguirà (e commenterà insieme a me). Commenti liberi, ovviamente. Gli unici che non troveranno spazio saranno gli anonimi. Perché, alla fine, non c'è niente di più rivoluzionario che "metterci la faccia". 



Massimo D'Antoni

@dantonisciacca

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